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TESTO Il carpentiere

don Cristiano Mauri  

Natale del Signore - messa nel giorno (25/12/2012)

Vangelo: Lc 2,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,1-14

1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli

e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

«Chissà perché, ma la pensavo più piccola» esordisco io, per rompere il ghiaccio. «La bottega? Oh, me lo dicono tutti!» Intanto mi allunghi una tazza di vino aromatizzato e ti chini a lavarmi i piedi in un gesto che mi è familiare. Già, chissà perché di te ci siamo fatti questa idea un po' da Mastro Geppetto secondo il Vangelo. Invece tu, Giuseppe di Nazareth, sei carpentiere, non falegname, e questa - va detto - è una signora bottega. Lasci cadere i miei complimenti col fare modesto che solo gli umili hanno e descrivi, con un velo di malinconia, la fatica di dover mandare avanti tutto da solo: Gesù è partito da tempo e tu non ti sei ancora riorganizzato. Maria non c'è. E' con Gesù. Tu invece no, tu non vai mai da Lui. Non è per te, dici, tu sei solo un carpentiere. Le donne, sì, che sanno quel che c'è da fare, ma tu? Tu, saresti d'impiccio. Lo accompagni da qui, piuttosto, sostenendolo coi frutti del tuo lavoro e che Maria regolarmente Gli porta. D'altronde, è quel che sai fare. E' quel che puoi fare. E' quel che hai sempre fatto e di cui sei sinceramente orgoglioso. Ebreo, carpentiere, marito e padre. Hai preso le mani ancora bambine di Gesù e ne hai fatto mani d'uomo: che dovessero tenere un martello, svolgere il rotolo della Torah, stringere la mano di un fratello, spezzare il pane della Pasqua, portavano il segno delle tue stesse mani. Ora ti emozioni fino alle lacrime nell'ascoltare dalle labbra di Maria le meraviglie che quelle mani sanno compiere. E quanto li attendi i racconti di tua moglie! Sono un balsamo alla solitudine che hai scelto di sostenere. Un martirio silente e paziente reso ancora più acuto dalle voci di paese che sbeffeggiano e infangano il nome di tuo figlio. Ti rammarichi sempre di non saper controbattere ma tu non hai troppe parole. Nemmeno all'angelo in sogno dicesti nulla. Fosti solo obbedienza. Scegliesti la fedeltà concreta e senza clamori a quel figlio, a quella donna, a Dio. Continui ad accompagnarlo così, da ebreo, carpentiere, marito, padre. Nel silenzio. Nella solitudine. In una fedeltà concreta e senza clamori. Come il lievito nella pasta hai agito, e ancora agisci, nella vita del Figlio di Dio. «Ma tu sei venuto per Lui, vero?» mi chiedi, interrompendo il tuo racconto. «No, sono venuto per te». Un sorriso ti illumina il viso mentre abbassi lo sguardo e dici: «Di solito vengono a cercare Lui». Da quando è partito sono molti gli stranieri che vengono a cercarLo e che, arrivando a Nazareth, si sorprendono di incontrare un padre carpentiere. «Sai, lui parla sempre di un altro Padre, mai di me». In effetti gli faccio notare che tra tutte le parabole usate da Gesù nessuna riguarda il suo lavoro e immagino che questo sia una delusione per lui. Gli brillano gli occhi mentre recita a memoria «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo che ha costruito la sua casa sulla roccia». Già, sei tu. Sei proprio tu il carpentiere saggio che costruisce su basi solide. Che sciocco sono! E dove mai Gesù avrà imparato le basi dell'edilizia se non alla scuola di un carpentiere che frequentava cantieri. «Ma dunque ci sei anche tu nel Vangelo di tuo figlio!». Basta questa domanda a trasformarti in un fiume in piena. Sì, ci sei anche tu. Ci sei nella lavanda dei piedi, perché era tua abitudine lavare i piedi agli ospiti al posto dei servi, invece che limitarti alle mani come da tradizione. Sei tu quell'uomo che Gesù spiava mentre si ritirava in segreto nella sua stanza a pregare e che andava di notte a far elemosina ai poveri perché nel buio nemmeno la sua destra sapesse ciò che la sinistra faceva. Vide te, Gesù, regalare una porta nuova a quell'uomo che minacciava di rifarsi al giudice per una riparazione mal fatta alla ruota del carretto. «Diamo a Cesare quel che è di Cesare» ripetevi ogni volta che pagavi la tassa per il tempio. E anche quando il lavoro non era florido non mancavi mai di regalare alla tua sposa qualche libbra di unguento profumato di puro nardo. E deve ringraziare te se imparò il mestiere del pastore quando lo costringesti a lavorare sotto padrone per farsi un po' le ossa. Sì, ci sei anche tu nel Vangelo di tuo Figlio. Anche in quello, però, in modo nascosto, anonimo ma fecondo e concreto, come il lievito nella pasta. «Ma non mi hai ancora detto il motivo della tua visita!» mi dici, scuotendo via dagli occhi i tuoi ricordi. «La nascita, sono venuto per chiederti del Suo Natale». Torni silenzioso. I tuoi occhi prendono il colore dell'abisso, come se sporgessero verso un mistero infinito. «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella, padre e madre». Reciti queste parole con lentezza e solennità spiegandomi con pudore che quel Vangelo, più di ogni altro, sei tu. E' così. In te - e nella tua sposa - Gesù ha visto realizzarsi la familiarità secondo la fede, fondata sulla volontà di Dio, nutrita dallo Spirito Santo. In te che fosti suo padre solo per disegno divino. In te che fosti marito di Maria prima secondo la volontà del Padre che secondo il tuo desiderio di uomo. In voi che lo Spirito ha reso fecondi più che i vostri corpi. In quella vostra casa in cui, certamente, imparò a guardare lo straniero come un amico e il nemico come un fratello. Tu, Giuseppe carpentiere di Galilea, hai fatto tuo malgrado una teologia delle relazioni, insegnando al tuo stesso figlio che la fede nella volontà di Dio crea legami più potenti di quelli di sangue, vincoli con diritti e doveri ancor più intensi e coinvolgenti di quelli di parentela. In te, nella tua sposa, nel vostro figlio si inaugura una nuova economia dei rapporti umani: la familiarità secondo il Vangelo. Mi racconti che provasti un brivido intenso quando Maria ti raccontò quell'episodio citandoti le parole del Figlio. Fu allora che capisti qual era stata la grandezza della tua vocazione e come, insieme alle mani di quel bimbo, tu guidasti il suo cuore e persino la sua fede. Quelle parole furono il tuo Natale, vero Giuseppe? Quel giorno a Betlemme tu comprendesti in profondità che il desiderio di Dio era l'inaugurazione di una nuova storia di comunione tra gli uomini. Una comunione che era Sua volontà. Una comunione che superava le misure dell'uomo, della sua carne e del suo sangue.

