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TESTO Commento su Gioiele 2, 12b - 18; Prima Corinti 9,24-27; Matteo 4,1-11

don Raffaello Ciccone  

I domenica di Quaresima (Anno C) (17/02/2013)

Vangelo: Gl 2, 12b – 18; 1Cor 9,24-27; Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,1-11

1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Gioiele 2, 12b - 18
Il libro di Gioiele sviluppa una nuova prospettiva di speranza, partendo dalla desolazione della natura sconfitta. Infatti si apre con un lamento sulla devastazione del paese, invaso da cavallette (1,2-12). Ma perché la situazione abbia una via d'uscita, sono necessarie penitenza e preghiere per affrontare i drammi del giorno del Signore. (1,13-2,17).
Non è Dio che gode a mandare castighi, ma la vita comporta spesso drammi e sconfitte.
Proprio questi avvenimenti obbligano a scendere in profondità nella nostra vita e ci impegnano a ritrovare i sentimenti veri, i pensieri più profondi e sinceri. E se la tradizione e la disperazione ci fanno "lacerare" i vestiti che nascondono malattie e piaghe per mostrarci a Dio nella nostra nudità senza infingimenti, né ipocrisie, il profeta ci invita a "lacerare il cuore".
Infatti il Signore è generoso, sa leggere i nostri pentimenti e le nostre paure. "Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male". Quello che va fatto è il prendere tutti coscienza del bisogno del cambiamento. Vi si debbono impegnare i vecchi e I giovani, i fanciulli ed i bambini lattanti, gli sposi e le loro famiglie.
Anche i sacerdoti, che stanno continuamente nel tempio e, disorientati piangeranno sulle tragedie che si compiono, anch'essi debbono pregare e supplicare il Signore per il male che verifica e per i peccati che compiamo ogni giorno.
Senza questa apertura di cuore e questa preghiera, tutto il paese, che è sotto la protezione di Dio, viene condannato alla derisione ed al ludibrio. Resta infatti nel giudizio dei popoli perfino il sospetto che non ci sia un Dio attento a questo popolo. Eppure Dio ama questo popolo e lo ha dimostrato. E' amato più di tutti, fino alla gelosia e nessuno può permettersi di mettere in dubbio questa predilezione e questa grandezza.
Il peccato che viene imputato è, in ogni caso, l'opacità dello sguardo che non è più puro e sa apprezzare solo lo star bene, il danaro ed il potere. Il benessere porta con sé l'allontanamento da Dio. E' la raccomandazione che Mosè fa al suo popolo, prospettando il tempo dell'insediamento e della stabilità: "Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile;" (Deut8,12-14).
1Corinti 9,24-27
Paolo sta sviluppando un suo pensiero che nasce da problemi di comunità e che lo portano a dover inventare comportamenti impensabili solo qualche anno prima. Al cap 8 affronta, infatti, il problema della carne di animali offerti agli idoli e il comportamento dei cristiani. Dice: "Gli idoli non esistono" e quindi è possibile mangiare carne offerta agli idoli senza problemi, a meno che ci si trovi di fronte ad una persona " debole" che si possa scandalizzare, non capendo il tuo comportamento. "Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai più carne, per non dare scandalo al mio fratello" (1 Cor8,13).
Per il bene del fratello bisogna rinunciare anche ai propri diritti personali. La carità non cerca il proprio benessere ma il bene degli altri (13,5). E per aiutare a capire, Paolo porta, in una sua testimonianza personale, l'applicazione di questi principi. Infatti egli non si avvale del diritto che gli compete, come apostolo, di essere mantenuto a spese della comunità e questo avviene per l'edificazione della Comunità stessa, "per non essere intralcio al Battesimo" (v 12). Del resto è quello che avviene nel mondo greco. Il maestro riceve uno stipendio e viene servito dai discepoli.
In conclusione, quando si fanno delle scelte, bisogna guardare all'essenziale. Come nello stadio.
Spesso Paolo utilizza esempi sportivi poiché lo sport entusiasma un po' tutti e, quando era giovane, probabilmente si allenava in qualche esercizio. A Corinto si svolgono i giochi dell'Istmo in onore di Poseidone. Molto famosi, secondi solo ai giochi Olimpici di Olimpia. Le gare dello stadio diventano un interessante termine di paragone. Per Paolo corrispondono all'astensione volontaria di cose per se lecite (come le carni agli idoli o come il suo mantenimento nella Comunità) per poter raggiungere il fine più alto a cui tiene di più: l'edificazione dell'altro. Paolo si rende conto di aver operato con lealtà e con giustizia nel suo ruolo di apostolato: "Pur essendo libero di fronte a tutti, mi sono fatto servo di tutti" (9,19), "il mio merito è predicare gratuitamente il Vangelo" (9,18).
Eppure lui stesso sente di aver bisogno della misericordia di Dio poiché, essere apostolo non garantisce la salvezza per sé. "Dopo aver predicato agli altri, io stesso non venga squalificato" (9,27).
In sintesi l'impegno di Paolo, "tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù" (9,27), può essere riletto nella linea della gratuità. L'esempio dello stadio comporta allora:
- la scoperta di uno stile quale l'atleta inaugura e che lo obbliga ad abbandonare tutto, essendo "disciplinato in tutto" (v 25);

