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TESTO Caparra gloriosa della risurrezione

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Quaresima (Anno C) (24/02/2013)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Come dice il Concilio Vaticano II, "a Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede" (Dei Verbum). Il che significa che a prendere l'iniziativa prima di manifestarsi all'uomo è Dio, che instaura con l'uomo un rapporto di amore e di assoluta fiducia e amicizia. Non la ragione o gli sforzi umani, siano essi fisici o intellettuali, possono darci modo di corrispondere a tanta gratuità divina, ma semplicemente la fede, la virtù teologale per la quale si entra liberamente in rapporto con Dio, accettando di aderire e di accogliere liberamente la sua manifestazione. La fede non è solo un credere, ma anche un aderire, un abbandonarsi fiducioso e disinvolto al Dio che si auto manifesta. Solo essa può disporci ad entrare in comunione intima con Colui che è la Verità per noi. Però siffatta fede non è possibile senza il terreno primario della conversione: il fatto stesso che Dio comunichi se stesso e si riveli, implica che egli chiami alla conversione. Quanto detto si può sintetizzare nella sola frase di Gesù: "Convertitevi (1) e credete al Vangelo (2)", poiché non si può credere e aderire senza aver prima avviato in se stessi un radicale mutamento in fatto di pensieri, atteggiamenti, costumi e azioni.

Ora, come già la scorsa domenica si meditava, la conversione non è un processo facile visto che, complice lo stato innegabile di umana debolezza, si è sempre vessati e soggetti a molteplici insidie e devianze e il nostro itinerario di ritorno a Dio conosce non pochi ostacoli e vacillamenti; ciò nonostante però esso è sostenuto dalla grazia di Dio che nello Spirito Santo alimenta la fiducia e la perseveranza inculcando sempre più coraggio e zelo nel cammino di perfezione. Ad ogni lotta corrisponde una meta e una ricompensa.

Nella liturgia di oggi di questa ricompensa vediamo la caparra e il preludio. Le letture di questa domenica sono propense infatti a regalarci una saggio della vittoria che segue alla lotta, della gioia che subentra ai patemi, del sollievo dopo la fatica... in sintesi della gloria della resurrezione che fa seguito alla croce.

Quando Abramo, per monito di Dio, abbandona la propria città natale e la terra nella quale è cresciuto, si incammina in un percorso di cui non conosce neppure le tappe e i singoli passi, poiché qualcun Altro lo ha tracciato per lui. Sa solamente che il suo peregrinare non è motivato dalla fatalità e lui stesso non è abbandonato al caso o alla sorte: è Dio che lo dirige verso un fine che sicuramente coinciderà con il bene per se stesso e per il suo prossimo. Si incammina quindi con fede, e questo gli merita che il Signore adesso lo rincuora con questa visione speciale e allusiva: una volta uccisi e squartati la giovenca, l'ariete, la capra e disposti i volatili come Dio gli ha indicato, verso sera vede il braciere ardente e una lampada accesa che passano attraverso le vittime animali ripartite. Comprende che il Signore non si è dimenticato di lui, ma che anzi ha ricordato la promessa fattagli anteriormente di una lunghissima discendenza e di una possente eredità. Questa rivelazione di incoraggiamento si ripeterà più volte e Abramo non potrà che trarne beneficio, sperimentando che la stessa vicenda che è chiamato a vivere per vocazione, nel solo essere accolta e vissuta con profondità, reca consolazione e sollievo. La stessa peregrinazione, insomma, anche se irta di ostacoli e imprevisti, è per lui motivo di sprone e di coraggio.

Abramo è emblema della fede e in questa sua vicenda di lotta e di concomitante sostegno del Signore ci ragguaglia che la fede consegue vantaggi e possibilità nella sua stessa professione: se si persevera fino in fondo nell'abbandono umile e incondizionato a Dio il suo stesso esercizio ci rincuorerà e ci darà sollievo, rinnovando in noi la costanza nella lotta. Ovviamente però questa fede gli deriva dalla radicale consapevolezza di dover fare di Dio l'unico riferimento della sua vita e di doversi affidare esclusivamente a lui in ogni ambito e in ogni circostanza. Insomma, Abramo vive la sua fede perché si è precedentemente convinto di Dio. Si è convertito.

Nella quaresima ritroviamo tutti gli elementi per vivere in prima persona la dimensione di Abramo, di essere stato prediletto da Dio e di vivere i rapporti con Lui come suo alleato.

La quaresima, quando vissuta nella debita radicalità e con impegno, comporta certo molteplici rinunce e conosce frustrazioni, fallimenti e difficoltà, come vuole la legge di qualsiasi obiettivo raggiunto; la vita stessa comporta il gravame delle altrui ingiustizie, dei soprusi e delle vili meschinità a cui siamo costretti nella dimensione di convivenza quotidiana, ma perseverare nei buoni propositi e prefiggerci continuamente gli obiettivi non mancherà di conseguire risultati proporzionati alle sfide e alle lotte sostenute.

Giacomo dirà poi: "Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla." E aggiunge più avanti: "Chi fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla."(Gc 1, 5 ess).

Anche la visione di cui Pietro, Giacomo e Giovanni sono spettatori (non casualmente) ci offre un preludio della gloria che consegue alla croce quaresimale e possiamo riscontrare già adesso i vantaggi che questo tempo propizio di rinuncia ci guadagnerà in futuro e al momento presente. I tre apostoli, in primis Simon Pietro che è stato appena eletto a guida e tutela del gregge di Cristo, sanno benissimo che il loro Maestro è indirizzato a Gerusalemme, dove il supplizio e l'impero delle tenebre lo attendono al varco, ma adesso riscontrano che questi patimenti che dovrà subire sono necessari affinché si riveli in lui la gloria manifesta del Padre, la stessa gloria di cui hanno ora un saggio davanti ai loro occhi. Essi sono straniti non già per lo spavento, ma per la gioia di vedere il loro Signore esaltato e imperante, rivestito dalle fulgide vesti della regalità e del potere invitto, insomma vedono in lui il Dio eterno e glorioso. Tale si mostrerà nelle apparizioni da risorto, tale lo vedono ora in anticipo, mentre compare loro accanto a Mosè (la Legge) ed Elia ( i profeti). La gioia li induce a non provvedere neppure a se stessi, visto che Pietro propone tre tende "una per te, una per Mosè e una per Elia". Lo stesso Pietro poi recherà questa visione come banco di prova dell'attendibilità assoluta delle sue testimonianze missionarie (2Pt 1, 16 - 21), ma quello che qui emerge è la verità della vittoria che emerge non solo come conseguenza della sopportazione, ma come dato contenuto in essa; il trionfo della gloria che si rende manifesto anticipatamente in questo singolarissimo episodio.

Vivere la croce è già sperimentare la risurrezione. Questo ci esorta e ci sprona a progredire sempre protesi in avanti, consapevoli che ogni negatività racchiude in se stessa il seme del positivo e ogni sconfitta racchiude il germe della vittoria. Ogni quaresima racchiude in se la caparra gloriosa della Risurrezione.

 

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