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TESTO Il Dio con noi pur sempre Dio

padre Gian Franco Scarpitta  

Ascensione del Signore (Anno C) (12/05/2013)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

" Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù Cristo ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Fil 2, 9 - 10) Con queste parole di esaltazione Paolo, che ha appena terminato di ammirare il Cristo annichilito e umiliato nonostante la sua natura divina, inizia adesso a preconizzare lo stesso Cristo che è elevato al di sopra di ogni creatura e al quale tutto si sottomette. Appunto perché Cristo ha accettato il disegno del Padre che lo ha portato alla croce, adesso merita sempre da parte del Padre l'esaltazione e la gloria. Sempre Paolo definirà poi Gesù il "primogenito di coloro che risuscitano dai morti per ottenere il primato su tutte le cose", avendo egli sulla croce rappacificato la terra e il cielo (Col 1, 18 - 20). L'umiliazione di Gesù sulla croce non è stata finalizzata a se stessa, ma ha avuto lo scopo di redimere, di salvare e di riconciliare tutto il cosmo (oltre che l'uomo) con Dio Padre nel riscatto del sangue e ha ora come conseguenza che il Cristo venga esaltato e venerato al di sopra di tutti gli esseri celesti, terrestri e sotterranei". Tale è il significato dell'Ascensione di Gesù al Cielo: glorificato nel suo corpo, adesso egli ritorna nella dimensione piena del divino abbandonando la caducità e la frammentarietà dell'umano che aveva assunto nell'incarnazione e questo avviene in conseguenza del fatto che Dio lo ha esaltato.

Dopo la risurrezione Cristo si era reso manifesto ai suoi discepoli con nuove fattezze di gloria e di potenza per le quali, pur rendendosi riconoscibile ai suoi, instaurava un rapporto differente da come avveniva prima della morte di croce. Da risorto Gesù si era proposto a tutti secondo categorie che vanno al di là dello spazio e della materia e anche il contatto fisico con lui muta notevolmente rispetto ai tempi del suo ministero in Galilea fino a Gerusalemme: alle donne che lo riconoscono dopo la risurrezione e che lo afferrano per i piedi esclama: "Non mi trattenete, perché non sono ancora salito al Padre... " (Gv 20, 17). Una volta risorto dai morti infatti Cristo non è più conoscibile sotto la carne (2Cor 5, 16) ma lo si può toccare "presso il Padre" perché si rende accessibile nella nuova dimensione di gloria che lo colloca alla destra del Padre suo (Ratzinger).

L'Ascensione di Gesù è il manifestarsi pieno di questa gloria, l'apice dell'apoteosi del divino nel Cristo da noi conosciuto come uomo: egli entra definitivamente nella sfera del divino, come ci mostrano le immagini degli Atti degli Apostoli, che vanno intese nel senso profondamente teologico. La nube che avvolge Gesù richiama infatti la presenza di Dio che parla a Mosè in una fitta coltre di nubi trattandolo a tu per tu come un amico ed evince adesso la profondità della divinità invitta di Gesù. Il suo salire al cielo non è un partire a razzo verso la dimensione dell'iperspazio, ma denota il suo abbandono definitivo della temporaneità, del quotidiano, della pochezza e della contingenza di questa terra. Insomma Gesù torna ad assumere la piena dignità di gloria e di magnificenza che lo rende pari al Padre.

Ciononostante Gesù non pone delimitazioni fra lui e il nostro rapporto con lui, nonostante si trasformi, non si interrompe. La sua nuova condizione non smentisce che egli sia presente e attivo nella sua Chiesa, come pure non pregiudica il fatto che egli stesso percorra assieme a noi il nostro tempo e la nostra storia. Come egli aveva promesso, resta sempre presente "fino alla fine del mondo", guidando il ministero degli apostoli e conducendo per giusti sentieri la Chiesa che ha istituito su di essi. Gesù non sarà più visibile né esperibile in termini sensoriali fino al suo rientro definitivo nella gloria, ma ciò non vuol dire che ci ha lasciati soli e che ha abbandonato gli apostoli e noi, suo popolo, al nefasto destino. La sua presenza è infatti viva, certa e indubbia, avallata dal dono dello Spirito Santo, il quale, promesso e diffuso dallo stesso Cristo, ci fa percepire il Risorto alla stessa maniera di quando andava predicando, ravvivando in noi la coscienza della sua Parola e del suo insegnamento. Lo Spirito Santo estingue in noi ogni dubbio sulla presenza del Signore sebbene questa non sia più verificabile umanamente parlando e ci sprona alla missione di annuncio che egli aveva conferito agli apostoli e per esteso a tutti i suoi discepoli. In forza dello Spirito avvertiamo che Gesù continua ad istruirci e a motivarci anche se nella forma invisibile e siamo incoraggiati a vedere la sua azione trasformatrice in ogni luogo e in particolar modo nei segni visibili della sua presenza invisibile, cioè i Sacramenti primo fra tutti quello dell'Eucarestia, nel quale la sua presenza oltre che reale è sostanziale.

A quale condizione è tuttavia possibile per noi avvertire questa presenza invisibile e comunque certa di Gesù? Come riscontrare il sostegno della sua azione incoraggiante?

La fede. Questa è la prerogativa che fonda in noi la certezza spronandoci a persistere nella verità e animandoci nella sfiducia e nel disorientamento. La fede raggiunge ciò che i sensi adesso ci precludono, ma meglio ancora dell'evidenza incute coraggio, zelo e serenità perché rende consapevoli del Risorto e della sua continua assistenza che avviene per mezzo e in forza dello Spirito. La fede nel Risorto valica tutti i nostri limiti e raggiunge i traguardi a volte insperati quale fondamento delle cose che si sperano e prova di quella che non si vedono (Eb 11, 1 e ss). Nella fiducia e nell'apertura del cuore che precede, senza escluderla, la ragione, si entra in comunione con Colui che è l'Eterno Signore Glorioso e tuttavia nostro compagno di cammino; la fede ci introduce nel dialogo e dell'incontro con un Altro che è tuttavia uno di noi, con un Mistero che si palesa nella nostra storia pur restando tale ed è per questo per noi la prova di quanto i sensi non possono percepire.

 

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