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TESTO Il bisogno, il diritto, la misericordia

don Luciano Cantini  

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (10/03/2013)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-3.11-32

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

La parabola ci presenta tre protagonisti che potrebbero dare un titolo al brano: il padre misericordioso, il figlio prodigo, il figlio maggiore. Tutti la conosciamo come "parabola del figlio prodigo"; in realtà l'accento è posto sul padre, talmente "misericordioso" da scandalizzare il figlio maggiore. Proprio per i farisei e gli scribi che "mormoravano" contro la sua accoglienza e tolleranza (impersonati dal figlio primogenito), Gesù presenta un Dio sconvolgente. Un Dio la cui paternità valica i limiti del "buon senso" e le ragioni dei "benpensanti" al punto da suscitare irritazione e da scoprirne l'intolleranza.

Al centro di questa storia c'è il racconto dei ritorni paralleli a casa, se pure da luoghi molto diversi. Il figlio minore è tornato dalla miseria e dalla disperazione dopo aver toccato il fondo della dignità umana, il maggiore dalla assiduità dell'impegno, dalla continuità nella responsabilità della conduzione dell'azienda familiare.

Questi due ritorni sono "paralleli" proprio perché sembra non volersi incontrare.
Gli atteggiamenti, infatti sono diametralmente opposti.

Il figlio minore decide di tornare dal "padre" e di mettersi nelle sue mani (anche come garzone), l'altro torna a "casa" ma i suoni di festa lo insospettiscono e non entra, la sua diffidenza nei confronti del padre è preconcetta perché non sa cosa sia successo e cerca informazioni.

Il figliol prodigo, che aveva perduto ogni dignità, aveva deciso di ritornare dal padre: "Egli si rende conto che non ha più alcun diritto, se non quello di essere mercenario nella casa del padre. La sua decisione è presa in piena coscienza di ciò che ha meritato e di ciò a cui può ancora aver diritto secondo le norme della giustizia" (Dives in Misericordia - 5 - Giovanni Paolo II)

Il padre va oltre il bisogno dichiarato del figlio - il pane per vivere -, sa bene che il bisogno primario è la dignità di figlio e la sua paternità (è chiamato padre 6 volte dal narratore e 5 volte dal figlio minore): il vestito, i calzari, l'anello, il vitello ingrassato, la festa sono i segni che raccontano l'abbondanza della misericordia del padre che supera di gran lunga il bisogno del figlio, le sue aspettative e quelle degli ascoltatori della parabola.

Sentendosi non apprezzato e forse autocommiserandosi, il figlio ligio al dovere, meravigliosamente obbediente, si dimentica per un momento che egli non ha mai conosciuto la disperazione, la paura, la perdita di autostima. Egli si dimentica per un momento che tutte le mucche della tenuta sono già sue, come pure tutti i vestiti i sandali e quant'altro. La reazione del padre al ritorno del figlio minore gli appare inaudita.
Il criterio della giustizia distributiva è saltato.

Dove sono i diritti acquisiti da chi da sempre si è comportato secondo giustizia?

Ma l'atteggiamento del padre mostra che "un figlio, anche prodigo non cessa di essere figlio" e che questo rapporto di amore "non poteva essere né alienato, né distrutto da nessun comportamento" (Dives in Misericordia - 5 - Giovanni Paolo II)

Il primogenito non chiama mai il secondo fratello, ma figlio del padre, è il padre sottolineare che è suo fratello.

Per riconoscere l'amore del padre occorre riconoscersi figli, cioè riconoscere gli altri come propri fratelli. Lasciarsi riconciliare è lasciarsi amare, togliendo gli ostacoli della diffidenza e della sfiducia.

I due "ritorni paralleli" sembrano portare da una parte i bisogni dell'uomo, non solo quelli materiali della sopravvivenza, ma anche quelli propri della dignità personale e sociale, dall'altra i diritti derivati da una storia lunga, un lavoro intenso, una costanza nell'impegno.

Se un incontro è possibile tra i due "ritorni" lo si deve alla misericordia del padre che nella sua grandezza supera le previsioni, i preconcetti ed i limiti dei due "ritornanti". Li ricostruisce entrambi ridonando al primo la dignità di figlio ed al secondo la dignità di fratello. Nella misericordia del padre il bisogno dell'uno incontra il diritto dell'altro e questo incontro diventa motivo di festa.

Cosa ostacola a noi uomini, e a noi popoli, oggi, partecipare a questa festa?

 

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