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TESTO Commento su Deuteronomio 6,4a;18,9-22; Romani 3,21-26; Giovanni 8, 31-59

don Raffaello Ciccone  

III domenica di Quaresima (anno C) (03/03/2013)

Vangelo: Deut 6,4a;18,9-22; Rm 3,21-26; Gv 8, 31-59 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Deuteronomio 6,4a;18,9-22
Mosè sta preparando l'entrata nella terra d'Israele che il Signore ha destinato al suo popolo.
Abitare una terra significa trasformarla come una propria casa: vi si sviluppa il lavoro, si costruiscono le abitazioni, si pongono i segni di culto. In particolare le scelte religiose lasciano tracce sulla terra che abitiamo e nel cuore di ciascuno. E poiché ci vorranno strutture e istituzioni per reggere questo popolo e governarlo in un cammino verso la propria pienezza e pace, nel libro del Deuteronomio, si apre una sezione in cui parlare di uffici e cariche: i giudici (16,18-20;17,2-13), la monarchia (17,14-20), i sacerdoti (18,1-8) ed i profeti (18,9-22).
Resta chiaro, comunque, che al centro della propria fede c'è un solo Signore. Nella terra in cui si entra il popolo troverà tracce di altre culture e religiosità, scoprirà comportamenti aberranti fatti in nome di Dio per cui, in circostanze drammatiche e pericolose, si arriva ad uccidere e a bruciare i propri figli e figlie in sacrificio agli dei. Il popolo d'Israele poi troverà culti magici e forme di divinazione che sono tentativi di mediazione contrapposti alla mediazione di Mosé (qui si fa l'elenco più completo delle pratiche superstiziose che sono 8: "la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, chi fa incantesimi, chi consulta i negromanti o gli indovini, chi interroga i morti"). Tutto questo si sviluppa soprattutto in momenti di crisi. E' male poiché tenta di ricattare la potenza di Dio a svelare il futuro e vuole costringere il Sigmore ad operare secondo i propri desideri insaziabili. Ma il futuro è nelle mani di Dio e il compito del popolo è quello di ascoltare il Signore. E se tutti questi "abomini" sono male, nascono dalla volontà di possedere, dalla pretesa della conquista e del potere, dalla ricerca di ricchezza e di potenza.
La profezia nasce dalla richiesta di mediazione sull'Oreb. Se Mosè può parlare con Dio faccia a faccia (Es33,11), perché il popolo deve accettare la rivelazione del Signore tra lampi e tuoni, come sull'Oreb? Il popolo ha paura e non vuole sentire la Parola del Signore proclamata in questo modo.
Questo disagio trova consenso e comprensione nel Signore stesso. Così, venendo incontro ai bisogni ed esigenze del suo popolo, dona loro i profeti. Anche il popolo d'Israele avrà persone che lo aiuteranno a nome di Dio come tutti i popoli hanno persone dotate di grandi poteri divinatori. Ma i profeti, che il Dio d'Israele invia, sono diversi: non saranno potenti né faranno paura, saranno i "profeti" disarmati e non ricatteranno nessuno. Porteranno la Parola del Signore e insegneranno ciò che il Signore vuole nella giustizia e nella pace.
Il Signore garantisce un profeta, a somiglianza di Mosè, che continuerà l'opera di Dio. I giudei aspettano, dice l'evangelista Giovanni, un nuovo profeta (Gv.1,21). Negli Atti (3,22-26) questo nuovo profeta è identificato con Gesù: "Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. (3,22).
Nella promessa il Signore garantisce, in tal modo, un nuovo modo di comunicazione. La Parola di Dio ha suscitato problemi sull'Oreb poiché si è vestita di forza tonante e fuoco.
Ora non ci si gioca sulla paura ma solo sulla Parola di Dio, il cui valore si può misurare da ciò che il profeta predica e garantisce, poiché si compie. Ma il profeta non è indovino. Egli proclama una seria rilettura di fatti, lo sgretolamento e la saldatura con la forza di Dio.
Anche oggi tutti noi siamo profeti per vocazione, a somiglianza di Gesù, essendo stati battezzati.
