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TESTO 24a dom. T. Ordinario Anno A

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/09/2002)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 18,21-35

In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

NESSO TRA LE LETTURE

Il perdono è il tema che emerge dalle letture di questa domenica.

Il libro di Ben Sirach (Ecclesiastico) tratta dell'atteggiamento che l'israelita deve tenere davanti all'offensore (prima lettura). Il testo sacro anticipa, in qualche modo, la preghiera del Padrenostro nel Vangelo: "perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati".

L'autore considera l'inevitabile caducità della vita terrena, la morte dei viventi e la conseguente corruzione. In questa meditazione si mette in evidenza quanto sia vano adottare un atteggiamento di ira e di vendetta nelle relazioni con i nostri simili. Quale misericordia potremo chiedere a Dio nel giorno del giudizio, se noi per primi non abbiamo saputo offrire misericordia agli altri? Perciò ira, vendetta e rancore sono cose da peccatori. Non fanno parte della vita di un credente.

L'atteggiamento più giusto e saggio, al contrario, consiste nel tenere a freno l'ira, osservare i comandamenti e ricordare l'alleanza con il Signore. L'idea di fondo è profonda: chi non perdona le offese subite, non riceverà la remissione dei suoi peccati. Nel Vangelo il tema si ripropone nella parabola dei debitori insolventi. Gesù ci mostra come, davanti a Dio, non esiste uomo giusto libero da qualsiasi debito.

Se Dio, nella sua infinita misericordia, ha avuto compassione delle nostre miserie, non dobbiamo fare anche noi lo stesso nelle relazioni con i nostri simili? (Vangelo). La lettera ai Romani, da parte sua, ci mostra la sovranità di Cristo, "Signore dei vivi e dei morti. Se viviamo, viviamo per il Signore, se moriamo, moriamo per il Signore". Noi non possiamo essere i padroni della vita e della morte, né tanto meno farci giudici dei nostri fratelli (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Il perdono. Nel testo del Siracide si intende definitivamente annullata la legge del "taglione": occhio per occhio, dente per dente. Esiste un atteggiamento più saggio e giusto per un uomo che crede in Dio: questo è il perdono, non la giustizia vendicativa.

Il libro di Ben Sirach fu scritto in lingua ebraica a Gerusalemme, intorno agli anni 190 - 184 a.C. Cinquent'anni più tardi è stato tradotto in greco, per gli ebrei che vivevano in Egitto. Questo libro, fino all'epoca di san Cipriano (+ 258) e fino a qualche anno fa veniva chiamato l'"Ecclesiastico" e si utilizzava per istruire i catecumeni. Il libro ci presenta un problema proprio della esistenza umana: di fronte alle offese e agli affronti subiti, l'uomo di solito reagisce in modo violento e alimenta sentimenti di vendetta e di rivalsa, facendo crescere ira e indignazione.

Ben Sirach si oppone in modo radicale a questo modo di procedere. Nel testo, l'ira è qualcosa di abominevole. È propria dei peccatori. I padri del deserto, ripieni di questo spirito, ripeteranno con frequenza che il monito "non irritare, non irritarti", cioè non lasciare spazio all'ira nel tuo cuore. Resta però chiaro che ostinarsi nel rancore e nell'ira davanti a colui che ci offende, è un peccato. È necessario, in modo imperativo, perdonare. Perdonare sempre e tutto, perché davanti a Dio siamo stati perdonati. "Ora - diceva Doroteo de Gaza -, niente irrita di più Dio, niente impoverisce di più l'uomo e lo conduce all'abbandono, che il fatto di criticare il prossimo, giudicarlo o parlarne male" (Doroteo de Gaza, Conferenze).

Non dobbiamo, perciò, giudicare prima del tempo, bensì aspettare che venga il Signore, perché solo a Lui compete il giudizio. Il Signore non è un giudice iracondo e spietato. È lento all'ira e ricco di grazia. Ci offre continuamente il suo perdono. Se Egli considerasse i nostri peccati e le nostre debolezze, chi potrebbe resistere alla sua presenza? Però da Lui viene il perdono e la misericordia (cf. Sal 129,3).

Sarebbe incongruente che noi ricevessimo il perdono senza limite di Dio e fossimo intransigenti con le colpe del nostro prossimo. Proprio questo mette in evidenza la parabola di Gesù. Se il cuore di Dio si commuove davanti alle nostre miserie, se la sua compassione si accende davanti alle nostre disgrazie, non dobbiamo forse fare altrettanto con i nostri fratelli che ci hanno offeso? Il mondo intorno a noi è veramente assetato di perdono.

