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TESTO La bussola e il cammino

don Fulvio Bertellini

I Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2004)

Vangelo: Lc 4,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,1-13

1Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».

5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». 8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».

9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; 10sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

affinché essi ti custodiscano;

11e anche:

Essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Camminare soltanto non basta. Devi anche sapere dove vai. Ma neanche sapere la direzione è sufficiente. E neppure indicarla. Certo, se ti trovi a vagare nella notte al buio e non sai la strada, chiunque sia che ti indica il cammino, basta che sia la strada giusta: non è rilevante che il tale ti accompagni o no. Ma un genitore, un prete, un educatore, un politico, un vescovo, il papa, o anche un semplice amico... è sufficiente dare le direttive giuste? Indicare il giusto cammino? O può bastare andare, senza sapere dove si va?

Fare Quaresima è ritrovare le due cose: l'orientamento, la bussola da una parte. Ma dall'altra parte anche mettersi in viaggio.

La via dell'essenzialità

La via che la Chiesa propone è quella dell'essenzialità; da anni – secoli! – ormai si insiste sui tre impegni tradizionali: preghiera, elemosina, digiuno. Ritrovare sobrietà e semplicità. Il dubbio ci sfiora che tutto questo sia inutile, forse anche banale. Vorremmo qualcosa di più stimolante, aggiornato culturalmente. O magari qualcosa di più brioso, mediaticamente più coinvolgente. Digiuno e preghiera "non vengono bene" né in fotografia, né in televisione. Ma ciò che sembra banale, troppo umile, per le nostre mentalità culturalmente evolute o televisivamente anestetizzate, ridiventa incredibilmente prezioso nel momento in cui si FA. Nel momento in cui usciamo dal cortocircuito dei nostri pensieri, e decidiamo di alzarci dalla nostra poltrona, di tiarci indietro per un momento dalla nostra frenesia, ci allontaniamo dalle nostre tavole imbandite, e ricominciamo seriamente a pregare, digiunare, fare elemosina.

Provare per credere

Io l'ho provato, qualche sera fa', preparando il pellegrinaggio della croce: mollare tutto, interrompere ciò che si può rimandare, eliminare quello che è inutile, lasciare ad altri la partita in TV, per ritrovarmi da solo a camminare sull'argine, sotto un cielo stellato, per una, due ore o anche più. Non so se questo sia raccomandabile per tutti: ognuno deve trovare l'esperienza spirituale simbolica che più lo avvicina a Dio. Può essere un tempo di preghiera in una chiesa, un tempo di preghiera in una casa, la visita costante a un ammalato, un gesto di rinuncia... ma deve essere un'esperienza reale, determinata e ricercata. E se ne apprezza il valore solo realizzandole.

Nel deserto, il digiuno

Luca ci presenta Gesù che fa i suoi quaranta giorni nel deserto, digiunando e pregando. Da sempre è questa una delle chiavi di comprensione del periodo quaresimale. Per noi è difficile da capire soprattutto il digiuno. Sembra un gesto di sapore magico, una inutile autotortura, o magari anche una prova di forza con se stessi, un voler essere bravi e accumulare meriti di fronte a Dio. Gesù lo spiega con quella sua parola: "Non di solo pane vivrà l'uomo". Un'affermazione intrigante. Da un lato si ammette: che l'uomo vive ANCHE di pane. Ma dall'altro si nega: quel pane non è il TUTTO di cui l'uomo ha bisogno. La nostra cultura ci appiattisce da una parte o dall'altra: o esalta il corpo, la fisicità, la sensazione, il piacere... il corpo diventa una macchina, il cervello un computer, la generazione si riduce a produzione di embrioni, la medicina a fabbricazione di pezzi di ricambio, a tutti i costi... oppure sopravvaluta l'intelligenza e il pensiero, come unica dimensione realmente umana: l'uomo esiste solo finché pensa, sente, può relazionarsi responsabilmente con gli altri.