Riceviamo la sapienza di Dio e siamo chiamati ad analizzare le lacerazioni e le novità del mondo che è sempre sotto lo sguardo di Dio ed è tentato ogni giorno dal male. A noi tutti spetta l'impegno di aiutarlo a scoprire la forza di Dio e viverla quotidianamente.
Romani 3,21-26
Si parla spesso di giustizia di Dio e Paolo ci offre una prospettiva totalmente diversa da ciò che siamo abituati a pensare. Noi riteniamo che giustizia sia valutare in modo imparziale le persone ed il loro comportamento e retribuire ciascuno secondo i loro meriti. E invece, nella Scrittura, alla giustizia di Dio corrispondono la sua benevolenza, la sua grazia, la sua misericordia. Dio fa giustizia quando fa germogliare il bene, quando trasforma il peccatore in giusto. Perciò, già al tempo di Gesù, i migliori rabbini pensano che la giustizia e la bontà di Dio si manifestano verso coloro che non hanno alcun tesoro di misericordia. Paolo riprende questa intuizione, spiegando che Dio ha sviluppato la sua giustizia e misericordia in Gesù. "Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù" (23-24).
Poco prima Paolo ha ricordato (Rom 2,20-22) che perfino il popolo d'Israele, che possiede la legge, non è stato fedele alla legge. Ma il Signore ha deciso di giustificare il suo popolo e lo fa prima di qualunque azione buona. L'intervento di Dio si è sviluppato dando all'uomo un cuore nuovo come aveva predetto il profeta Ezechiele "Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo" (Ez 36,26-28). Paolo vede, nella parola "redenzione", l'immagine del comperare uno schiavo o liberare un prigioniero con il riscatto.
"È lui che Dio ha stabilito apertamente" (25). E' chiaro il richiamo alla crocifissione, palese a tutti quelli che hanno fede, come "manifestazione della giustizia di Dio per la remissione dei peccati passati." Ma qui si ricorda anche il "Propiziatorio" La traduzione letterale dice infatti: "Dio lo ha esposto come propiziatorio" (e viene tradotto "come strumento di espiazione"). Il Propiziatorio è il coperchio dell'arca su cui, nel giorno della espiazione, per purificare il popolo dai propri peccati, viene versato il sangue del capro, ucciso per la remissione dei peccati. Il "propiziatorio" è il punto d'incontro tra uomo e Dio, attraverso l'offerta del sangue; vengono in tal modo espiate e distrutte le colpe del popolo. Questa immagine, profondamente scolpita nella consapevolezza d'Israele, viene coraggiosamente applicata a Gesù da Paolo, al suo sangue che nella coscienza del popolo è vita. E quindi la crocifissione è come l'offerta della vita di Gesù che distrugge il male nel cuore dei popoli, il versamento del sangue sul propiziatorio. La morte di Gesù, allora, per chi è credente, non diventa maledizione per l'umanità, ma segno di giustizia di Dio che riconosce in Gesù il giusto e rende giusti tutti noi. Chi è credente scopre allora una speranza ed un amore pieno di Dio. Intravede un cammino fiducioso verso la santità stessa di Gesù.
Giovanni 8, 31-59
Questo testo, complesso e carico di fede e di lotte interne tra credenti, ha al centro, continuamente, la figura di Abramo, ricordato 8 volte e che, tuttavia, resta sullo sfondo non come il vertice della rivelazione, ma come colui che aspetta una soluzione matura nel suo cuore e quindi una speranza.
Il testo inizia con l'affermazione di Gesù: "Sono la luce del mondo" (8,12) e l'affermazione è fatta nel tempio, nella Festa delle Capanne, quando particolarmente splende ovunque la luce.
Gesù non vuole partecipare alla festa delle Capanne, a Gerusalemme, come invece vogliono i suoi parenti (7,3) che pretendono che, finalmente, si faccia pubblicità e si mostri per quello che è. Gesù deve far esplodere, come tutti sperano, il tempo del Messianismo. Ma Egli rifiuta di andarvi, affermando, esplicitamente, la pericolosità dell'andare a Gerusalemme. Ma poi, in incognito, si reca nella città santa e sale direttamente al tempio.