- per l'atleta la sua fatica non garantisce una vittoria sicura ma la méta è tale che merita di essere inseguita seppure per una corona che appassisce" (v 25). Ma a noi il Signore garantisce una corona che dura sempre;
- il coraggio di operare "gratuitamente" per un premio che è il benessere e il vantaggio degli altri.
Questo deve restare al vertice dei propri pensieri.
Attenzione, premura, gratuità per il prossimo: superano e, nello stesso tempo, garantiscono la parola di cui siamo stati portatori.
Matteo 4,1-11
Col suo battesimo da Giovanni Gesù è entrato a pieno titolo nel popolo di Dio che aspetta la novità promessa e si è messo in fila per ricevere il segno della purificazione che inizia con il Battista l'attesa. Nella umiltà e nell'anonimato Gesù ha accolto la proposta del tempo nuovo e Dio manifesta su di Lui la sua bellezza e il suo intervento. I cieli che si aprono, lo Spirito che scende e le parole della voce («Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento») sono i tre segni di annuncio. Così Gesù è strappato dall'anonimato. Il tempo si compie in Lui ed è lo Spirito che lo inizia nel nuovo cammino di uomo, profeta e annunciatore, mentre maturerà in pienezza anche attorno a sé la coscienza dell'essere "il Figlio, l'amato".
E lo Spirito lo conduce nel deserto (4,1).
Ci sono tutti gli elementi per ritrovare un nuovo popolo in Gesù: il deserto, i 40 giorni: tempo della vita nella fiducia del Signore e richiamo del cammino dell'Esodo di Israele, la tentazione nella dimensione quotidiana dell'uomo a confronto con i propri istinti e tensioni e in difficoltà nell'accettare l'armonia della volontà di Dio. Si può dire che al vertice c'è il comando di Mosé nel Deuteronomio (6,5): "Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" secondo la tradizione ebraica. Così le tentazioni incoraggiano:
1. a non sottomettersi alla volontà di Dio ("cuore"),

2. a non amare con tutto se stessi il Signore fino alla morte ("anima"),
3. a non amare con quanto si possiede, con i propri beni ("forze").
Gesù è presentato come l'uomo nuovo, il giusto, il santo, la novità in pienezza. Il vero significato di "Figlio di Dio" sarà maturato dopo la risurrezione nella Comunità cristiana e corrisponderà alla divinità del Figlio rispetto al Padre, Sapienza eterna e Parola creatrice.
Le risposte di Gesù alle tentazioni non si fermano a ragionamenti umani o a scelte di convenienza, ma si aggrappano alla Parola del Signore.
Sta scritto: il ricorso alla Scrittura, in genere, è argomento decisivo per ogni discussione tra I rabbini, ma per Gesù è la garanzia del suo orientarsi nella esistenza. Quanto lo è per noi?
- Non di solo pane (vedi Deut 8,3): alla tentazione della fame, comprensibile nel deserto, Gesù offre la ferma fiducia che hanno i figli di Dio nell'Onnipotenza provvidente della Parola del Signore. Ma significa anche che di fronte al bisogno immediato bisogna lasciare spazio per motivazioni e ricerche più coraggiose.
- Non tenterai (Deut 6,16): dalla mancanza di fiducia nella Provvidenza il tentatore passa al lato opposto, suggerendo una eccessiva fiducia tale da mettere alla prova Dio, (severamente condannata nella Bibbia). Il cammino nella vita obbliga ad affrontare con le proprie forze problemi e difficoltà, senza pretendere che debba essere il Signore a risolvere ciò che non sappiamo o non vogliamo fare.
- Adorerai (Deut 6,13): Gesù risponde al tentatore, che vuole indurlo ad un messianismo terreno, richiamando il grande principio della fede ebraica che riconosce solo a Dio il culto, come unico sovrano del mondo e unico Signore. E siamo consapevoli che, continuamente, accanto sorgono idoli o potenze che vogliono toglierci la libertà di decidere o vogliono ingolosirci con le loro promesse.
- Per servirlo: gli angeli sono simbolo della riconquista del Paradiso terrestre da cui l'uomo era stato cacciato. Gesù, finalmente, apre orizzonti di novità piena.
Così questa domenica inizia con la garanzia che il Signore è accogliente e misericordioso.
Continua con l'esperienza forte di Paolo che ricorda il valore della libertà e della responsabilità.
Conclude con la coscienza della fatica e degli ostacoli in cui il Signore non ci lascia soli, poiché ci
offre il suo Spirito e la sua Parola.

 

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