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TESTO Il vero fondamento della legge e il vero peccato

padre Gian Franco Scarpitta  

V Domenica di Quaresima (Anno C) (17/03/2013)

Vangelo: Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Il popolo di Israele si trova esiliato a Babilonia e Isaia, portavoce del messaggio divino di salvezza, gli annuncia che non è più il caso di rammentare le tristezze del passato nefasto della deportazione, con tutte le pene e le angosce che essa ha causato. Adesso sta per iniziare una nuova vita, ci si sta per immergere in un ordine di cose del tutto innovativo e speranzoso, che viene tratteggiato con la metafora di una strada che taglia il deserto, rendendolo percorribile. Anche l'immagine dei corsi d'acqua nella steppa è esaltante, come pure quella della domatura degli animali feroci che diventano pacifici e avvicinabili: tutte fantastiche metafore che esprimono la pace prossima futura che si avrà nella riconciliazione con Dio. Ci si protende quindi verso il futuro di progresso e di pace che colmerà le attese e le speranze per le quali adesso si lotta e ci si affanna e il tutto sarà coronato dalla gloria del traguardo raggiunto. Così Paolo ai Filippesi si definisce "dimentico del passato e proteso verso l'avvenire", questa volta in forza della novità di vita che è Cristo.

Il Signore è Egli stesso il beneficio per tutti, il vantaggio certo di cui al presente si dispone e la meta ultima alla quale si aspira e per la quale vale la pena di vivere e di perseverare e pertanto ogni cosa adesso va reimpostata nella sua ottica e in ragione della novità che lui ci ha recato con la sua incarnazione. Una cosa nuova, una novità, che tuttavia non risalta finché non traspare nel nostro atteggiamento e nelle nostre opere. Deve essere evidenziata anche nella nostra forma mentis e nella cultura. Per esempio, in nome di questa novità di vita che è Cristo, va rivista da cima a fondo la nostra concezione del peccato e del giudizio: essa non può più riguardare la lettera scritta della legge, ma deve interessare la fondamentale dimensione del cuore e l'interiorità, che sono adesso gli unici giudici delle intenzioni e degli atti umani. In parole povere, non basta la normativa scritta, non sono sufficienti i codici di legiferazione per disciplinare il nostro comportamento etico e per valutare ciò che è peccato e ciò che non lo è. Anzi, la lettera scritta non ha più alcun senso in tal proposito, perché la novità apportata dal Verbo Incarnato incide la legge sul cuore dell'uomo e il metro di valutazione della legge etica è semplicemente l'amore.

Nella mentalità giudaica imperversava un certo legalismo fondamentali stico per il quale la legge e i comandamenti divini erano solo una forzatura esteriore, per la quale la fedeltà a Dio consisteva solamente nell'osservanza scrupolosa della legge scritta. Ma proprio questa rigidità portava a distogliere l'attenzione da quello che è il vero fondamento della Legge, cioè il rapporto d'amore con Dio e con il prossimo. Come invece esorterà Paolo in tempi successivi, occorre "rinnovarsi per il discernimento della volontà di Dio" perché fondamento della legge - appunto - è l'amore. E il criterio dell'amore è ben diverso da quello di una lettera scritta.

Ecco perché Gesù, cogliendo alla sprovvista chi voleva coglierlo alla sprovvista, ribatte con quella precisa risposta a coloro che gli stanno recando quella donna peccatrice che meritava di essere lapidata per la propria colpa: "Scagli per primo la pietra chi di voi non ha peccato". Stando alla legge scritta quella donna era effettivamente peccatrice e quella doveva essere la sua condanna; stando alle intenzioni del cuore e al vero fondamento della legge, il peccato non è una realtà che interessi solamente l'adulterio, ma è una caratteristica peculiare dell'uomo, una prerogativa che rende tutti gli uomini potenzialmente meritori di condanna e - chissà - magari meritori anch'essi di lapidazione! Non c'è dubbio che questa adultera ha commesso un grave misfatto, ma chi non ha mai peccato al punto di non meritare condanne? Siamo davvero convinti di essere, noi, meno peccatori di questa adultera? Solo chi è immune da colpe può legittimamente scagliare una o più pietre contro di lei, ma chi non si è mai macchiato di lacune gravi da poter dire di non meritare punizione alcuna? Già alcune domeniche or sono Gesù aveva ammonito che "Credete voi che quei galilei fossero più peccatori di tutti i galilei per avere subito una tale sorte? No, vi dico, ma se non vi ravvedete, tutti perirete allo stesso modo. E quei diciotto sui quali cadde la torre di Siloe e li uccise, credete voi che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi ravvedete, perirete tutti allo stesso modo." Il peccato non interessa insomma i soli protagonisti di un evento eclatante e sconvolgente, non riguarda i soli trasgressori delle grandi norme o delle prescrizioni etiche ma coinvolge chiunque è chiamato ad un rapporto di confidenza intima con Dio, quindi tutti gli uomini, indipendentemente dai loro singoli atti. Non è una mancata omologazione dei nostri atti ad una normativa scritta ben definita, ma una corrispondenza alla fondamentale vocazione dell'uomo alla vita e alla felicità, che solo la comunione con Dio può garantire, ragion per cui la sola valutazione possibile di esso la si dà a partire dal cuore e da quella che San Francesco di Paola definiva la "nostra casa", cioè la coscienza. In questo senso, peccare corrisponde a mancare all'appuntamento con il Signore anche nelle cose che comunemente noi riteniamo "marginali" o di "minore importanza", ma che in realtà ci darebbero moltissima materia di autocritica e di autocondanna. Il ci riguarda tutti, poiché ciascuno di noi ne è succube e ciascuno avrà sempre da valutare se stesso nell'ottica del suo rapporto con Dio. Cosicché, ancor prima di lanciare invettive sulle mancanze degli altri, occorre che impariamo a considerare noi stessi e le nostre deresponsabilità: come possiamo condannare i peccati altrui con tutta tranquillità se anche noi siamo peccatori? Se gli altri meritano la condanna e la lapidazione anche noi non siamo da meno!

Una frase tratta da varie parafrasi delle Scritture dice che "perdonare è liberare un prigioniero e accorgersi che questo prigioniero eri proprio tu." E siccome perdonare corrisponde ad amare e ad accogliere al di là delle imposizioni esteriori, resteremo sempre prigionieri delle lettere morte finché non faremo prevalere le ragioni del cuore e finché il senso della responsabilità personale non ci svincoli dai criteri tassativi di valutazione fittizia. Questi sono spesso pericolosi perché possono occluderci la visione di colpe e di mancanze effettivamente gravi che il nostro falso orgoglio ci impedisce di discernere e di evitare. Proprio come nel caso di tutti questi accusatori che si allontanano dal tempio dopo l'osservazione di Gesù, a partire dai più anziani fino agli ultimi. Gesù li ha messo di fronte alla loro realtà per cui adesso non possono che rimproverare se stessi, avendo rinvenuto di non essere meno peccatori di questa donna adultera, anche se ciascuno in uno specifico differente.

 

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