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TESTO Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare

Riccardo Ripoli  

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Giovedì della III settimana di Quaresima (07/03/2013)

Vangelo: Lc 11,14-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

In molti parlano a vanvera, fanno promesse che poi non mantengono, giurano eterno amore e dopo un po' si lasciano. E certamente non è una cosa che non va bene, ma solitamente ogni opposto è errato, così anche il silenzio, il non parlare, il non dire mai "ho sbagliato" per orgoglio, il non intervenire quando si vede che una cosa non va bene, il non dialogo con i propri figli in crescita è un qualcosa che può fare grande danno.

Nel Vangelo si narra che Gesù ha scacciato un "demonio che era muto" come a voler dire che il restare in silenzio, il non esporre la propria idea anche se scomoda o dolorosa ad altri è comunque un peccato che possiamo sconfiggere chiedendo aiuto al Signore con la preghiera, magari affinché ci mandi qualcuno che ci solleciti a parlare.

Una volta sconfitto questo male sarà bello condividere con gli altri ciò che proviamo.

In molte riunioni ci sono persone che parlano, ed altri che stanno in silenzio. A volte è bene ascoltare, ma non sempre, non ad ogni riunione. Anche coloro che parlano tanto hanno bisogno di ricevere una parola, un po' di considerazione, un pensiero dall'esterno, fosse anche un dubbio, una domanda perché, come diceva Lacordaire "Ciò che veramente mi importa non è convincere di errore chi la pensa diversamente da me. Quanto unirmi a lui in una verità più alta".

Nel dialogo dobbiamo imparare ad usare mitezza e rispetto per l'altro. Se uno ci dice una cosa che non ci piace l'errore più grande che si possa fare è quello di arrabbiarsi perché si allontana da noi quella persona, rinunciando di fatto ad uno scambio che potrebbe portare ad una crescita, ad un miglioramento personale e del gruppo di cui si fa parte. Ascoltare non significa accettare passivamente ma cercare di interpretare le parole dell'altro guardando la realtà dal suo punto di vista, altrimenti ci chiudiamo in noi stessi, creiamo le nostre verità e godiamo della nostra insicurezza scambiandola per forza. La vera forza è quella che si mette nel cercare di migliorarsi e questo può passare attraverso un dolore, un momento di difficoltà, ma poi ci renderà gioiosi e consapevoli di un miglioramento.

Quando i ragazzi che sono passati da casa nostra, ormai uomini e donne, vengono a trovarci e vedono il nostro comportamento con i ragazzi di oggi ci dicono "con noi eravate molto più severi". Se abbiamo cambiato comportamento è frutto di un cammino lungo, lento e a volte doloroso legato al dialogo tra noi e con altri, all'ascolto di critiche e apprezzamenti, allo scambio di opinioni con altre realtà.

E' chiaro che se una persona ha una ferita e non la cura questa farà infezione ed ogni tanto uscirà da essa un bel po' di marcio, che poi pian piano si riformerà. Se arriva un amico e cerca di curarla, appena l'avrà toccata provocherà dolore. Le alternative sono due, o si lascia che la ferita continui ad infettarsi con grave danno per l'incolumità propria e di chi ci è vicino impedendo a chiunque di curarci, oppure si accetta che un amico ci faccia del male con l'intento di sanare la ferita. La prima soluzione è da codardi ed orgogliosi e non porta a nulla di buono, solo ad una sempre maggior infezione e dolore; la seconda è certamente dolorosa perché si va a toccare la carne viva, l'anima di una persona, ma con il tempo ci libererà da un dolore e da una preoccupazione, magari salvandoci la vita.

Non smetterò mai di dire la mia e cercherò di farlo sempre con mitezza e rispetto, e spero di avere sempre attorno persone che non si stanchino dei miei errori e mi critichino, purché lo facciano con mitezza e rispetto, senza puntare il dito giudicandomi, pur giudicando gli errori commessi. Voglio crescere e per farlo ho bisogno anche di coloro che hanno dubbi su di me. Non che i complimenti non facciano piacere, ma le critiche sono più costruttive.

 

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