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TESTO Commento su Atti 2, 1-11; Prima Corinti 12, 1-11; Giovanni. 14, 15-20

don Raffaello Ciccone  

Pentecoste (19/05/2013)

Vangelo: At 2, 1-11; 1Cor 12, 1-11; Gv 14, 15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,15-20

15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Atti degli Apostoli. 2, 1-11
Sono passati ormai quasi due mesi, 50 giorni dal tempo dell'angoscia, della solitudine e quindi della esaltazione alla vista di Gesù risorto che ha voluto restare con i suoi, secondo il calendario di Luca negli "Atti degli apostoli" 40 giorni. Ci sono stati incontri sorprendenti e improvvisi, nei momenti più impensati e nei posti più diversi. Curiosi di vedere la conclusione di questa avventura e incapaci di prevedere altro, senza la presenza visibile del maestro, i discepoli si stanno organizzando per riprendere la loro vita normale e il lavoro di cui si sentono esperti.
In occasione della Pentecoste ebraica, però, capiscono di dover essere tutti presenti a Gerusalemme per il pellegrinaggio di un buon ebreo, in memoria del dono della legge che il Signore aveva consegnato a Mosè sul Sinai. Si ritrovano ormai in un luogo preciso, abitato nell'ultima cena con Gesù e quindi luogo stabile per quando si ritrovano a Gerusalemme. Il Cenacolo, casa di un amico che volentieri ha offerto a Gesù ospitalità, diventa il luogo dell'assemblea nuova. Si ritrovano ora insieme in questo giorno di festa, dopo averne vissuti 50, in emozioni, interrogativi e in discussioni, e pregano, sempre consapevoli che debbono aspettare, e sempre sicuri che arriverà una indicazione. Il testo di Luca vuole mostrare il significato del mistero del dono dello Spirito mediante le Scritture sulla piccola Comunità. Testimonianza e attesa raccontano che il centro della fede è Gesù.
Gesù, infatti, ha rivelato, nella sua ultima cena, il segreto della sua vita e quindi il segreto del suo rapporto con il Padre. Ma sa che i discepoli non possono capire il significato dell'esistenza nuova, e hanno bisogno di una ricerca, di un cammino, di una esperienza, di una fedeltà che ricostruiscano via via il senso della loro esperienza di Gesù. "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso" (Giovanni 16,12). L'essenziale è già stato detto: "Tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi" (Giovanni 15,15) e lo Spirito Santo non aggiungerà nulla di suo: ""Non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito" (Giovanni 16,13).
Lo Spirito Santo accompagnerà i discepoli, li assisterà, sarà una garanzia per ricercare e per approfondire. Lo Spirito Santo li aiuterà a scoprire ed a capire il Progetto di Gesù su loro e sul mondo.
Ci sono alcune parole chiave: "Tutti, rumore, divisione".
I discepoli si ritrovano "tutti", come alla promulgazione della legge sul Sinai, dove "tutto il popolo rispose insieme" (Es 19,8): tutti in attesa della sapienza di Dio.
Il dono dello Spirito viene impetuoso e rumoroso come un tuono. Come i rumori al Sinai: "suoni e lampi sul monte Sinai" (Es 19,16)."Le loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro" (v 3) "secondo un racconto della Midrash, la voce di Dio sul Monte Sinai si divise in settanta lingue affinché tutti i popoli avessero potuto udirla (gli antichi credevano che i popoli presenti sulla terra fossero 70). Sul Sinai è la voce di Dio che si divise in 70 voci, così che tutti i popoli la comprendono".
I discepoli si sentono ricchi dello Spirito che essi non conoscono se non sperimentando, dentro, entusiasmo, gioia profonda, pace e fiducia. E insieme sentono il desiderio di comunicare e di accogliere, scoprendo di avere un patrimonio di notizie e di rivelazioni che sono consolazione per tutti e non solo per loro. Perciò parlano senza preoccuparsi di conoscere gli interlocutori e il loro modo di vestire, che pure identificano ciascuno straniero. Essi parlano e la gente ascolta, si sorprende, risponde e fa domande. Qui non si sente la voce di Dio né quella della Spirito, ma la voce dei discepoli, che sembrano non avere nulla di particolare, salvo che, nelle orecchie della gente, risuona, a secondo della lingua natia dei diversi pellegrini,. la lingua dell'inizio della