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TESTO Nessuno più riusciva a domarlo

Riccardo Ripoli  

Lunedì della IV settimana del Tempo Ordinario (Anno I) (04/02/2013)

Vangelo: Mc 5,1-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Quando non sappiamo come affrontare una situazione diciamo "non ci riesco", ma cosa significa "non ci riesco"?
Significa rinunciare, significa abbandonare la lotta.

Ricordo una mia amica che si innamorò di un ragazzo, lei abitava al nord e lui al sud. Non so come lo avesse conosciuto, fatto sta che nacque un'amicizia e lei decise che quello avrebbe dovuto essere il suo uomo. Lui però era fidanzato e tutte le lusinghe di lei non servivano a niente. Passò un po' di tempo ed il ragazzo iniziò i preparativi per sposarsi, comprò casa, fissò la data delle nozze, arrivarono i regali e mancavano pochi giorni per coronare il suo sogno. Ma la mia amica non si era data per vinta ed un giorno si presentò a casa sua, a pochissimi giorni dallo sposalizio, e lo portò via alla rivale. Come abbia fatto non so, lascio a Dio ogni giudizio sulla moralità o sulla liceità dell'accaduto, ma una cosa è certa, questa ragazza non ha mai desistito, nemmeno davanti all'ineluttabile perché quando si ama non ci sono ostacoli che non si possano superare, non ci dolori che non si possano sopportare.

Quando si ha un obiettivo si guarda a quello e non si vede altro, ci si lascia scivolare addosso tutto il male che in tanti cercano di buttarti addosso.

Dal mio punto di vista non ritengo che il fine giustifichi i mezzi e sono certo che debbano esserci dei limiti di ordine morale e legale, ma solo quelli, non altri.

Pensate che tantissimi affidamenti e adozioni falliscono perché chi dovrebbe accogliere questi bambini li ospita e basta. Cosa significa accoglienza di un bambino? Vuol dire amare senza riserve anche se la persona che amiamo ci detesta; vuol dire educare con parole, esempi, soluzione alternative, premi e punizioni; vuol dire soffrire insieme, gioire insieme, camminare insieme; vuol dire esserci sempre anche quando ti vengono gridati addosso improperi di ogni genere e grado, anche quando vengono messi in atto comportamenti aberranti, anche quando con intenzione la persona che tu hai accolto mira a farti male.

Ospitalità significa solo dare una casa, da mangiare, dei vestiti e quando iniziano i problemi rifiutarsi di affrontarli e mettere fuori dalla porta quel ragazzo allorquando non si ha più voglia di subire.

Capita spesso che bambini piccoli vengano presi in affidamento o in adozione e poi mandati via dopo pochi anni o pochi mesi di convivenza.

Anche molte comunità che dell'accoglienza hanno fatto il loro lavoro, la loro professione tendono a risolvere il problema passando la patata bollente a qualcun altra. Ci sono arrivati spesso bambini distrutti da questi comportamenti, ragazzi che a tredici anni hanno fatto in cinque anni un percorso costellato di abbandoni: madre che picchiava, due adozioni fallite, separazione dalla sorella, nove comunità di accoglienza ed alla fine noi. Bambini che sono arrivati senza valori, senza amore, senza speranza e se ne sono andati con qualche principio in tasca da spendere nel modo che riterranno migliore.

E questo solo per citare casi concreti vissuti sulla nostra pelle, ma quanti ce ne sono di bambini rifiutati per la paura di lottare, per la paura di soffrire, per la paura di doversi mettere ogni giorno in discussione. Fatica? Si, tanta, ma come si può mettere alla porta un bambino perché ha delle difficoltà caratteriali? Siamo adulti o ragazzini anche noi? Da che mondo è mondo, l'adulto si prende cura del bambino e sa come deve fare e laddove non sa si ingegna, studia, prova, chiede consiglio, ma non esiste che molli la presa, perché se lasciamo la mano di quel bambino per il quale il Signore ha chiesto il nostro aiuto, è come condannarlo a morte certa, ad una vita di stenti, di problemi, di carcere, droga, prostituzione. E la colpa sarà nostra. "Nostra" di chi non ha accolto un bambino se avesse potuto, "nostra" di chi lo ha mandato via dalla propria casa e del proprio cuore, "nostra" di chi poteva fare e non ha fatto per supportare quella famiglia in difficoltà con quel bambino.

Se vediamo un drogato per la strada, ricordatevi che è quel bambino che qualche anno prima voi non avete aiutato. Non è sua la colpa se è drogato, se è sbandato, se è una prostituta, ma è di tutti coloro che niente hanno fatto per lui quando avrebbero potuto.

Non bisogna demordere, per amore di Dio bisogna stringere i denti, affrontare le nostre paure, portare sulle spalle il peso della loro sofferenza, alleviare i loro disagi, scacciare i loro incubi, ma sopratutto creare le basi per la serenità dando quell'amore che da bambini ci è stato donato.

 

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