Egli parla pubblicamente, affrontando, come un buon maestro, i temi della Scrittura, tra lo stupore della gente che, comunque, si meraviglia della competenza senza che avesse frequentato dei famosi maestri. La discussione si fa subito accesa e intervengono solo alcuni che si ritengono esperti mentre la maggior parte delle persone ascolta. Le parole di Gesù sono subito di fuoco.
Giovanni ricorda che Gesù parla presso il "Tesoro" (8,20), il luogo dove si raccolgono i proventi della raccolta del popolo per il tempio. Dagli interventi precedenti e seguenti e dai giudizi, che Gesù dà del culto, si risente la denuncia di un pesante sfruttamento delle persone, riversato nelle casse del tempio stesso che è diventato luogo di commercio e di ricchezza, deformazione del culto e durezza di cuore.
Gesù parla, ma a suo rischio e pericolo. Giovanni, in questi due capitoli (7/8), ricorda 6 volte il verbo "uccidere". E, d'altra parte, il momento è tragico per il peccato della classe dirigente. Perciò, nella denuncia, Gesù chiaramente accetta di manifestarsi come Messia e come inviato dal Padre. La predicazione non propone "un'attesa, uno stare attenti, un preparatevi", ma diventa una chiara e drammatica proposta: "Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (vv31-32). E' pur vero che qualcuno presta attenzione a Gesù ("quelli che avevano creduto"v 31), ma Gesù li avvia immediatamente sull'itinerario dell'essere discepoli e nella responsabilità di accettare pienamente la sua parola. E aggiunge: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". Viene toccato un nervo scoperto per il mondo ebraico il quale, soggetto a Roma, aspetta il messia. Ma la liberazione - è convinto- avviene con le armi, non con l'accettare Gesù e il suo messaggio. D'altra parte i discendenti di Abramo hanno sangue reale (Gn 17,16: Dio dice di Sara, moglie di Abramo: «Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei». Essi non possono, per questo, diventare schiavi.
Gesù deve allora inerpicarsi sui difficili sentieri della libertà: essa non, viene dalla stirpe, ma viene da Dio. Ed esiste una verifica della libertà. Si prova con il comportamento. Chi è da Dio non è bugiardo né omicida: solo Dio è libero. Così Gesù si oppone alla classe dirigente poiché, nonostante la propria attestazione di fedeltà a Dio, vuole uccidere Gesù poiché teme di perdere privilegi e sicurezze.
I gesti e i segni di Gesù mettono troppo in discussione la loro vita e la loro impostazione religiosa.
Così, per un verso, Egli garantisce la libertà per chi accetta il suo messaggio (8,31-36), per un altro verso nega che i giudei abbiano come padre Abramo. Essi hanno un padre diverso (8,37-40).
L'accusa velata che Gesù pone e che i giudei sospettano di sentirsi dire è che essi dipendono dall'idolatria, "figli della prostituzione". Essi invece. rivendicano la propria fedeltà poiché riconoscono solo il Dio d'Israele.
In sintesi:
- 8,31-41a: la libertà, che i Giudei pretendono di avere già come figli di Abramo, viene dalla verità del Figlio;

- 8,41b-47 Gesù, passo passo, arriva a dichiarare che il loro Padre è il nemico di Dio, l'omicida, e quindi non vengono da Dio: si confronta la paternità di Dio e quella del diavolo.

- 8,48-58 La risposta è organizzata in tre invettive. Altro che messia. Egli è folle, indemoniato, bestemmiatore fedifrago. La fede e l'unità con Cristo fanno superare la morte, poiché Gesù è più grande del tempo e perfino di Abramo. Gesù, infatti, è "IO SONO" (traduzione del nome di Jahvè).

- 8,59 La conclusione è il tentativo di fare giustizia nel tempio, lapidando Gesù. E Gesù fugge e si sottrae.
Ma così, dice Giovanni, definitivamente Dio esce dal tempio (8,59).

 

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