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TESTO XXII Domenica del Tempo Ordinario/A

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XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/09/2002)

Vangelo: Mt 16,21-27 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 16,21-27

In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.

Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivente, aveva professato Pietro e beato te Simone aveva risposto Gesù. Oggi, lo stesso Pietro, è incapace di entrare nella logica di Gesù e viene rimproverato. Lungi da me, satana, tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Che fine ha fatto quel Pietro pieno di fede?

Fratelli nella Fede, non basta aver professato la fede una volta per tutte. Come non basta aver ricevuto il battesimo e la cresima per essere cristiani. La fede, il nostro rapporto con Dio è come la vita: non basta averla ricevuta; bisogna mantenerla, curarla, alimentarla. Di domenica in domenica il Risorto ci convoca per celebrare la sua pasqua, per farci partecipi della sua pienezza di vita.

La nostra esperienza quotidiana ci insegna che un autentico rapporto d'amore non è soltanto gratificazione, ma anche impegno e talvolta costoso sacrificio. Così è la fede. Come il profeta Geremia, anche il nostro rapporto con Dio ci costringe talvolta a diventare scomodi e a fare scelte che ci costano umiliazioni e sofferenze, incomprensioni.

Dall'altra parte, anche Gesù parla di sofferenza e di morte. Quando mai si è creduto che Dio potesse soffrire? Pensa Pietro! Anche noi ancora facciamo fatica a pensarlo. Siamo eredi di quel pensiero greco secondo cui la divinità non può assolutamente soffrire. Dio, proprio in virtù della sua perfezione, è beatitudine assoluta. Si può capire allora lo sconcerto di Pietro. Gesù, come Figlio di Dio, non avrebbe dovuto soffrire. Parlare di sofferenza voleva dire rimettere in discussione proprio quel titolo di "Figlio di Dio".

Invece, l'amore, il vero amore - questo è il punto di partenza - è sempre un amore crocifisso. L'amore, in altre parole non è mai separabile dalla sofferenza. Se tu ami, vuol dire che accetti di non appartenerti. Non sei più il solo padrone della tua vita. La tua esistenza, in forza dell'amore, non la trattieni più come un possesso esclusivo, ma lo consegni alla persona che tu ami. "Sei tu centro della mia vita, io vivo per te". L'amore, dunque è anche povero, debole, dipendente, sofferente. Quanto più si ama, tanto più si è pronti a donare e a soffrire. Gesù rivelazione dell'amore del Padre, ha assunto totalmente questa legge che è proprio del vero amore.

Da questo, abbiamo capito che amare è una faccenda seria. Amare vuol dire dare la vita. Anche se la cultura attuale è pronta a suggerire: per non dover soffrire, cancella l'amore dalla tua vita. Gesù invece ci insegna il cammino opposto: per la bellezza dell'amore vinci la paura della sofferenza. Noi siamo disputati e contesi da queste due opposte sollecitazioni, e non è facile scegliere la via più indicata da Cristo.

Gesù per conquistare la gloria ha indicato la strada, quella che porta alla croce. La croce appartiene agli uomini, la risurrezione appartiene a Dio. E' difficile accettare la croce. Infatti, noi in Chiesa siamo con Cristo, e fuori chiesa pienamente integrati nella mentalità comune che nega la croce di Cristo. Chi si sente, per esempio, di perdonare i nemici, di amare chi è diverso, di dare senza contropartita, di coltivare l'umiltà e la povertà? Certi nostri comportamenti sottintendono un rimprovero a Gesù, lo stesso rimprovero di Pietro: Questo non lo dovevi permettere, questo non lo dovevi dire. "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo", ci ha raccomandato l'apostolo Paolo. Purtroppo noi siamo circondati di questa mentalità, viviamo con questa mentalità.

Non basta offrire dei riti, per quanto belli; è la vita che deve essere trasformata in sacrificio e cioè in attività che piaccia a Dio e susciti la sua approvazione. Vita di famiglia, lavoro, impegno sociale o politico, cultura, svago... tutto ormai, per il cristiano, deve portare i segni della sua appartenenza a Dio. Anche dove c'è la sofferenza, non dimentichiamo mai, là c'è anche il Cristo.

Sei incomprensibile Gesù. Nella tua anima martoriata e scompigliata dal dolore c'è ancora amore per i tuoi nemici, per i tuoi persecutori, per i tuoi traditori.

Pronuncia anche sui miei peccati la parola di perdono del tuo incomprensibile amore. Dì anche per me al Padre: Perdonalo, perché non sa quello che fa. E così sia.

 

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