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mons. Antonio Riboldi

II Domenica di Quaresima (Anno C) (07/03/2004)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

"Non ce la faccio proprio più a portare la croce che mi pesa sulle spalle – mi confidava una persona. Ci fosse almeno una certezza che serva a qualche cosa, ossia che da questa grande tribolazione un giorno spunti una speranza, uno sprazzo di luce. Ci fosse qualcuno che mi assicuri che questa vita è una croce da cui si può domani scendere e riprendere a camminare, con il respiro della speranza! A volte mi chiedo se Dio si sia divertito a farci dono, non di un modo per gustare il suo amore ed essere felici, ma un gusto inaccettabile di vederci soffrire. Che si debba soffrire, capisco, è necessario, perché capisco che chi ama dona e soffre. Ma ci sarà una Pasqua anche per noi?" E' il coro doloroso di una umanità intera, che soffre, chi per una ragione e chi per un'altra, ma si chiede se ci sarà un domani sereno, che sia il premio della vita.

Gesù sapeva che quanti Lui aveva scelto, perché stessero con Lui, dopo la pentecoste, avrebbero continuato a stare e camminare con Lui, per un tragitto che avrà fine nell'eternità. Stavano gli apostoli e tanta gente vicino a Lui, condividevano tutto di Lui...forse speravano in quel "povero profeta venuto da Nazaret", che proprio prometteva poco di sicuro, ma ascoltavano la Sua parola che aveva il fascino della Parola di Dio, ossia di quelle Parole che non sanno di polvere e di vuoto, come le nostre: non solo ma accompagnava le parole con prodigi, che solo uno che veniva da Dio, come un profeta, poteva compiere. Ma i loro sogni si infrangevano sulle rive di questa terra che è avara, molto avara di felicità, quella felicità che ha le sue radici in cielo. Seguivano Gesù, ma non Lo capivano ancora, e tanto meno erano pronti a seguirLo fino in fondo alla sua missione, che si sarebbe compiuta sul Calvario e quindi nella resurrezione.

Così un giorno prese con Sé i tre, che forse più amava, Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, soli con Lui, come depositari di segreti da conservare e rivelare a suo tempo. Gesù sceglie sempre il deserto, per le sue scelte di vita. E' solo nel deserto per 40 giorni, per prepararsi alla missione affidatagli dal Padre e lì è tentato da satana, perché scelga non quello che voleva il Padre, ma quello che voleva lui; scelte difficili quelle del Padre, scelte di amore; scelte facili, affascinanti quelle di satana, che cancellano il cielo per fare posto al suo regno, che nulla ha a che fare con il bisogno dell'uomo di felicità.

E sul monte, racconta 1'evangelista, Gesù pregava. "E mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia". Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva; "Questi è il mio Figlio, l'eletto: ascoltatelo". Poi Gesù restò solo (Lc.9,28-36)

Lo stupore del Tabor, in cui Gesù mostrò apertamente chi veramente era, aveva uno sfondo per Gesù di profonda tristezza, perché Gli veniva manifestato ciò che il Padre aveva stabilito per noi: Gerusalemme, il Calvario, la croce. E così il Tabor si collega con il Calvario. Qui è il trionfo dello splendore, là, il trionfo dell'abominio. Tutti avremmo forse chiesto di evadere da questa valle per stare sempre lassù e lasciare alle spalle le tristezze della vita. Ma il Tabor serviva solo per "spiegare le vie della vera rinascita al Cielo", con il "morire a noi stessi". Stava a spiegare la durezza della sofferenza che ci accompagna e che tante volte ci trova senza speranza. Noi siamo come i tre discepoli, che ebbero il privilegio di stare vicino a Gesù sul Tabor e nel Getsemani. Ma in tutti e due i casi il Vangelo ci dipinge "oppressi dal sonno", al punto che è Gesù che ci sveglia e ci invita a pregare e vegliare "perché lo spirito è pronto, ma la carne è debole".

Se sul Tabor i tre chiesero di fare tre tende e non muoversi più, nel Getsemani, all'arresto del Maestro, divennero preda dello spavento e della paura al punto non solo di fuggire e abbandonarlo, ma come fece Pietro di rinnegarlo. Avevano dimenticato totalmente il Tabor che ritroveranno invece il giorno della Resurrezione.

E la stessa storia di debolezza e di abbandono può capitare a noi nei momenti difficili, quando la vita non esplode nella bellezza, ma si fa durezza della croce, del sentirsi come Gesù, abbandonati da tutti.

Scriveva Mons. Bello: "Vi dico una cosa Se noi dovessimo abbandonare la croce su cui siamo confitti (non sconfitti) il mondo si scompenserebbe. E' come se venisse a mancare 1'ossigeno nell'aria, il sangue nelle vene, il sonno nella notte. La sofferenza tiene spiritualmente in piedi il mondo. Nella stessa misura in cui Gesù sorregge il cammino dell'Universo verso il traguardo del Regno. In questo Gesù è il nostro capo. Bellissimo, questa sera, sentircelo al centro, Gesù. Lui confitto su un versante della croce e noi confitti e non sconfitti sull'altro versante della croce, sul retro. Gesù, comunque, è in mezzo a noi. E' toccabile. E quando sentiamo il bisogno di lui, non è necessario urlare. Basta chiamarLo, perché Lui sta appena dietro di noi".

Ma forse questo discorso a volte ci trova, come gli apostoli, "oppressi dal sonno". La ragione forse è che ci manca una fede vera in Gesù.

Si chiedeva Paolo VI: "Se io domandessi agli uomini del nostro tempo; chi ritenete sia Gesù Cristo? Ditemi chi è il Signore? Chi è Gesù? Alla domanda, alcuni, molti, non risponderebbero, non sanno che dire. Esiste come una nube - questa sì è opaca, pesante - di ignoranza che preme su tanti. Si ha una vaga cognizione del Cristo, non lo si conosce bene, si cerca anzi alle volte di respingerlo. Al punto che all'offerta del Signore di seguirlo sul Tabor è ancora di più sul Calvario, per essere per tutti guida, maestro e forza, si risponde che non se ne sente il bisogno e si preferisce tenerlo lontano...C'è persino chi urla contro Cristo. Via - è il grido blasfemo - va alla croce! Lo vogliono come annullare e togliere dalla faccia della civiltà moderna...Ma noi affermiamo: "Gesù è come un tabernacolo in continuo movimento: è l'uomo, noi, che porta in sé l'ampiezza del cielo: è il Figlio di Dio fatto uomo, è il miracolo che passa sui sentieri della terra. Vuole solo essere incontrato, amato, farsi compagno sul Tabor e sul nostro Calvario con Lui" (Paolo VI, marzo 1964)

Siamo chiamati, oggi, a fargli compagnia sul Tabor, uniti nel silenzio, così difficile ma necessario per tutti. Soprattutto uniti nella preghiera che è il dialogo con il Padre. E farsi riempire il cuore della sua gloria, che ci sia memoria ed eredità nei momenti difficili simili al buio del Calvario. Questo è vivere la Quaresima. Un tempo meraviglioso, per uscire dalle ambiguità di una vita che si trascina senza meta, come allo sbando, ed ha bisogno di luce, tanta luce, come quella del Tabor. Ne saremo capaci? Per chi sente la necessità di "tempi nuovi" che sappiano del futuro, nato sul Tabor, direi proprio che è una grazia incamminarsi.

 

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