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TESTO Prendiamo il largo e gettiamo le reti

mons. Antonio Riboldi

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V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (10/02/2013)

Vangelo: Lc 5,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 5,1-11

In quel tempo, 1mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, 2vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. 3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». 5Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». 6Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. 7Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 8Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». 9Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; 10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 11E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

C'è una domanda che tante volte la gente rivolge a un sacerdote o ad un religioso: «Che cosa ci trova di così attraente nel fare la vita che fa?». Forse tanti rimangono stupiti dal «nulla» che apparentemente si ha seguendo Cristo. La meraviglia che si tramuta in domanda nasce probabilmente dal confronto che si fa con quanto invece offre la vita di questo mondo: una vita che può attrarre per i tanti idoli che si fanno amare con facilità e per come a volte riescono a contentare. La risposta è molto semplice: «Chi mi attrae fino alla follia è Gesù. Non è quindi prestigio o potenza, ma è la Persona più desiderabile che si possa incontrare; una Persona che offre semplicemente il Suo amore, come unico bene. Ma è un bene tanto grande che fa letteralmente sparire tutti gli altri beni». Difficile quindi decifrare il cielo che passa negli occhi di una persona che Dio ha chiamato a seguirLo, a starGli vicino. Difficile capirne il cuore tanto ingrandito dall'amore di Gesù. Difficile spiegare tutto ciò che si vive, quando ci si è fatti prendere totalmente da questo amore. Sarebbe come spiegare il Paradiso.

L'Evangelista Luca descrive minuziosamente la chiamata di Pietro: una chiamata fondamentale per la vita della Chiesa.

"In quel tempo, mentre Gesù, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: ‘Prendi il largo, e calate le reti per la pesca'.

Simone rispose: ‘Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti'. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: ‘Signore, allontanati da me che sono un peccatore'. Grande infatti era lo stupore che aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo, Giovanni, figli di Zebedeo che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: ‘Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini'. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono". (Lc. 5, 1-11)

Pietro era un pescatore che veniva da una pesca fallimentare. Aveva faticato tutta una notte sul lago di Tiberiade che conosceva palmo per palmo. Era in fondo una sua scelta di vita fare il pescatore. E un buon pescatore non esce mai in mare se non ha la quasi certezza di tornare con le reti piene. Tornare a mani vuote non voleva dire solo confessare una incapacità, ma anche e soprattutto non avere il sufficiente per vivere e fare vivere.

Ma quella notte, davanti al Maestro che aveva scelto di essere spettatore, era stata la notte del fallimento che è così ben espresso da Pietro: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla».

E Gesù vuole dare un segno a Pietro, proprio sul campo della sua competenza. «Prendi il largo e cala le reti». Pietro, dopo la confessione del suo fallimento, obbedisce dicendo: «Sulla tua parola getterò le reti».

Per me è stupendo questo atteggiamento di Pietro. Aveva mille e una ragione per essere furibondo contro se stesso, il mare e contro ogni speranza: perché trovarsi con le mani vuote dopo una grande fatica è come avere le gambe rotte. Supera se stesso e con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno che in fondo conosceva appena di vista o di fama, ma con il quale non aveva ancora alcuna familiarità, torna in mare avventurandosi al largo dove si misura capacità e coraggio. «E presero una quantità enorme di pesci che le reti si rompevano». Un fatto che intacca la dura crosta del pescatore, che si getta in ginocchio e così prega Gesù: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore». E' pronta la risposta di Gesù, che a sua volta getta le sue ineffabili reti verso Pietro, Giacomo e Giovanni: «Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini».

E' un poco la storia di tutti quanti Dio ha chiamato per diventare «pescatori di uomini». O se vogliamo anche di ogni battezzato, a sua volta chiamato e scelto da Gesù a seguirLo nel battesimo e nella Confermazione e quindi invitato a gettare le «sue reti al largo».

