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TESTO Il capretto e le prostitute. Uno scoop da Dio

don Marco Pozza  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (10/03/2013)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-3.11-32

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Col patrimonio in tasca anzitempo. Quel figlio ne ha le scatole piene dell'aria di casa: meglio i porci, le ghiande e le donne. Storia nota, purtroppo; storia che ci fa commuovere invece che ribaltare, storia di un uomo e di un Dio che, nonostante tutto si cercano. Il figlio è partito perché Dio ci lascia liberi, perché senza libertà non si danno quei movimenti autentici del cuore che Egli va cercando. Dio ti lascia partire. Sempre. Anche se il rischio di non rivederti mai più è grande. Ti lascia partire: poi si mette alla finestra. E quando ti vede in fondo al viale polveroso, si trasforma!

Sei verbi da gustare al rallentatore. "Lo vide". Il figlio è ancora lontano. Il figlio forse non intravede il Padre. Il figlio ha la testa bassa. Non importa: il padre già lo vede. Occhi che s'aprono. Occhi che cercano. Occhi che piangono.

"Si commosse". Il tempo di vedere la sagoma di quel figlio nostalgico e il cuore del Padre ha un sussulto: si commuove. Si commuove perché possiede un cuore di padre e uno di madre. Perché custodisce la severità e la tenerezza, il piglio severo e l'anima delicata. Si commuove perché la sua è una mani che accarezza. Mano che consola. Mano che nutre. Mano che incoraggia. Mano che dice: "Buonanotte". Mano che aspetta. Mano protesa, mano che costruisce, mano che rialza, mano come di un padre!" Sei stato brigante? Alza gli occhi e guardalo: appena ti scorge da lontano, non solo si commuove, ma si mette a correre! Corre, anche se nel mondo orientale correre non è dignitoso per un anziano. Corre, perché l'altro che viene verso di lui, il giovane, correre non può, tanto la fame lo ha sfinito. Corre perché l'amore fa scattare dentro una molla che lo sblocca. Corre, come Zaccheo che s'aggrappa al pari di una scimmia sul sicomoro. Se ne infischia della formalità, appende la sua dignità sul naso della gente e corre. E correndo accorcia la distanza che lo separa dal suo bambino. Si, anche oggi quello è suo figlio! Un Dio che corre: ma come fai a non commuoverti?

E poi rovescia la sua umanità. L'ha visto da lontano, ha sentito il cuore scoppiare, s'è messo a correre e adesso "si getta al collo". Si getta! Non s'appoggia, l'abbraccia, si posa. No: si getta! Sai perché? Perché Dio sa che, in fondo in fondo, siamo tutti malati di "coccolite": abbiamo tutti bisogno di qualcuno che ci abbracci, che ci stringa fino al sorgere della luce, che ci guardi e ti dica "ti voglio bene". Piccoli o grandi non importa: basta essere uomo per aver bisogno d'amore! Dio lo sa. E ti inchioda in un abbraccio! Ti fa piangere, perché abbracciandoti ti impedisce di inginocchiarti, t'impedisce di chiedere perdono. Delicatezza, sorpresa, amore! Ti porta in braccio Dio. Sai perché? Ti porta in braccio per poterti baciare!

"Il Padre - sintetizza la penna di Luca - lo baciò". Abbracciare è tanto. Baciare è di più. Dio punta al massimo. Indignarsi! Macché! Rimproverarlo? Macché! Insultarlo? Macché! E allora vai, baciamolo! Cristo bacia l'uomo: cioè guarda in faccia l'uomo, appoggia le sue labbra sulle sue, gli fa sentire il respiro, e il respiro diventa la sua voce! Lo bacia, perché il bacio è tutto. Il bacio racchiude tutto. Il bacio dice tutto: sto bene con te, ti amo, ti desidero, ti sono vicinissimo. Attento: ad una persona che baci non puoi dare del lei, devi dare del tu. Ad una persona che ti bacia, non puoi parlare con paura! Si dice che Dio tenga ogni persona per un filo. Bene, quando uno commette un errore un peccato, il filo si spezza. Allora Dio riannoda il filo. E così va a finire che più uno si allontana, più Dio se lo avvicina. Fino a baciarlo! L'ha baciato. E pensare che quel zingaro era convinto che il padre non ne volesse più saper di lui, dopo quella stupida avventura, che il padre non potesse più dei suoi colpi di testa. Invece si rende conto che il Padre non ne può più della sua assenza, non può più sopportare la sua lontananza ("Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo..."). L'unico "risarcimento danni" richiesto per il patrimonio sperperato in quella maniera è di non rifiutare i segni di un amore che non ne poteva più di aspettare.

    "Per far crescere dei bei fiori in un giardino ci vuole il concime. E' il nostro passato. Dio se ne serve per farci crescere. Quando lo sterco esce dal sedere del cavallo è troppo caldo, troppo acido, troppo denso. Puzza, è disgustoso. Se lo spandi subito sui fiori e sulle sementi, li brucia e li distrugge. Il concime bisogna farlo riposare, seccare, deve decomporsi lentamente. Con il tempo diventa malleabile, inodore, leggero, fecondo. E' allora che dà i fiori più belli e la crescita migliore. Dio si serve del nostro passato come concime per la nostra vita. Per farci crescere. Ma se tiene la testa nel tuo passato ancora caldo, quello ti soffoca. Bisogna lasciarlo riposare. Dentro di noi, col tempo e con la grazia, senza accorgercene, ciò che non va si decompone. Dobbiamo amare ciò di cui proviamo vergogna e che ci sembra ignobile. Quel concime diventerà fonte di fecondità. Il nostro passato, la nostra sofferenza, le nostre disavventure, le nostre grida, sono un canto nella lingua dei poveri. Non si può essere oggi senza essere stati ieri".
    (Tim Guénard, Più forte dell'odio, Tea 2007)

Il padre aspetta, ma per il fratello quel figlio potrebbe morire. Non si rende conto che pure lui dovrebbe far ritorno ammettendo, finalmente, di avere parecchie cose da farsi perdonare. Certo: farsi perdonare quella sua regolarità senza slanci, il suo perbenismo indisponente, le sue sfacciate moine, la pretesa di essere figlio esemplare senza accettare il figlio di suo padre. Farsi perdonare l'ubbidienza senza gioia, il lavoro interessato (interessato ad un miserabile capretto), l'atmosfera gelida che con la sua presenza crea nella casa. Farsi perdonare l'allergia alla festa e al perdono. Farsi perdonare che per la sorte del fratello non si è dato pensiero. Che per l'angoscia del padre - che ogni giorno se ne stava a spiare attraverso l'inferriata - non ha provato tenerezza. "Figlio, tutto ciò che è mio è tuo". Proprio questo gli fa paura. Gli fa paura di "fare suo" il cuore di papà, il suo amore senza misura. Si trattasse di amministrare giustizia e castighi, non avrebbe difficoltà alcuna. Ma qui si tratta di prodigare. E rimane lì, piantato sulla soglia di casa.

Condannato ad invecchiare sognando capretti e nutrendosi di borbottamenti. Incapace di gustare un cuore c'è tornato a vivere.

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