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TESTO Figlio, tu sei sempre con me

mons. Gianfranco Poma

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (10/03/2013)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-3.11-32

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Al centro del racconto di Luca (cap.15) incontriamo tre parabole che costituiscono non tanto il vertice del Vangelo (che è la Passione e la Gloria), ma sono il gioiello più prezioso dell'insegnamento di Gesù: attraverso l'accoglienza dei peccatori Dio conosce la gioia immensa di ritrovare e di salvare coloro che erano perduti alla quale tutti siamo invitati a partecipare. Così, Luca annuncia che attraverso lo sconcertante comportamento di Gesù, si rivela il volto nuovo di un Dio che guarda all'uomo con uno sguardo paterno, che non condanna il figlio che ha generato, ma lo ama; un Dio non giudice sadico di un uomo impotente per la sua condizione drammaticamente limitata; un Dio, Padre felice perché il figlio non cerca da solo la propria impossibile autorealizzazione, ma si lascia rigenerare dal suo amore. Così ci propone una nuova esperienza di Dio, non teoricamente, ma mostrandocela nei suoi gesti e nelle sue parole: vivendo una vita filiale, ci mostra il volto del Padre. Vivendo una vita fraterna, ci mostra una umanità nuova, fatta da una trama di relazioni non contaminate dalla paura reciproca, dall'invidia e dalla gelosia, dalla prepotenza ma espressione dell'amore che a tutti è donato dal Padre. Gesù ci propone l'esperienza di un Dio non arcigno e arrabbiato con noi, ma di un Dio che sperimenta la gioia di essere amato dai figli che si sono lasciati amare da lui. E Gesù, vivendola, ci propone l'esperienza di una comunità gioiosa perché rende visibile il volto gioioso del Padre.

La Liturgia della IV domenica di quaresima (Lc.15,1-3.11-32) omettendo le prime due parabole, collega direttamente le critiche dei farisei e degli scribi alla terza parabola e mette in evidenza la novità dell'esperienza di Dio che Gesù rivela.

"I pubblicani e i peccatori si avvicinavano tutti a lui per ascoltarlo. I Farisei e gli scribi mormoravano dicendo: Quest'uomo accoglie i peccatori e mangia con loro." Questa introduzione descrive bene l'atmosfera polemica nella quale si svolge la vita di Gesù: le sue frequentazioni sconvolgono le regole del rigore morale e delle convenzioni sociali. I Farisei e gli scribi che difendono la tradizione religiosa come guardiani scrupolosi della Legge, protestano di fronte all'accoglienza che Gesù riserva ai pubblicani ("raccoglitori di imposte") e ai peccatori: i pubblicani sono sospetti di collaborazione con i romani e di arricchimento illecito mentre il termine "peccatori" si applica a tutti i separati da Dio per motivo di impurità o di mancanza morale.

Le tre parabole di Lc.15 parlano di un Dio che ama persone che nessuno ama e che non sono amabili per nessuno: esse raggiungono il vertice nell'opposizione "perduto-ritrovato"(15,6.9.24.32) e nella gioia del "ritrovamento" (15.7.10.32). Ma Gesù parla di un Dio che ama, perché lui stesso ne fa l'esperienza e spiazzando ogni sistema etico o civile, lo mostra nel suo comportamento. Molti antichi profeti hanno chiamato i peccatori alla conversione, Gesù solo è andato a cercarli, li ha accolti, ha condiviso la mensa con loro, si è identificato con loro: in realtà Gesù parla della sua esperienza di uomo che abbraccia fin in fondo la dimensione umana e per questo sperimenta l'amore del Padre. A chi si scandalizza di lui, Gesù fa toccare con mano che si scandalizza di se stesso e si scandalizza di Dio e si autoesclude dalla gioia di una vita felice.

La terza parabola è di una ricchezza inesauribile: anche la lettura psicanalitica ci aiuta a comprenderla con maggiore profondità.

"Un uomo aveva due figli": è sufficiente che un uomo abbia due figli, per essere padre? Ma quando un uomo diventa veramente padre?

