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TESTO Commento Luca 13,1-9

Totustuus  

III Domenica di Quaresima (Anno C) (14/03/2004)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

NESSO TRA LE LETTURE

Mosè, davanti al roveto che non si consuma, è il simbolo dell'uomo davanti alla trascendenza di Dio, e simbolo dell'accettazione umile della chiamata divina a compiere una missione. Davanti a questa visione, Mosè deve restare scalzo, il terreno su cui cammina è sacro, è in presenza del Santo dei santi, deve purificarsi per stare alla presenza del Signore (prima lettura). Il vangelo parla ancora più esplicitamente dell'imperiosa necessità di convertirsi: "noi non siamo meno peccatori di coloro che hanno sofferto grandi disgrazie, e se non ci convertiamo, periremo ugualmente" (Vangelo). Paolo ci presenta un'interpretazione allegorica del passaggio nel deserto del popolo d'Israele e ci esorta a non essere increduli come gli israeliti, ma "a stare attenti a non cadere se stiamo in piedi", (seconda lettura).

MESSAGGIO DOTTRINALE

1. Le tappe della salvezza. Il periodo di quaresima ci presenta via via le grandi tappe della salvezza. Nella prima domenica di quaresima leggevamo il credo del popolo di Israele che narrava, in breve, la schiavitù in Egitto, la liberazione e la conquista della terra promessa. Nella seconda domenica abbiamo meditato sulla promessa fatta ad Abramo e sulla stipulazione dell'Alleanza. Questa terza domenica di quaresima, la liturgia ci offre uno dei brani più importanti della Bibbia: la teofanìa a Mosè, sul Monte Oreb. Questo brano è costruito come una prefigurazione di quella che sarà la consegna delle tavole della Legge sul Sinai. Il fuoco che non si consuma rappresenta la natura e la presenza di Dio. Perciò, quando Mosè si avvicina per vedere quello spettacolo insolito, viene invitato a togliersi i sandali; l'uomo non può avvicinarsi in qualsiasi modo al Dio Santo, ma è necessaria una purificazione, necessita una conversione dell'anima e del cuore.

I credenti si avvicinano al mistero pasquale, come Mosè si avvicinava al roveto ardente. In questo mistero, essi vedono la manifestazione di Dio, la presenza di Dio, la volontà di Dio di liberare il suo popolo dallo schiavitù del peccato. L'esperienza della gloria di Dio è per Mosè un impegno definitivo. Mosè comprende che la sua vita entra nella dimensione del divino, che il mandato di Dio non può essere respinto o interpretato in maniera diversa. E comprende l'immensa sproporzione che esiste tra il comandamento ricevuto, quello di liberare il suo popolo, e le forze di cui dispone; non ha neppure il dominio della parola. Inoltre, non ha ancora una conoscenza profonda di Dio: gli chiede il suo nome. Il Signore si rivela come "Io sono colui che sono". Cioè, Egli è l'unico Dio, non ce n'è un altro. Qualunque altro idolo è inganno per l'uomo. Dio è l'unico e solo a lui si deve servire e rendere culto. Nel versetto 12 del capitolo 3 dell'Esodo — versetto che la liturgia di oggi non riporta, ma che si trova nello stesso contesto — viene data a Mosè una conferma ed una prova. Gli viene detto: "Io sarò con te. Eccoti il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall'Egitto, servirete Dio su questo monte". La vera liberazione consisterà nel rendere culto al vero Dio nel deserto, e quello sarà il motivo per cui Mosè ripeterà al faraone più volte: "Dice il Signore, il Dio d'Israele: Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!" (cf. Es 5,1; Es 5,3; Es 8,4).

In Cristo avviene la vera liberazione dalla schiavitù, non più dal popolo egizio, bensì del peccato, tiranno ben più crudele. Il vero culto avviene in Cristo, agnello di Dio che è stato immolato per i nostri peccati. Egli, il nuovo Mosè, è colui che ci libera dalla schiavitù e ci conduce alla salvezza attraverso il suo mistero pasquale.

2. La conversione del cuore. Il vangelo ci sprona alla conversione del cuore. L'idea di fondo è chiara: noi non siamo meno peccatore degli altri, che hanno subito una morte ignominiosa. Tutti siamo altrettanto peccatori, e tutti abbiamo bisogno della misericordia divina. E questa misericordia divina è quella che viene sparsa abbondantemente in questo tempo quaresimale. È ora il tempo della salvezza, è questo il tempo della conversione. La parabola del fico sterile ci mostra, tuttavia, la pazienza di Dio che aspetta sempre il momento opportuno per la conversione del peccatore. Vediamo che la nostra vita è, in un certo modo, la visita del buon agricoltore che vanga e cura il fico affinché dia frutto. Questa conversione ha luogo dentro l'uomo, quando l'uomo entra dentro se stesso e rende autentica la sua vita, quando vede che le sue azioni non corrispondono con ciò che professa e, come il cieco dalla strada, supplica: "Figlio di David, abbi pietà di me". Non è sensato rimandare la conversione dell'anima. Non lo è, perché non sappiamo l'ora del termine finale del nostro passaggio su questa terra. Non lo è, perché solo la conversione a Dio ci rende davvero felici e ricolma la nostra anima di frutti. Non lo è, perché anche gli altri fratelli che pure sono di passaggio, insieme a me, in questa vita hanno bisogno di Dio e della mia testimonianza di vita.

SUGGERIMENTI PASTORALI

1. Il sacramento della penitenza. Il periodo della quaresima ci offre l'opportunità di rivalutare il sacramento della penitenza. La meditazione sulle tappe della salvezza che stiamo portando avanti in questo tempo quaresimale ci conducono alla conversione del cuore. Il Signore è vicino. Il Signore viene. Il Signore ha dato la sua vita per noi. Promuoviamo questo sacramento a tutti i livelli: coi piccoli, nella loro prima confessione e durante la loro infanzia; coi giovani, con giornate penitenziali ben preparate ed ambientate in un clima di pace e silenzio; con gli adulti, nei ritiri o in momenti specifici per occuparsi solo di loro. Tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio. Non ci allontaniamo dall'altare di Dio, perché solo in Dio è la nostra salvezza.

2. La vigilanza nella vita cristiana. Nel vasto campo dell'ascesi cristiana la vigilanza svolge un ruolo importante. Oggi san Paolo ci raccomanda: "chi sta in piede, veda di non cadere". Si tratta del santo timor di Dio, del timore di perdere Dio. Perciò dobbiamo vigilare: "il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare". La vigilanza non è uno stato di allarme ed inquietudine, al contrario, è il raccoglimento sereno e profondo di tutte le forze per vivere sempre in Dio, in pace, facendo il bene e praticando la carità. Chi vigila, come una buon sentinella, attende l'aurora, e sta attento affinché il nemico non entri nel suo terreno, vive con la speranza dell'alba ed è profeta di speranza.

 

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