Cervelli e robot

L'embrione non è vita, finché non PENSA. E quando sarà possibile sganciare il cervello dal corpo e trapiantarlo in un robot biomeccanico, probabilmente lo faremo. Ma saremo ancora uomini? A noi dunque presi dall'esaltazione del corpo e dalla sopravvalutazione dell'intelligenza, la Parola ricorda: "Non di solo pane vivrà l'uomo". L'uomo non si realizza solo nella realizzazione del piacere fisico, dei bisogni immediati, e neanche nella pura e semplice soddisfazione intellettuale. Abbiamo bisogno del pane e, INSIEME, della parola. Abbiamo bisogno (o desiderio) di gesti esterni, ma che siano nutriti di amore. Di aiuto materiale, e del conforto dell'amicizia. Non basta consegnare un oggetto per fare un regalo: deve essere accompagnato da un sorriso, da una parola... gli esempi si potrebbero moltiplicare. Abbiamo bisogno di vivere come un tutto.

Ritrovare unità

Ma continuamente la vita sembra sospingerci a frammentarci, a spezzettarci, e siamo tentati di cedere alla tentazione di vivere a blocchi separati. Il digiuno è il gesto simbolico con cui siamo invitati a ritornare in noi stessi, a riappropriarci del tutto della nostra vita, svuotandoci di tutto ciò con cui abitualmente ci ingozziamo o ci ingolfiamo: piaceri, emozioni, pensieri... ritrovare la semplicità, l'essenzialità, per essere noi stessi, per entrare in relazione con Dio, per reincontrarci con i fratelli. "Non di solo pane vivrà l'uomo": questa parola ci indica una direzione. Ma ci dà anche la forza di camminare. Ma avremo il coraggio di partire?


Flash sulla I lettura

"Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all'altare del Signore tuo Dio...": il rito della presentazione delle primizie non è visto dalla Bibbia come un rito magico e propiziatorio, ma come un riconoscimento dell'azione di Dio nella vita della comunità e del singolo. La cesta contiene i frutti della terra, il risultato del lavoro dell'uomo, che viene visto nella sua dimensione profondamente religiosa. Offrendo i frutti della terra, l'ebreo presentava a Dio tutta la sua esistenza. Noi oggi vediamo ancora questo legame tra il nostro lavoro e la nostra fede? Tra la nostra attività quotidiana e la promessa di Dio?

"Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù": il lavoro in Egitto aveva preso la forma della schiavitù. Non più realizzazione, ma oppressione. Non è forse questo - a volte - o spesso - il nostro modo di vivere il nostro lavoro?

"Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione": il problema della schiavitù del popolo sarebbe rimasto insolubile senza la presenza amorosa di Dio, che si preoccupa del suo popolo. Ma noi oggi abbiamo ancora fiducia nel Dio della salvezza, riguardo ai nostri problemi quotidiani?

Flash sulla II lettura

"Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore": citando il Deuteronomio, Paolo reinterpreta tutta la riflessione antica sulla Legge in chiave cristiana. Quella parola di cui si parla non è più la Legge di Mosè, ma "la parola della fede che noi (= Paolo) predichiamo".

"Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo": confessione significa qui "riconoscimento". Si tratta di un atto estremamente semplice e difficile. Non è la semplice "informazione": non basta che io "sappia" che Gesù è un grande uomo, un grande personaggio, e neanche che è "il Figlio di Dio fatto uomo"; in più lo accolgo, lo riconosco come il Signore, il "padrone" della mia vita, il punto di riferimento essenziale delle mie scelte, colui che misura le mie scelte. E non per un semplice "dovere", o per la pura e semplice "tradizione": la nostra vita quotidiana spazza via la fede fatta solo di costrizioni o di abitudini - ed è bene che sia così. Si tratta di maturare convinzioni: e ci vuole tempo, pazienza. Non solo belle intenzioni. Si tratta di lasciare che quella persona diventi il Signore della mia vita: il punto di riferimento delle mie scelte, del mio modo di vedere le cose, la guida che mi accompagna, colui che sorregge l'amore per le persone che amo, colui che mi ama... a questo servono i quaranta giorni della Quaresima. E probabilmente non sono neanche troppi...

 

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