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TESTO Ascensione, un finale con il punto di domanda

don Giovanni Berti

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Ascensione del Signore (Anno C) (12/05/2013)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

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Ricordo un film, "Flash Gordon" del 1980, che si concludeva in un modo molto semplice quanto originale. Nell'ultimissima inquadratura, dopo che tutto sembra felicemente concluso con la vittoria dei buoni sui cattivi, una mano nera in primissimo piano ruba l'anello del potere appena caduto al cattivo sconfitto, l'imperatore Ming. E allora accanto alla scritta "the end" appare un punto di domanda, seguito dai titoli di coda. Un espediente cinematografico che tiene in sospeso lo spettatore e che apre ad un sequel di tutta la storia (un sequel che poi in realtà non c'è stato visto lo scarso successo della pellicola...).

Luca conclude il racconto del suo Vangelo con questo episodio dell'Ascensione: Gesù dopo aver dato le ultime istruzioni ai suoi, li porta in un luogo prestabilito (che in realtà è volutamente tenuto un po' vago, "verso Betania") e qui si stacca e viene portato verso il cielo.
E' finito tutto? Si volta pagina?

I dettagli del racconto ci fanno intravedere un bel punto di domanda accanto alla parola "fine" che saremmo tentati di mettere. Si intravede nel racconto un sequel che non è separabile da tutto quello che fino adesso è stato raccontato. E infatti lo stesso Luca scriverà il racconto dei primi passi della Chiesa proprio a partire da questo racconto della Ascensione di Gesù al cielo, ripresa nel capitolo primo del libro degli Atti deli Apostoli.

Gesù sembra andarsene ma in realtà non è affatto così. L'andare in cielo non è da interpretare come una nuova collocazione spaziale del Maestro. In realtà questo episodio racconta la nuova consapevolezza che i suoi discepoli hanno di Gesù: ora i discepoli hanno capito che Gesù è di natura divina e non un semplice eroico maestro simile a tanti altri prima di lui. Il cielo nella mentalità del tempoè il luogo di Dio. Dire che Gesù sale al cielo, significa comprendere che Gesù è proprio Dio, e in questa identità profonda va intesa ogni sua parola e ogni suo gesto. Tutto quello che segue nella vita dei suoi amici e discepoli ha un riferimento fondamentale nella sua divinità. Ma bisognerà che proprio dal cielo, cioè da Dio venga anche la potenza che sarà la forza della Chiesa, cioè lo Spirito Santo ("io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto"), che è l'Amore di Dio che rinnova e dona coraggio.

I discepoli quindi non sono li a vedere Gesù che se ne va dopo che ha fatto tutto quel che doveva fare, e che li lascia soli in modo che si arrangino armati solo della loro buona volontà. Al contrario capiscono che il loro Maestro e Signore continua a vivere e operare in loro proprio perché Dio. Per questo l'evangelista racconta che subito dopo averlo visto salire in cielo, i discepoli tornano a Gerusalemme pieni di gioia. E' la gioia profonda di chi ha capito che non è stato abbandonato da Dio, e che nulla, nemmeno i propri limiti e debolezze, potrà sconfiggere la forza della loro testimonianza.

Quando noi partecipiamo alla messa o viviamo qualche celebrazione, siamo tentati di mettere, più o meno con senso di sollievo, la parola "the end" alla fine, specialmente quando il canto finale ci "libera" dell'impegno domenicale. Siamo stati bravi e volenterosi, abbiamo fatto il nostro dovere e forse ci siamo guadagnati un po' di punteggio da impiegare poi in eventuali richieste da inoltrare all'Altissimo.

Ma è questo il modo corretto di relazionarsi con Dio? Penso che il modo migliore di vivere la nostra preghiera e la nostra partecipazione alla messa domenicale, sia quello di mettere sempre un bel punto interrogativo alla parola fine, sentendo la conclusione della preghiera liturgica (sia quella comunitaria che quella che possiamo fare personalmente) come in realtà il "primo tempo" della nostra relazione con Dio nella vita ordinaria fuori di chiesa e dopo la preghiera. Non siamo saliti un attimo da Dio in cielo con il nostro spirito per poi ridiscendere e fare dell'altro o sentirci soli. In realtà la preghiera e l'incontro con Gesù nella celebrazione comunitaria domenicale sono il modo per ricordarci che Gesù è il nostro Dio sempre, e che le sue parole, se le ascoltiamo realmente, hanno una forza incredibile in ogni istante di quel che viviamo. Gesù non si stacca mai da noi, ma vive nella sua comunità e dentro la nostra stessa vita, nei nostri gesti e parole, anche quando questi non sembrano così perfetti e ci accorgiamo del nostro limite.

Una fede matura non è quella senza dubbi e granitica (le statue di granito sono infatti solide ma morte), ma è quella che mette sempre il punto interrogativo anche quando ci sentiamo lontani da Dio o sentiamo Lui lontano, e ci verrebbe la voglia di mettere in discussione tutto. L'ascensione è un invito a sentire il cielo, cioè Dio, sempre aperto verso di noi. Anche quando avvertiamo forte la distanza tra noi e Dio, il Vangelo ci ricorda che sarà sempre Dio a scendere con il suo amore verso di noi, in qualsiasi bassezza ci troviamo.

Domenica prossima infatti ricorderemo che solo quando riceveranno il dono dello Spirito, i discepoli saranno capaci di aprirsi al mondo e a diventare veri testimoni.

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