vita di ciascuno. Qui lo Spirito svela le "opere di Dio", attraverso uomini che scoprono di essere portatori di messaggi grandi e nuovi per tutti i popoli della terra. Qui non ci sono ancora i pagani, ma i giudei che abitano tra popoli pagani. Così l'orizzonte si allarga e il progetto del Signore è quello di "Andare a tutte le genti". In tal modo i discepoli si vedono, passo passo, organizzato il loro futuro, come annunciatori e missionari per i popoli della terra come Gesù è stato messaggero per loro. Alla fine Luca riporta l'elenco di popoli presenti, ma è difficile dirne il significato, salvo verificare che vengono elencati, pur con qualche eccezione, popoli dall'oriente all'occidente, e da nord a sud.
1Corinti 12, 1-11
Paolo si preoccupa di aiutare i credenti a cogliere ed a capire il significato di grazie e di attitudini personali, ordinarie o straordinarie, presenti in ciascuno "per l'utilità di tutta la comunità". Si tratta di analizzare e scoprire un buon uso dei doni dello Spirito, chiamati "carismi", segno e testimonianza visibile della presenza dello Spirito, anche per rimediare alla situazione anormale di una giovane comunità, la cui fede non ha ancora trasformato la mentalità impregnata di paganesimo.
Gli abitanti di Corinto sono tentati di apprezzare soprattutto i doni più spettacolari e di utilizzarli in interessi di parte, sviluppandoli nello stesso stile di alcune manifestazioni proprie di certe cerimonie pagane. Dice Paolo che, essendo "per utilità comune", sono dati per il bene della comunità e quindi non debbono dare occasione a rivalità (cap 12). Riscoprendo umiltà e solidarietà, va ricordato che "la carità li sorpassa tutti" (cap 13). Infine spiega come la loro gerarchia si stabilisce in base al contributo che portano all'edificazione della comunità.
Paolo si ferma sul dono delle lingue, pare molto apprezzato a Corinto, che però deve essere sottoposto alla profezia ed alla interpretazione (cap 14).
Paolo ricorda fenomeni violenti, disordinati, di certi culti pagani, che sono considerati come il segno della loro autenticità (v 2). Invece, nelle assemblee cristiane, vale il contenuto del discorso, non la forma espressiva di ostentata ispirazione (v 3).
All'interno di questo mondo di doni, manifestazioni e di maturazioni, c'è la ricchezza del volto di Dio nella sua dimensione trinitaria:"Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti".
L'elenco dei "carismi" è costituito da nove elementi: è la lista più lunga che si trovi nelle lettere (1 Cor 12, 28-30; 14,26; Rm 12,6-8; Ef 4,11). Si comincia a distinguere il linguaggio di sapienza e di conoscenza. Il linguaggio di sapienza, forse, è il dono di esporre le più alte verità cristiane, legate alla vita divina e alla vita di Dio in noi: «l'insegnamento perfetto» di Eb 6,1. Il linguaggio della conoscenza è il dono di esporre le verità elementari del cristianesimo: «il discorso iniziale su Cristo» di Eb 6,1. La fede, qui, probabilmente è una fondamentale fiducia nel compimento dei miracoli (Mt 17,20). I miracoli e le guarigioni distinguono la comunità cristiana per l'attenzione ai malati e per la confidenza del credente con la verità di Dio. La profezia costituisce il contenuto del cap. 14: è la capacità di convertire, esortare, persuadere con il dono della Parola alla costruzione della Comunità. Si parla poi del discernimento che aiuta ad operare un giudizio critico per aiutare le persone a scegliere; discernere gli spiriti: il dono di determinare l'origine (Dio, la natura, il Maligno) dei fenomeni carismatici. Si parla infine della varietà delle lingue: glossolalia (il parlare in lingue incomprensibili: S. Paolo non stima molto questo dono (14,6-11) e della interpretazione delle lingue. La varietà delle lingue è il dono di lodare Dio proferendo, sotto l'azione dello Spirito Santo e in uno stato più o meno estatico, suoni incomprensibili. È ciò che Paolo chiama «parlare in lingue» (14,5.6.18.23.39) o «parlare in lingua» (14,2.4.9.13.14.19.26.27). Questo carisma risale alla Chiesa dei primissimi anni; era il primo effetto sensibile della discesa dello Spirito nelle anime (cfr At 2,3-4;10,44-46;11,15;19,6).
Giovanni. 14, 15-20
