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TESTO La parola chiave

padre Gian Franco Scarpitta  

XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/07/2004)

Vangelo: Lc 11,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 11,1-13

1Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,

4e perdona a noi i nostri peccati,

anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,

e non abbandonarci alla tentazione».

5Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, 6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, 7e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, 8vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

9Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. 10Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? 12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Da una visione d'insieme delle letture odierne balza subito alla nostra attenzione un concetto fondamentale che anima tutta la liturgia e che ci aiuta a comprendere appieno la tematica fondamentale che interessa questa domenica, la quale va ben oltre la semplice preghiera del Padre Nostro; e cioè quello inerente Dio, concepito come Padre misericordioso e fautore di ogni bene. E' questo infatti, almeno a parer nostro, il tema che intercorre pressappoco in tutte le letture di questa domenica ponendosi quale comune denominatore fra le medesime e che richiede da parte nostra molta attenzione; anzi, potremmo affermare a ragion di logica che la stessa orazione del Padre nostro non potrebbe essere espletata da parte del credente se non dopo che questi abbia preso coscienza di Dio come Padre. Che cosa dimostra infatti Dio nella prima Lettura, tratta dal libro della Genesi, se non di voler usare tanta misericordia da risparmiare il flagello ad un'intera città per rispetto di quei 50, poi 20 e infine 10 uomini giusti che sussistono fra la moltitudine dei peccatori? Anche se un'intera popolazione dovesse meritare lo sterminio a motivo del suo peccato, la divina paternità nutre rispetto per quei soli giusti che si contano appena con le dita di due mani, considerando tuttavia che da quello sparuto numero di persone buone e timorate di Dio è possibile ricostruire l'intero genere umano e pertanto non sottovalutando affatto il problema della malvagità che imperversa su quel luogo. Sempre in questa lettura genesiaca che stiamo considerando con attenzione, Dio si mostra premuroso nell'ascoltare le richieste di intercessione di un "piccolo" uomo che più volte si ritiene indegno di parlare, Abramo, il quale tuttavia può pregarlo con fiducia giacché Lo ha già esperito come Padre.

"Padre" è quindi la parola chiave di tutto il discorso. Non soltanto nel senso che Dio si mostra tale nei confronti dei suoi figli, ma anche nel senso che questi possono pregarLo una volta riconosciutolo e apprezzatoLo come tale. Ora, chi in tutta la storia della salvezza ha mostrato agli uomini che Dio sia Padre di bontà e di misericordia se non il suo Figlio Gesù Cristo? E' quest'ultimo che, a buon diritto può chiamare Dio Padre e insegnare ai suoi discepoli a fare altrettanto, proprio per il fatto che solo Lui, nelle parole e nelle azioni ha manifestato l'amore di questo Padre; anzi, Gesù adopera (anche in Matteo) un linguaggio molto più confidenziale nei confronti di Dio e se vogliamo addirittura sconvolgente, visto che infrange i canoni giudaici del servile ossequio del Signore: Egli infatti insegna chiamare Gesù... Abbà, cioè "caro papà" e premette questo termine alla ben nota preghiera di cui si fa pedagogo.

Soffermandoci un po' su quest'ultima si potrebbe dire che, soprattutto nella versione matteana che noi meglio conosciamo, essa si suddivide in una prima parte di riverenza e ossequio in cui si chiede a Dio null'altro che venga onorato, santificato (= riconosciuto santo e magnifico) il Suo nome (Egli stesso) e venga fatta la sua volontà e una seconda parte di richiesta, attraverso la quale si chiede a Dio la soddisfazione delle nostre RICHIESTE PIU' ESSENZIALI....

Fermiamoci un momento qui: quello che si chiede a Dio in questa seconda parte è cosa ben lungi dai nostri comuni capricci mondani o dalle aspettative di esaudimento materiale e non riguarda alcunché di miracolistico o di favoritistico; si chiede –lo ripetiamo- quello che è essenziale, ovvero l'alimento essenziale per il nostro nutrimento e soprattutto il perdono dei nostri peccati che sottende l'impegno da parte nostra a perdonare quelli degli altri e finalmente che ci si tenga lontani dalle tentazioni e dalle occasioni di peccato. Questo infatti è essenziale per la vita umana e chiedere a Dio che ci esaudisca in qualsiasi nostra richiesta se da un lato non si distanzia dalla nostra fede, dall'altro può condurci al rischio di trasformare questa in un'idolatria.

E infatti proprio perché Dio è Padre sarà Lui stesso a provvedere a tutte le nostre reali necessità donandoci soprattutto... lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità agente di santificazione che è la chiave di volta per soddisfare tutte le nostre attese. Il paragone che si fa nella pagina calza a pennello: se un amico alla fine ti asseconderà nottetempo dopo che lo hai ripetutamente importunato (per toglierti dai piedi), tanto più il Signore sarà sollecito nel venire incontro alle tue necessità, non perché le tue richieste lo stiano importunando ma perché... è Padre e si interessa dei suoi figli.

Vivere in pienezza la nostra fede nel Signore in fondo non vuol dire altro che godere della presenza continua e prodiga di un Padre misericordioso che altro non ci chiede se non che ci affidiamo a lui in tutte le circostanze e senza ritrosie o tentennamenti e al contempo che ci sentiamo realmente suoi figli e pertanto disposti alla sottomissione filiale e spontanea nei suoi riguardi. Occorrerebbe che noi si riscoprisse questo aspetto divino della paternità e ce ne convincessimo ancor prima di atteggiarci alla preghiera. Che cos'è infatti l'orazione se non un atto di abbandono e di fiducia nel franco colloquio con Dio? E come si può realizzare questo colloquio se non nella consapevolezza di trovarci di fronte non già un tiranno o un despota a cui rendere conto delle nostre azioni, bensì un Dio Padre misericordioso, attento alle nostre confidenze ed esternazioni? Il Padre Nostro non è UNA preghiera ma per questi motivi FONDA qualsiasi preghiera.

 

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