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TESTO Commento su Giovanni 10,27-30

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (21/04/2013)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Paolo Ricciardi

Puntuale, ogni anno, in questa quarta domenica di Pasqua, ritorna il Buon Pastore. In realtà lui non ci abbandona mai, è sempre pronto a sostenerci, è qui... accanto, a condurci di nuovo ai pascoli della vita eterna, donandoci la certezza incrollabile di essere amati.

Già, perché sin dal primo istante in cui veniamo alla luce, nel profondo mistero del nostro cuore, nasce il bisogno di amare e di essere amati. È l'istinto primordiale che mette l'uomo in relazione con il proprio simile dando alla nostra vita un insieme di sentimenti, passioni, desideri, attese.

Lo sposo, il padre, la madre, il figlio, l'amico, ogni persona che riempie di significato la nostra vita è insieme segno e limite di una pienezza cui tutti aspiriamo e che ci può donare soltanto Dio.

In questo tempo di Pasqua, dopo esserci messi di fronte al Risorto che appare ai suoi discepoli, riempiendo di nuovo la "rete delle loro vite", oggi Egli appare a ciascuno di noi con un'immagine - il pastore - che, seppure per tanti aspetti non più per molti contemporanea, fa parte di uno "scenario dell'anima" che niente mai potrà cancellare.

Il pastore e le sue pecore ci riportano infatti in un mondo lontano che, proprio perché lontano, si è portati ad abbellire e a idealizzare. In realtà la vita del pastore palestinese nelle sabbie del deserto di Giuda non aveva nulla di poetico: era rude e faticosa, a volte anche pericolosa.

A noi comunque interessa cogliere le note di pace e di mitezza che ci sono nelle parole di Gesù, tanto più suggestive quanto più dolorosa è l'esperienza di un mondo, il nostro, consegnato alla legge del rumore e dell'agitazione, della crisi e della dispersione. Quando si è abituati a una vita spesso frenetica, soggetta a tensioni di ogni genere, è difficile non desiderare una vita diversa, governata da altri ritmi, dove ritrovare una pace che sembra così lontana. La pace di chi sa mettersi in silenzio ad ascoltare.

Nei pochi versetti del vangelo di oggi si parla infatti di voce e di ascolto e quindi si viene a celebrare indirettamente l'importanza del silenzio. Senza silenzio non ci può essere ascolto. In una società come la nostra dove ciascuno è assediato quasi in ogni istante da parole, chiacchiere, suoni, avvisi di sms e di twitter - anche in chiesa, durante la messa - occorre riscoprire il silenzio. Anche in questo tempo in cui la maggior parte dei politici sembra ascoltare se stessa piuttosto che gli altri, ci accorgiamo cosa significa lasciarci guidare da Chi, per noi, non usa solo parole, ma dà la sua vita.

Significa provare, di nuovo, a far tacere tutto e far parlare Dio.

E così scopro che Dio mi rivolge la sua Voce e che parla direttamente a me, perché lui ama ciascuno in modo personale. È stata l'esperienza della Maddalena, di Tommaso, dei due di Emmaus, di Pietro, di Giovanni. Lui sta parlando a me. Lui mi conosce.

La "conoscenza" nel linguaggio biblico non deriva da un processo puramente intellettuale, ma da una "esperienza", da una presenza che si effonde necessariamente in amore. Gesù non mi conosce formalmente, ma fa esperienza di me, con me. A me lui dà la "vita eterna", quindi non solo la vita fisica, né solamente la vita oltre la morte, ma la partecipazione alla vita stessa del suo essere Figlio di Dio.

Qui è il grande messaggio della Pasqua, confermato dalla lettura dell'Apocalisse: il Pastore si è fatto Agnello per amore nostro, si è talmente legato alla nostra umanità da non poterla più abbandonare. Le sue mani sono "inchiodate" a noi molto più di quanto lo erano sulla croce e nessuno potrà mai strapparci da esse.

"Nessuno le strapperà dalla mia mano": Nessuno, né angeli né uomini, né vita né morte, né presente né futuro, nulla potrà mai separarci dall'amore di Cristo, ci ripete l'apostolo Paolo (cf. Rm 8, 38).

La forza e la consolazione di questa parola assoluta, "nessuno", è subito raddoppiata: "le strapperà".

C'è un verbo non al presente, ma al futuro a indicare un'intera storia, lunga quanto il tempo di Dio.

L'uomo è, per Dio, una passione in grado di attraversare l'eternità.

"Nessuno... dalla mia mano"; "nessuno... dalla mano del Padre mio": sono le mani che hanno dispiegato i cieli e gettato le fondamenta della terra, mani di vasaio sull'argilla dell'Eden, mani di creatore su Adamo addormentato per far nascere Eva; mani inchiodate alla croce per un abbraccio che non può più terminare.

Nessuno ci separerà da queste mani: sono parole per darci coraggio, soprattutto nei momenti di prova. È l'esperienza dei tanti testimoni della fede di cui ci parla il libro dell'Apocalisse: una moltitudine immensa proveniente da ogni popolo. Sono testimoni in piedi (quindi vivi come l'Agnello), davanti all'Agnello (in relazione con Cristo), avvolti da vesti bianche (quindi partecipi della resurrezione) e portano palme nelle mani (segno della vittoria sul male e della pienezza della vita). Da sottolineare il particolare "lavaggio" delle vesti di questa moltitudine. Esse rimangono candide, bianche, pure, pur passando per il colore rosso del sangue dell'Agnello che è Cristo. È segno che, se ci doniamo a Dio, la grande prova del dolore diventa la porta per la gioia della visione di Dio.

Come bambini ci aggrappiamo forte a quella mano che non ci lascerà cadere.

S. Agostino, commentando il Salmo 39, ci rassicura e, nello stesso tempo, ci mette in guardia: "Il Signore ha cura di te, stai tranquillo. Ti sostiene colui che ti ha fatto, non cadere dalla mano del tuo creatore; se cadrai dalla mano del tuo artefice ti spezzerai" (S. Agostino, Esposizioni sui Salmi, 39, 27).

"Sì, nelle tue mani affido la mia vita". Allora Dio stesso mi verrà incontro tergendo le lacrime dai miei occhi.

Scenda allora sopra ognuno di noi questa antica benedizione gaelica: "La strada ti venga sempre dinanzi, e il vento soffi alle tue spalle e la rugiada bagni l'erba su cui poggi i passi. E il sorriso brilli sul tuo volto e il cielo ti copra di benedizioni. Possa una mano amica tergere le tue lacrime nel momento del dolore. Possa il Signore Iddio tenerti sul palmo della mano fino al nostro prossimo incontro".

 

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