Stiamo leggendo uno dei brani di Gesù che parla ai discepoli e che Giovanni riporta, inquadrato nell'ultima cena, carico di tensione e di aspettative. I discepoli non si rendono conto di ciò che sta per accadere e quindi sono stupefatti di alcune indicazioni di allontanamento, di abbandono e di ritorno.
Poiché non capiscono, ascoltano Gesù con stupore e perplessità, difficilmente consapevoli dello spessore delle parole che il maestro dice ma che ripescheranno dalla memoria e dalla riflessione nei tempi futuri. Non va dimenticato che il testo è riletto e meditato dopo la risurrezione, quando ormai la Comunità cristiana ha affrontato lunghi cammini, tensioni, alcune persecuzioni locali, rifiuti e accoglienze inimmaginabili. L'amore a Gesù non si gioca sulle emozioni ma sulla coerenza e il coraggio di seguire i suoi comandi. Ma quali comandi?
La comunità, che ripensa ai messaggi di Gesù, sa che ce ne sono tanti, riassunti "nell'amatevi l'un l'altro come io vi ho voluto bene". Ma questa una sintesi e un risultato di stili, di scelte, di comportamenti che si sviluppano ogni giorno nella vita familiare, sociale, religiosa e politica. La Comunità ne è consapevole, anzi sente il disagio e la fatica di andare contro corrente, di riproporre tutta la vita ed i propri rapporti nei termini che Gesù ha vissuto ed ha indicato.
In tal modo, spesso, la fatica e la fragilità fanno paura e costringono a pensare di essere stati abbandonati.
Gesù, allora, soccorre dicendo: "Pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre" (v 16). Si parla allora del "Paràclito" come un personaggio che porta fiducia e garanzia: la "persona che si siede accanto" nei processi e che sostiene, incoraggia, suggerisce, garantisce chi è accusato in un processo. Anzi la sua presenza di persona degna garantisce l'assemblea che l'imputato vada assolto. Gesù garantisce di inviare un altro Paràclito, "perché rimanga con voi per sempre", visto che il primo Paràclito, cioè Gesù stesso, sta per andarsene. La preghiera di Gesù interpella il Padre perché un altro Paràclito prosegua l'opera che il maestro ha iniziato e sviluppato con i discepoli. Il dono che Gesù offre è lo "Spirito di verità". E' una persona che si identifica con la verità, la mantiene viva e la dona. Questo non significa che siamo diventati infallibili, i garanti per eccellenza, i detentori delle verità nel mondo, o i portatori di realtà che ormai non serve verificare perché vanno prese a scatola chiusa. Sostenuti dallo Spirito, siamo però sempre nella ricerca, e pur sempre alle prese con il dubbio, la perplessità, la verifica. Lo Spirito della verità ci offre la rivelazione di Gesù, il rapporto profondo e unico con il Padre, la pienezza e la garanzia della verità, che è Gesù. Ma è necessaria la fede, altrimenti non lo si vede e non lo si conosce. Se però lo si crede, egli dimora nel credente e la sua presenza porta una conoscenza familiare. Infatti lo Spirito è presentato in rapporto con Gesù, i discepoli ed il mondo. A Gesù rende testimonianza (15,26-27), con i discepoli sarà presente e vivo (14,17), di fronte al mondo darà testimonianza a favore di Gesù contro la persecuzione e l'odio del male. "Non vi lascio orfani" dice Gesù pronunciando una espressione di paternità propria dei rabbini che spesso ritengono i loro discepoli dei figli. A Gesù Giuda, non l'Iscariota,: pone una domanda: "«Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (14, 22-23).
A Pentecoste Gesù garantisce colui che viene da Dio, forza e novità creatrice, santità e grazia, bellezza e splendore. Lo Spirito in noi ripropone la Trinità, il senso della vita e la pienezza.
Non diventiamo invulnerabili, infallibili, supereroi. Ci viene indicato di assomigliare a Gesù, nel servizio di un mondo che è affaticato e spesso sfiduciato, eppure desideroso di bellezza e di amore. Il Signore ci prende sul serio e la Pentecoste è l'inizio di una novità.
Dovremmo chiedere spesso lo Spirito, invocato per vivere la santità del momento, il rapporto con il fratello la sorella, la ricerca dell'armonia e della pace. Ci consola sapere che, in chi incontriamo, conosciuti o sconosciuti, lavora anonimo per Gesù lo stesso spirito che invochiamo e che preghiamo.

 

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