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TESTO La Parola di Dio sui piccoli della storia

don Alberto Brignoli  

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II Domenica di Avvento (Anno C) (09/12/2012)

Vangelo: Lc 3,1-6 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 3,1-6

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

5Ogni burrone sarà riempito,

ogni monte e ogni colle sarà abbassato;

le vie tortuose diverranno diritte

e quelle impervie, spianate.

6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

Chi pensa che la vita di fede, o comunque il riferimento ai valori dell'assoluto, sia da relegare a una sfera che sta fuori dallo spazio e dal tempo, a un ambito spirituale che nulla ha a che vedere con quanto accade nella storia, o alla sfera di un intimo rapporto personale con Dio che, in questo modo, permetta di rifugiarci e scappare dalle amarezze e dalle difficoltà del quotidiano...beh, allora è sufficiente che legga le prime righe del brano di Vangelo di oggi per convincersi che non è così.

Quando il predicatore Giovanni appare nel deserto di Giudea - quindi in uno spazio geografico ben determinato - a proporre "un battesimo di conversione per il perdono dei peccati", la sua parola si trova a risuonare in mezzo a un contesto storico preciso, determinato, nel quale ci sono sovrani della terra i cui nomi (alcuni dei quali per la verità quasi sconosciuti) hanno certamente un'importanza e una funzione sociale e civile decisamente superiore a quella del figlio di Zaccaria, un vecchio sacerdote della classe di Abia (allora quasi certamente già defunto), originario di uno sperduto villaggio delle montagne di Giudea, di nome Ain Karim. Proprio un bel contrasto, con la nobiltà romana di Tiberio Cesare Augusto, secondo imperatore di Roma!

Magari, c'è anche un po' di ironia dell'evangelista Luca, che scarta i sette nomi di grandi dell'epoca (chissà perché proprio sette...nella Bibbia non è mai un numero a caso...che la perfezione sia altrove?) da lui elencati come possibili destinatari della parola di Dio, la quale, invece di finire su Ponzio Pilato a Gerusalemme o su Erode, tetrarca di Galilea, o per lo meno su uno dei due sommi sacerdoti Anna e Caifa (certamente buoni conoscitori della Torah), nel 29 dopo Cristo (non un anno prima né un anno dopo) venne su Giovanni da Ain Karim che in quel momento si trovava nel deserto... Ironia, sì, perché c'era qualcuno senz'altro più meritevole di lui, dal punto di visto umano, per essere ritenuto depositario della parola di Dio. E soprattutto, Roma o anche solo Gerusalemme sarebbero state delle piazze più importanti per proclamare al popolo i disegni della volontà di Dio sull'umanità. E Dio sceglie Giovanni da Ain Karim, nel deserto.

Allora, Dio sconvolge i nostri modi di pensare non solo dicendoci che la sfera della fede e dei valori dello spirito non sono avulsi e lontani da una ben precisa situazione storica e geografica alla quale ognuno di noi fa riferimento sin dalla propria nascita, ma addirittura facendo destinatari della sua parola i deboli, coloro che agli occhi del mondo sono un nulla per discendenza, origine, e forse pure per preparazione culturale, e scartando da questo gioco i potenti. Pochi capitoli prima, nello stesso Vangelo di Luca, questa rivoluzione di Dio che depone i potenti dai troni e innalza gli umili era già stata meravigliosamente cantata da una ragazza di Nazareth, tra l'altro cugina della madre di questo Giovanni da Ain Karim. E ora, la storia si ripete.

Ma si ripete soprattutto la rivoluzione di Dio, il cambiamento totale di prospettiva, la conversione totale degli ideali di gloria dell'uomo che pensa di impadronirsi di una storia della quale invece padrone e signore è un altro; e quest'Altro, ci rivela i suoi piani attraverso gli ultimi della storia. La Parola di Dio ce lo dice più volte: "Le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Ed è alle vie di Dio che ci dobbiamo conformare; è lungo le vie di Dio che dobbiamo camminare; è sulle vie di Dio che vediamo camminare gli uomini senza che essi, e noi con loro, spesso si accorgano che stanno camminando sulle stesse vie di Dio. Per vedere la salvezza di Dio, occorre però che queste vie siano ben chiare ed evidenti ai nostri occhi; è necessario che ogni burrone venga riempito, per poterci camminare sopra; è bene che monti e colli vengano abbassati, che le vie tortuose vengano spianate, perché il camminare dell'uomo sia più spedito e veloce.

Ogni anno, pare, siamo qui ad ascoltare queste belle e suggestive parole di Giovanni, che risuonano ormai come slogan del tempo di Avvento; non sarebbe Avvento, se ogni anno non ascoltassimo queste sue parole... ma il rischio è che queste parole rimangano, appunto, sempre belle parole. Questa storia, nella quale esse risuonano, rischia di lasciarsi sconvolgere poco dalle parole del profeta. Anzi, la storia ha sempre fatto dei profeti quello che voleva; e se noi oggi li ricordiamo come tali, è perché sono stati talmente "profetici", nel loro tempo, da non essere per nulla capiti, e molte volte hanno fatto la fine del Battista.

Ma la storia non è "cosa altra" dalla realtà di ogni giorno. La storia siamo noi; e se diciamo che la storia non si è fatta sconvolgere, convertire, cambiare, dalla parola di Dio venuta sul profeta di turno, stiamo ammettendo che neppure noi ci siamo lasciati cambiare, sconvolgere, convertire dalla parola. Costa, certo che costa!, appianare le vette del nostro orgoglio, riempire le lacunose valli della nostra ignoranza, raddrizzare il tiro delle nostre laconiche e inutili affermazioni, e preparare la strada al Signore che viene a cambiare la nostra vita, goccia a goccia, giorno dopo giorno. Ma se non ci fosse una parola che ogni anno ce lo ricorda, sarebbe davvero inutile continuare a sperare in qualcosa di migliore.

Oggi, la dimensione della speranza è ciò di cui abbiamo più bisogno, in un momento storico e sociale che non promette nulla di buono. Allora, forse, la conversione più grande che dobbiamo operare in questo tempo di Avvento, più che un insieme di sacrifici e di pratiche penitenziali tipiche di altri tempi dell'anno, è questa: lasciare che sia Dio a guidare i nostri pasi sulla sua via, cambiare la direzione del nostro cammino per fare in modo che sia lui a dettarci la strada. I grandi della storia, questo, non lo sanno fare. Loro ci sanno dare altre certezze, forse più concrete, di certo spesso anche drammatiche e dannose per l'umanità. Dio ci lascia nell'incertezza del trovarci per strada, in cammino, nell'incertezza di una casa che non è una casa, ma è una tenda, da risollevare ogni volta e da piantare là dove lui dice.

Di precarietà, pare, stiamo diventando tutti esperti. Affidiamola a Dio: se la nostra precarietà è nelle sue mani, forse abbiamo ancora una flebile speranza che possa convertirsi in una serie di piccole certezze. Anche di quelle abbiamo davvero tanto bisogno.

 

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