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TESTO Commento su Giovanni 20,1-9

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Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (31/03/2013)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura delle Clarisse della Città di Pieve

Forse è bene quest'oggi cominciare a commentare la liturgia della Parola dal fondo, esattamente dall'ultimo versetto, che riporta la lettura che l'evangelista Giovanni dà della reazione sua e di Pietro di fronte al sepolcro vuoto: "Non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti". Trovo sia importante partire da qui, perché dobbiamo dire con onestà che tutti ci troviamo in qualche modo - chi più chi meno - in questa situazione: non abbiamo ancora compreso...

Sì, perché se avessimo veramente compreso che Gesù è risorto - è veramente risorto! -, penso proprio che ogni nostro problema, ansia, preoccupazione, timore... tutto sarebbe confinato in una dimensione della vita decisamente diversa. Nulla di tutto questo sarebbe più invadente come lo avvertiamo in genere, con quella capacità di catalizzare l'attenzione del cuore e della mente con tanta prepotenza; tutto diventerebbe invece occasione preziosa per morire con Gesù. E, se siamo morti, come Paolo ci ricorda, la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio: chi ci potrà a questo punto fare del male, chi potrà strapparci dall'abbraccio del Padre che ci ha nascosto all'ombra delle sue ali, chi ci potrà separare dal Suo amore (cf. Rm 8,31ss.)?

Ma non abbiamo ancora compreso... Ed è per questo che ogni anno il ciclo liturgico ci fa rivivere la gioia del mattino di Pasqua. Di più, che ogni domenica, Pasqua della settimana, ci mette di fronte a questo mistero di gloria. Anzi, di più ancora: ogni giorno, per chi ha la grazia di partecipare alla Messa quotidiana. C'è come una congiura pensata apposta per noi dalla Provvidenza del Padre, per ricordarci che "le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi" (Rm 8,18); che il dramma del giovedì, del venerdì e del sabato santo sfocia inesorabilmente nella gioia luminosa dell'alba della domenica.

Certo, questa mattina, però, la mattina di Pasqua, ha in sé una grazia tutta particolare, che dovremmo cercare di accogliere per tenerla in serbo per tutto il cammino del tempo che viene: non è a caso che il giorno di Pasqua si prolungherà per tutta la settimana dell'Ottava, per poi spalancarsi ancora alla grazia delle settimane che seguono... per cui tutti i prossimi 50 giorni ci vedranno impegnati nel canto gioioso dell'alleluia, perché tutta la nostra vita, tutta la nostra persona, faccia risuonare l'eco della grazia che oggi, pieni di stupore, raccogliamo davanti al sepolcro. Come porci allora di fronte a questo evento di luce, una luce talmente abbagliante che rischiamo di esserne accecati, come Paolo sulla via di Damasco (cf. At 9,1ss.)?

Proviamo a seguire i passi di Maria Maddalena, quelli di Pietro e Giovanni, andiamo al sepolcro con loro per imparare alla loro scuola a "vedere e credere".

Maria Maddalena esce quando ancora è notte: esce sfidando il buio dello smarrimento, della delusione, dello sconcerto; esce dalla logica del buon senso che le sussurra nel cuore l'inutilità del suo andare al sepolcro a quell'ora. Esce mossa da una logica diversa, quella dell'amore: perché l'amore non è illogico, ha soltanto una logica altra, quella della fede e della speranza. E sono la fede e la speranza a guidare i suoi passi nel buio, verso il dono di Pasqua. Dono che ha l'aspetto sconcertante di un sepolcro spalancato e vuoto, di fronte a cui la reazione è quella umanissima di pensare ad un furto e quella altrettanto umana di darsi subito da fare per recuperare quel Corpo amato, con la fretta appunto di chi ama. E' sempre la logica dell'amore che domina la scena.

E Maria Maddalena corre. Corre da Pietro e Giovanni, e questi ultimi a loro volta corrono insieme al sepolcro. Il discepolo che Gesù amava corre più svelto - non stupisce, visto che è l'amore il motore della corsa - e arriva prima, ma sa fermarsi e cedere il passo, perché l'amore vero è pieno di rispetto e di sapienza e riconosce le priorità. Entrano, prima Pietro e poi Giovanni, e ciò che appare ai loro occhi rende subito leggibile il mistero che si è compiuto nel silenzio della notte: di fatto, il sepolcro è vuoto, ma le parole udite dal Maestro lo illuminano (cf. Mc 8,31; 9,9-10) e rendono già percepibile, nella fede, la grazia di una Presenza nuova.
Cosa può voler dire allora per noi seguire i discepoli?

Vuol dire sfidare il buio delle nostre notti con la forza della fede e della speranza, sapendo che nel silenzio si sta compiendo un mistero di grazia, perché nessun sepolcro può imprigionare la Vita, e quella vita che noi attendiamo, una vita nuova, diversa, definitiva, prima o poi si manifesterà.

Vuol dire avere il coraggio di uscire dalle nostre logiche un po' depresse, per compiere gesti umanamente inutili, ma pieni della gratuità dell'amore, che si muove senza fare calcoli, perché - per citare quel sapiente cantore dell'amore che è S. Bernardo - "l'amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé, è a se stesso merito e premio... non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di sé".

Vuol dire non conoscere lentezze o indugi, ma correre sulle vie a volte impervie della fede; correre nella ricerca di ciò che si ama, non dandosi per vinti finché non si raggiunge la meta... come la sposa del Cantico dei cantici, che non si dà pace finché non ritrova Colui che è il senso della sua vita (cf. Ct 3,1-4).

Se si cerca così il Dio della vita e della gioia, con questa ostinazione, con questa tenacia, con questa sollecitudine, allora ci verranno dati in dono gli occhi di Pietro e Giovanni, o quegli stessi occhi della Maddalena, che dopo pochi istanti dalla scena evangelica che la liturgia ci propone riconoscerà il volto stesso del Risorto (cf. Gv 20,16). Ma è significativo che il vangelo di questa mattina ci lasci così, davanti al sepolcro vuoto, senza che Gesù si manifesti ancora nel suo corpo glorioso come farà tra poco: forse Gesù vuole che sia già Pasqua per noi così, semplicemente di fronte ad un vuoto che rimanda ad una Presenza altra, ancora misteriosa... Forse vuole che di fronte ai vuoti della nostra vita non attendiamo segni o prodigi grandiosi, ma impariamo a fidarci della sua Parola, della sua promessa, per essere beati di quella beatitudine - così attuale in questo anno della fede! - con cui tra pochi giorni Gesù richiamerà Tommaso dalla sua incredulità: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!".

 

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