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TESTO Il "prossimo", la persona, la vita

padre Gian Franco Scarpitta  

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XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/07/2004)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

La maggior parte dei problemi e degli assilli in cui versa l'umanità sarebbe stata risolta già da parecchio tempo se in tutto il mondo e in tutte le culture si nutrisse interesse per i reali concetti di "persona" e di "vita"; perché, nel primo caso si avrebbe una cognizione più appropriata di chi sia il soggetto umano indipendentemente dalle convinzioni religiose, dalla razza e dall'etnia e lo si valorizzerebbe in quanto tale riconoscendolo quale soggetto e oggetto di diritti oltre che di doveri, il che condurrebbe inevitabilmente all'estinzione di parecchi conflitti e situazioni di odio e rancore che da secoli insanguinano l'umanità intera: nella misura in cui, infatti, si prende coscienza che l'essere umano è un soggetto dotato di anima, corpo, spirito, raziocinio, e per ciò stesso vada trattato alla pari degli altri avremmo sempre nei confronti di ogni persona il concetto di rispetto e di tutela dell'incolumità. E soprattutto potrebbero diminuire le concezioni di inimicizia per le quali l'avversario è considerato nemico da annientare. Nel secondo caso, la concezione appropriata di vita umana sarebbe utile a far sì che ciascuno di noi riconoscesse la vita per intero sin dal suo concepimento, evitando il sorgere di teorie o idee malsane per le quali solo in alcune circostanze e in determinate occasioni la vita viene ritenuta effettivamente tale, mentre in altre considerata inutile e fittizia solo perché irreale.

In pratica, occorre riscoprire la radice di tutti i malesseri della nostra epoca che non consiste soltanto nella vanità e nel presunto orgoglio da parte dell'essere umano ma anche e soprattutto nel mancato riconoscimento dei valori e dei fondamenti etici propri della persona e della vita.

Nella parola "prossimo" il Vangelo di oggi vuol sottolineare tutto questo. Sebbene infatti la pagina evangelica odierna tenda a sottolineare l'importanza dell'amore fra i cristiani e l'esaltazione della carità, essa in fin dei conti vuole porre in risalto il concetto di "prossimo" espresso da Gesù, poiché è proprio a partire dalla nostra convinzione di questo che detto amore e detta carità potranno rendersi effettive. Nel termine "prossimo" risiedono infatti le reali prerogative della "persona" e della "vita".

Secondo l'Antico Testamento "prossimo" era considerato solamente il membro della comunità del popolo di Israele e vi era come una divisione fra l'amico (da amare) e il nemico (da disprezzare) e le ostilità che intercorrevano fra Israeliti e Palestinesi sono ben note a tutti: per fare un solo esempio, quando un Israelita si trovasse a viaggiare verso la Giudea, anziché attraversare il territorio intermedio della Samaria era solito prendere la via del mare per non contaminarsi con la sola aria samaritana; e i Samaritani medesimi non coltivavano certo buon umore nei rapporti dei popoli circonvicini.

Ed è proprio sulla base di tutte queste considerazioni che Gesù delucida in modo chiaro e convincente quello che debba essere il concetto di "prossimo": nell'eseguire il suo racconto nei minimi dettagli egli infatti sottolinea che quel povero malcapitato viene trascurato dai suoi connazionali, ma non soltanto: addirittura da quei suoi connazionali che in forza del loro ministero sull'altare avevano il dovere di prendersi cura dei poveri e dei bisognosi, insomma dovevano esercitare la carità, e tali erano il sacerdote e il levita.

Andiamo invece al Samaritano: è lapalissiano che questi, trovandosi chissà come in territorio giudaico, si stesse cautelando con premura ai fini di non essere riconosciuto dalla gente del posto, che certamente lo avrebbe apostrofato; ma allorché si imbatte in quel pover'uomo esanime e sanguinante, dimentica persino di trovarsi in territorio a lui ostile, non considera la possibilità di essere notato e si china immediatamente su di lui adottando tutte quelle premure che i "benpensanti" levita e sacerdote non si erano degnati neppure di sognare: lo soccorre in tutto e per tutto, pagando perfino di tasca sua e omettendo di considerare la differente provenienza culturale che intercorre fra lui e il suo assistito.

In pratica, come Gesù dice esplicitamente in quella domanda affermativo – negativa ("Chi è il prossimo DI colui che è incappato nei briganti?) si afferma qui l'estensione del concetto di "prossimo" secondo un duplice significato; andando con ordine va' infatti notato che è lo stesso Gesù, per primo, ad immedesimarsi nella figura di questo Samaritano parabolico: Egli stesso infatti dimostra a tutti l'amore di Dio operando prodigi, insegnando l'amore ai nemici, vivendo la predilezione per i peccatori e superando così tutte le barriere discriminanti di razze, culture e ideologie, visto che in lui come affermerà San Paolo non esistono più "Gidei né Greci, schiavi o liberi, ma tutti siamo uno in Cristo Gesù." Il "prossimo" è pertanto anzitutto Lui stesso. Ma se la parabola si ferma nel racconto, l'insegnamento di Gesù va ben oltre attraverso quel monito "Va' e anche tu fa lo stesso"... Invita infatti a che ciascuno di noi si "faccia prossimo" dell'altro, servendo al medesimo modo con cui Cristo ha servito... Cioè aprendoci alle necessità di chiunque abbiamo di fronte, omettendo qualsiasi considerazione relativa alle divisioni e alle razze e pertanto è da ritenersi illegittima qualsiasi impostazione di pensiero che voglia giustificare l'esistenza di discriminazioni sociali, razzismo, prevaricazione sugli altri e quanto altro sia scaturigine di conflitti e sanguinosi scontri. Piuttosto è necessario che diventi nostra la convinzione che è solo nella misura in cui ci si interessa dei bisogni degli altri,-sia su scala individuale sia nel collettivo- che si potrà instaurare una dimensione di convivenza realmente umana.

 

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