Il risultato non viene dalle nostre capacità, ma dalla fede sulla Sua Parola.

Tutti i giorni sentiamo, o ci auguriamo di sentire, la dolcezza di essere continuamente chiamati dal Maestro. A volte «per stare vicini a Lui» nella contemplazione, per gustare la gioia di essere da Lui amati. A volte chiamati a gettare le reti su questo mondo che è diventato un mare inquinato da mille veleni, dove è spesso difficile che sopravviva una qualche forma di vita vera, quella che viene da Dio. Facile che ci prenda la paura o lo scoraggiamento 'Non so più cosa fare per mio marito, per i miei figli, i miei amici, per la mia comunità». Sono confessioni quotidiane che sentiamo uscire dalla bocca di tanti genitori, parroci, educatori, gente comune che in pratica di fronte alla sensazione del fallimento ripete le parole di Pietro: «Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». Ed allora si sta stancamente a riva: senza osare mai, senza in pratica sfidare la parola di Dio che continua a dirci le stesse parole dette a Pietro: «Cala le reti al largo». E senza avere la fiducia di Pietro: «Sulla tua parola getterò le reti».

Il nostro è tempo di inevitabili fallimenti, se vogliamo, ma di meravigliose sfide, che conoscono la loro audacia nella fiducia in Dio che se chiama e manda sa di avere una potenza tale da abbattere ogni difficoltà. E' tempo di coraggio evangelico, che non è esibizionismo di potenza umana, ma di umile servizio alla fede ed agli uomini. La storia di Pietro divenuto poi «pescatore di uomini' lo dimostra e non solo allora, ma in tutta la storia della Chiesa. Sono impensabili alla luce della chiamata di Gesù, comunità o famiglie che sono ripiegate su se stesse, come avessero scelto le catacombe per vivere la propria vita cristiana, anziché le vie del mondo per recare la luce a tutti gli uomini. Al Signore che diceva a Isaia: «Chi manderò e chi andrà per noi?».

Il Profeta rispose: 'Eccomi, manda me!'. Dovrebbe questo essere l'atteggiamento di chi sente dentro di sé l'amore di Dio e l'amore per gli uomini.

Antonio Riboldi - Vescovo


MERCOLEDÌ DELLE CENERI

13 febbraio 2013

Abbiamo lasciato alle spalle quella farsa, usata a volte per nascondere ciò che veramente siamo, che si chiama carnevale. Ma c'è proprio bisogno di ricorrere a finte maschere, che vorrebbero dare al nostro volto, e quindi alla vita, l'espressione di ciò che non è? Direi proprio di no.

Troppe volte, tanti, la maschera se la portano addosso tutti i giorni: un volto che non può essere ‘volto di bellezza divina'.

E la Chiesa giustamente ci chiama a farci prendere per mano ed entrare nella Quaresima, tempo di grande spiritualità, con una cerimonia, suggestiva se vogliamo, ma soprattutto piena di verità.

Il Mercoledì delle Ceneri, cessato il chiasso carnevalesco, sparge sul nostro capo la cenere e ci ammonisce: "Uomo, donna, ricordati che sei cenere e cenere diventerai".

E non è forse così, se guardiamo alla nostra natura di creature e a come finiamo?

Quante volte recandomi al cimitero, questa verità mi si affaccia, vedendo come le ossa dei nostri cari, dopo qualche anno di sepoltura, finiscono in polvere, conservata in una teca, deposta nei loculi.

Ma non è semplice togliersi la maschera. È necessario ravvivare la nostra volontà di conversione a Dio, nell'umiltà della preghiera di invocazione: ‘Signore, donaci il tuo Spirito, per comprendere la nostra debolezza, ma credere fortemente nel tuo Amore misericordioso che ci salva'.
Buona Quaresima a tutti.

Antonio Riboldi - Vescovo
www.vescovoriboldi.it
riboldi@tin.it

 

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