E' tardi, me ne vado. Mi stai già guardando come un figlio mentre mi allontano. Questo è il Natale che mi consegni Giuseppe, carpentiere di Nazareth.

Questo è il Natale che auguro a me e alla mia Chiesa.

Il Natale di coloro che nel silenzio e nel nascondimento tessono trame evangeliche costruendo relazioni fondate sulla parola del Vangelo avendo il coraggio di andare oltre il calcolo, il limite, la misura umana, il riscontro del sangue. Il Natale di chi nell'anonimato più oscuro fa spazio a quel lievito nella pasta che è lo Spirito e si rende disponibile ad amare al modo di Gesù Cristo, costruendo il Regno senza la luce dei riflettori e lontano dalla ribalta delle istituzioni, degli apparati, delle strutture, delle strategie pastorali. Il Natale che fonda un'economia nuova di relazioni e rapporti umani in cui l'altro, chiunque sia questo altro, è sempre e comunque storia di me perché Cristo l'ha chiamato, come me, fratello. Il Natale che sia certo la festa della famiglia, ma della famiglia cristiana, che lungi dall'essere la copia cattolica di quella del Mulino Bianco è invece quella fatta con il Vangelo in mano e che vive nella costante preoccupazione di dare familiarità anzitutto a chi non l'ha mai avuta, l'ha perduta o non potrà mai averne. Il Natale che mette con le spalle al muro le nostre retoriche buoniste sull'essere famiglia e che ci ricorda che la nascita di Cristo è il ribaltamento degli ordini di privilegio - anche di relazione, sì - costruiti dagli uomini, per far spazio alla logica di Dio. Come fu per Giuseppe, carpentiere di Nazareth, marito per fede e padre per volontà di Dio.

 

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