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TESTO Voce e mani di un Dio Pastore

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (21/04/2013)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Dio, quando s'impossessa della nostra vita, sembra proprio non poterne più fare a meno. E dire che, generalmente, pensiamo l'esatto contrario: ovvero, che siamo noi a non poter fare a meno di lui. Concettualmente, dovrebbe essere così: Dio è l'Onnipotente, e come tale non ha certo bisogno di nulla e di nessuno, non ha necessità che altri lo sostengano, non ha esigenze: egli basta a se stesso e può tutto senza doversi appoggiare o dipendere da nulla, quindi - per portare a compimento qualsiasi cosa - può fare a meno anche dell'uomo. E diversi episodi della storia della salvezza ce lo confermano.

Eppure, "nessuno strapperà dalla mia mano le mie pecore", dice Gesù nel Vangelo di oggi. E lo dice in maniera così lapidaria e assertiva che denota un attaccamento frutto non solo di una paternità protettiva nei nostri confronti, ma anche di una sua esigenza, di una sua necessità. Quasi a dire: "Guai a chi mi tocca le mie pecore!". Insomma, il Buon Pastore si trova nella necessità, sente il bisogno di averci e di tenerci con sé. E non può proprio fare a meno di noi. Ciò non toglie nulla, beninteso, alla sua onnipotenza e alla sua sovranità, per cui potrebbe davvero decidere, nella sua assoluta libertà, di esulare da ogni riferimento all'uomo. Ma è proprio la sua Libertà che decide di avere a che fare con noi in maniera così forte da apparirci addirittura ossessiva. Nessuno ci strapperà dalle sue mani: e guai a chi ci dovesse provare!

E Gesù non poteva usare, per esprimere questo concetto dell'amore ossessivo di Dio nei nostri confronti, immagine più efficace di quella del pastore. Non mi riferisco solamente al famoso capitolo 10 del Vangelo di Giovanni - da cui è tratto questo brano - che caratterizza sempre il tema della IV domenica del Tempo Pasquale (detta, appunto, "del Buon Pastore"). Altri passi del Vangelo (e non solo) narrano la sollecitudine misericordiosa di Dio nei confronti dell'umanità attraverso la metafora del pastore e del gregge. Tra tutti, la parabola del pastore che si disinteressa del gregge rimasto al sicuro nell'ovile per andare alla ricerca di quell'1% di umanità che si è smarrita e che agli occhi del resto del gregge non assume alcuna importanza. Non così per Dio, il quale ha più interesse e di conseguenza più gioia nel ritrovare chi si è perduto (anche se numericamente irrilevante) piuttosto che mantenersi tranquillo e sicuro con il resto del gregge, fedele alla sua voce.

Ecco, la voce: questo è un altro degli elementi che caratterizza questo testo. "Le mie pecore ascoltano la mia voce". Sappiamo bene come ognuno di noi abbia una tonalità di voce, un timbro che la contraddistingue da tutte le altre, per cui non facciamo alcuna fatica a riconoscere le persone dalla voce, molto più che dalla fisionomia, che spesso può cambiare o ingannare. La voce è il distintivo dell'identità di una persona, è ciò che ti permette di identificarla, è ciò con cui ci presentiamo agli altri dicendo il nostro nome e quindi entrando in relazione con essi. La voce è il momento d'incontro tra due personalità, e può essere anche il motivo di allontanamento, quando - non volendo incontrare una persona - si ode la sua voce nel corridoio o in una stanza vicina e ci si nasconde o si cambia luogo. Ascoltare la voce di Dio significa quindi riconoscere che lui c'è, e che desidera entrare in relazione con noi, perché "ci dà una voce", ci interpella, ci chiama a stare con lui e a dialogare con lui.

Voce e mano. Voce che ci invita a entrare in dialogo con lui; mano che ci afferra e dalla quale nessuno ci strapperà mai. Dio è per noi una voce e una mano. Una voce sicura e una mano forte, decisa, inviolabile. Sicurezza e inviolabilità che - condite dalla dimensione della misericordiosa pazienza che contraddistingue la figura del pastore - rendono Dio ossessivamente bisognoso e desideroso di stare con l'umanità. Per poi scoprire che è l'umanità, in fondo, ad avere bisogno di Dio, della sua voce e della sua mano.

A quale voce diamo ascolto? Quale mano cerchiamo, nel momento del bisogno, e quale mano ci viene tesa? E per chi, a nostra volta, possiamo essere voce e mano sicura sul sentiero della vita?

Ogni giorno ascoltiamo migliaia di voci, da quelle caotiche e confuse della strada, a quelle ammalianti e accattivanti dei mezzi di comunicazione sociale; dalla voce motivatamente adirata di mamma e papà, del coniuge o del datore di lavoro, a quella suadente e rassicurante dell'amico o della persona amata che ci rassicura nel momento della difficoltà.

Ogni giorno vediamo e guardiamo le mani di decine, centinaia di persone, con molte delle quali pure le nostre mani entrano in relazione, anche solo per stringerle in forma di saluto, o magari per fare un tratto di strada insieme nel più totale riposo e nel calore di un affetto, o per celarsi da uno sguardo indiscreto e minaccioso o a volte, purtroppo, per difenderci da altre mani che si avvicinano a noi con intenzioni non certo pacifiche.

Sicurezza, cordialità, pace e amore, ma anche rabbia, violenza, rifiuto e tensione: questo possono provocare in noi la voce e le mani dell'umanità, questo possiamo creare con le nostre stesse mani e con il tono della nostra voce. Sta solo a noi decidere.

Dio, il Pastore buono, ha già deciso. Nel suo grande e ossessivo bisogno di amore ci interpella con la sua voce, ci afferra con la sua mano. E impedirà a chiunque di farci del male.

 

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