La scena internazionale ci mostra, evidentemente, che il cammino della vendetta e dell'odio suicida conduce a un vicolo cieco, a una spirale di violenza e di morte. Sembra quasi che l'uomo, con questi atteggiamenti dichiari guerra alla pace. Solo il perdono può appagare la sete di vendetta e aprire il cuore a una riconciliazione autentica e duratura fra i popoli, come ci ricorda continuamente Giovanni Paolo II. La giustizia e il perdono non sono due cose opposte, vanno di pari passo e sono l'unica via per la pace tra i popoli.

Iniziamo a convertire il mondo partendo dal nostro stesso cuore. Sappiamo che essere cristiano vuol dire disconoscere l'odio, per quanto crudele e spietato possa essere il proprio nemico, o per quanto grave e penosa sia stata l'offesa. In fondo si tratta di essere imitatori di Cristo, che davanti ai suoi carnefici trovo parole di perdono: "Signore perdonali, perché non sanno quello che fanno".

2. Solo Cristo è il Signore della vita e della storia. È profonda l'affermazione di Paolo nella sua lettera ai Romani: "Noi non viviamo per noi stessi, né moriamo per noi stessi. La vita e la morte appartengono al Signore". Cioè tutto l'accadere umano, si deve valutare in funzione del fatto che apparteniamo a Cristo. È possibile capire la verità sull'uomo, solo alla luce del Verbo incarnato, perché Dio ha elevato l'uomo alla partecipazione della natura divina.

Chi desidera comprendere a fondo la sua propria esistenza, o l'esistenza umana in generale, deve dirigersi con tutte le sue forze e con tutte le sue possibilità a Cristo redentore. In realtà siamo stati comprati "a prezzo" - a un grande prezzo! -, il sangue di Cristo (cf. 1Pt 1,17). In un certo senso, noi non ci apparteniamo (cf. 1 Cor 6,19). Noi siamo debitori all'amore, che è più grande di tutti i nostri peccati. Per questo la situazione dell'uomo sulla terra è drammatica: da una parte è stato riscattato e redento da Cristo, dall'altra egli deve peregrinare ancora su questa terra superando le insidie del diavolo e del proprio egoismo.

L'uomo si trova in mezzo al combattimento della fede. La costituzione apostolica del Concilio Vaticano II fa luce proprio su questo tema: "Essa (la Chiesa ndr) crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana. Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli" (Gaudium et spes, n. 10).

Il Signore, dunque, non esercita la sua sovranità in modo dispotico e indifferente. Il Signore, invece, è il pastore che dà la vita per le sue pecore, è l'amico che dà la vita per i suoi amici, è la rivelazione del Padre. Egli non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto per noi. Noi siamo le pecore del suo recinto. "Sic nos amantem, quis non redamaret?".

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. Imparare a perdonare, perdonando.

Il Papa Giovanni Paolo II ci dice: "In realtà, il perdono è innanzitutto una decisione personale, una scelta del cuore che va contro l'istinto naturale di rispondere al male con il male. Questa scelta ha il suo punto di riferimento nell'amore di Dio, che ci spinge a pentirci dei nostri peccati e ad avere, come modello supremo, il perdono di Cristo, il quale dalla croce esclamò: 'Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno' (Lc 23, 34)" (Messaggio mondiale per la pace, 1 gennaio 2002).

Si tratta perciò di una decisione che dobbiamo coltivare principalmente nella nostra vita familiare. Infatti, è in quest'ambito, dove i contatti sono più frequenti e più intensi, che dobbiamo perdonare le offese subite. Che non tramonti il sole sopra un focolare domestico senza che una parola di perdono venga a mitigare e a cancellare i malintesi e i cattivi comportamenti di qualcuno dei membri. Perdono tra gli sposi, perdono tra padre e figlio, Perdono tra fratelli. "quanto è buono e quanto è soave, che i fratelli vivano insieme!", recita il salmo 133.

Questo esige due atteggiamenti: saper chiedere perdono quando si offende qualcuno, specialmente qualcuno che si ama, e saper offrire perdono, senza umiliarlo, a chi si pente e chiede perdono. Il cristiano che non è capace di fare queste due cose non è ancora arrivato a conoscere Cristo e la propria vocazione.

Il perdono può e deve applicarsi anche in ambito sociale e professionale. Deve applicarsi nelle relazioni sociali, nei gruppi di amici e nella più ampia cerchia familiare. Quante sofferenze si potrebbero evitare se il perdono fosse frequente nel nostro comportamento! Il perdono ha anche una ragione umana: quando uno commette il male desidera che gli altri siano indulgenti con lui. In ogni essere umano alberga la speranza di poter riprendere un cammini di vita e non rimanere per sempre prigioniero dei propri errori e delle proprie colpe. Sogna di poter di nuovo alzare lo sguardo vero il futuro, per scoprire ancora una prospettiva di fiducia e di impegno (cf. Giovanni Paolo II, Messaggio per la pace 2002)

 

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