Il primo quadro riguarda il figlio minore (15,11-24), il figlio "perduto". Gesù sembra ammettere la colpevolezza di questo figlio: il ritratto che ne fa non è per niente benevolo. Secondo la legge giudaica egli ha diritto all'eredità di un terzo dei beni del padre: ma non aspetta la sua morte per pretenderla. La lettura psicanalitica interpreta la pretesa della propria parte di eredità quando il padre è ancora in vita come un omicidio simbolico, finalizzato all'affermazione della propria autosufficienza: ma l'uccisione del padre non può non condurre alla negazione della propria dimensione filiale. Così, di conseguenza, abbandonato a se stesso, comincia il degrado della sua esistenza, religioso e sociale, sintetizzato dal suo essere ridotto a guardiano dei porci (animali impuri), a servizio di un padrone pagano, senza neppure potersi nutrire delle carrube dei porci perché nessuno gliene dava. Perché non le prende lui stesso? La lettura psicanalitica interpreta questo come spia del fatto che egli non vuole ridursi al livello delle bestie. Ma questa situazione alla quale si è ridotto, corrisponde al tipo di "peccatore" dal quale i Farisei e gli scribi si tengono lontani.

La riflessione che egli fa è realistica: ha rifiutato il padre e ha perso anche la condizione di figlio; adesso, pur sentendone il radicale bisogno (nel suo desiderio chiama il padre) ritiene impossibile la rentegrazione nella famiglia se non come operaio.

La reazione del padre è sorprendente (ancora di più per la cultura del tempo): silenzioso, ha accondisceso alla richiesta del figlio e lo ha lasciato partire. Appena ha percepito la notizia del ritorno del figlio, diventa vivo (nasce il padre) e attivo: corre, gli si getta al collo, lo copre di baci, tronca la parola con la quale voleva umiliarsi e lo ristabilisce nella sua dignità e nei suoi diritti di figlio. "Questo figlio mio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a fare festa". Nell'amore donato ed accolto nasce la relazione Padre-Figlio: nasce la festa della vita. Nell'impensabile accoglienza di questo padre, traspare l'infinita com-passione di Dio che Gesù sperimenta e rende visibile nella sua condotta di fronte alla quale i Farisei e gli scribi si scandalizzano.

Il figlio maggiore riflette in realtà la loro esperienza: egli è pieno di gelosia, frustrazione, collera. Il suo rapporto con il padre è vissuto come un dovere ("da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito i tuoi ordini") piuttosto che come amore; festeggiare con il peccatore gli sembra un delitto insopportabile; rinnegare la fraternità è la logica conseguenza: al padre che gli parla di "tuo fratello, replica con "tuo figlio". Infatti è proprio su questa deficienza di relazione che il padre insiste, ricordandogli con una splendida frase: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto quello che è mio è tuo".

La relazione che lega il padre e il figlio ("tu sei sempre con me") è infinitamente più ricca, di quanto sia l'eredità che comunque gli spetta ("tutto quello che è mio è tuo"): che cosa è accaduto tra il padre e il figlio che ha fatto in modo che questo non si rendesse più conto della gioia che gli è offerta? Ciò che viene denunciato qui, è in realtà un errore che comincia dall'autocoscienza del figlio maggiore: considerandosi più servo che figlio, guarda al padre come padrone, La loro relazione è fatta di fedeltà a leggi e di giustizia. Dimenticata la relazione filiale, si deforma pure la relazione fraterna. Ciò che deve essere ritrovata è l'esperienza radicale di un Dio Padre che ama soltanto e che genera figli che condividono i doni, diversi, del suo amore, che si guardano come fratelli, non con immotivata gelosia.

Gesù è il Figlio che siede a mensa con i peccatori e si confonde con loro, proprio perché è il figlio che è sempre con il Padre e riceve tutto da lui e con loro vuole condividere la gioia della festa dell'amore. Perché i Farisei e gli scribi sono chiusi in se stessi: perché non credono l'amore del Padre verso i suoi figli?

In trasparenza Luca pensa alla sua comunità: è una comunità che rispecchia il volto di un Padre pieno di gioia perché i suoi figli sperimentano il suo amore infinito? Quale accoglienza sa riservare a coloro che si accostano ad essa per gustare la com-passione di Gesù?

 

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