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TESTO Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli

Ileana Mortari - rito ambrosiano  

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III domenica di Quaresima (anno C) (03/03/2013)

Vangelo: Gv 8,31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Il brano evangelico odierno ci presenta una delle polemiche più aspre che troviamo nel Nuovo Testamento tra Gesù e i suoi avversari.

Il Nazareno è salito a Gerusalemme, alla Festa delle Capanne, che durava una settimana e ricordava i gesti prodigiosi compiuti da Dio nel deserto a favore del suo popolo; grandi luminarie venivano accese in tutta la città a ricordo della colonna di fuoco (segno della presenza di Dio) che aveva guidato gli Ebrei durante l'esodo dall'Egitto.

Al terzo giorno Gesù, che in precedenza aveva già compiuto alcuni "segni" (miracoli) attestanti la sua divinità, si mette ad insegnare nel recinto sacro del tempio, come erano soliti fare i profeti, e dice esplicitamente di sé: "Io sono la luce del mondo", cioè il rivelatore ultimo e definitivo inviato da Dio.

Molti credettero in lui (come dice Giovanni al v.30), ma molti altri, ritenendolo bestemmiatore e violatore del sabato, avevano già messo in atto vari tentativi per catturarlo e ucciderlo.

Ora siamo a un punto cruciale. Gesù parla a "Giudei che avevano creduto in lui" (v.31); perché questo verbo al passato? Con ogni probabilità qui si riflette la drammatica situazione in cui vennero a trovarsi i giudeo-cristiani della comunità giovannea dopo il 90, quando iniziò una vera e propria persecuzione da parte dei Giudei verso i seguaci di Gesù, espulsi dalla sinagoga, accusati di eresia e tradimento di Mosè e del monoteismo ebraico e anche fortemente discriminati sul piano giuridico e sociale. Il punto più controverso era proprio il riconoscimento di Gesù come figlio di Dio e molti cristiani erano incerti, se non tentati di abbandonare la comunità e tornare al giudaismo.

Così, nella ricostruzione di questo dialogo tra Gesù e alcuni Giudei, Giovanni offre precise indicazioni per sottoporre a verifica la propria sequela del Signore, valide non solo per i suoi contemporanei, ma per tutti coloro che si sarebbero detti "cristiani".

Il punto di partenza, e un po' il perno di tutto il discorso, è il riferimento alla Parola: occorre anzitutto accoglierla e ascoltarla, ma poi anche osservarla, custodirla e rimanervi fedeli, così come Gesù stesso osserva la parola del Padre (cfr.v.55).

Allora sarà possibile conoscere la verità, che in senso giovanneo non è quella genericamente intesa come esattezza o obiettività, ma la rivelazione su Gesù il Cristo: la sua origine da Dio e il suo significato di salvezza per tutti gli uomini. E questa verità smaschera il male che c'è nell'uomo e libera il bene che vi è prigioniero, così da restituire l'uomo a se stesso e alla sua dignità di figlio di Dio.

Ma i Giudei, anziché "ascoltare" Gesù, si arroccano sulle loro posizioni, sono sicuri di se stessi, orgogliosi della loro discendenza etnica da Abramo e si ritengono figli di Dio perché, a loro dire, non sono mai stati idolatri né hanno mancato di fedeltà all'alleanza.

Così dicono, appunto "a parole". Ma di fatto, di fronte all'Inviato da Dio, ai suoi "segni" e alle sue parole di verità, hanno provato solo rabbia e fastidio, tanto che già più volte hanno cercato di toglierlo di mezzo.

E ora, non potendo accusare Gesù di "peccato", cioè di infedeltà alla sua missione, non trovano di meglio che offenderlo dandogli del samaritano, dell'indemoniato e del presuntuoso ("Chi pretendi di essere? Uno più grande di Abramo?" - cfr. v.53)

Gesù non tace, dice fino in fondo la verità, gioca la sua ultima carta, perché è venuto a "recuperare ciò che era perduto" e tenta ancora una volta di aprire una breccia nel cuore indurito dei suoi interlocutori. Egli non ha cercato la sua gloria (come certi profeti di Samaria che si attribuivano una dignità divina), perché è il Padre suo che lo glorifica; né è mentitore, perché conosce il Padre e osserva la sua Parola; ed è superiore ad Abramo perché - afferma con grande solennità - "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono" (v.58)

Mentre Abramo, nella cui figura è condensata tutta la speranza dei Giudei, entra nell'esistenza e fa parte del processo della storia, Gesù esiste già prima di questo scorrere del tempo e permane come il Figlio che resta sempre nella casa del Padre (cfr. il v.35). L'espressione "Io Sono", già comparsa altre due volte nel corso del dibattito, riecheggia il nome del Dio fedele svelato a Mosè (Esodo 3,14: "Io sono colui che sono"), quel Dio che ora si rivela in Gesù e in Lui compie le promesse fatte ad Abramo e ai profeti.

Ma la cecità orgogliosa e ostinata dei Giudei impedisce loro di vedere anche l'evidenza e "allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui" (v.59), ritenuto con certezza un bestemmiatore. Gesù però si sottrae loro perché non era ancora venuta la sua Ora.

 

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