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TESTO Commento su Isaia19, 18-24; Efesini 3, 8-13; Marco 1, 1-8

don Raffaello Ciccone  

2a domenica Tempo di Avvento (anno C) (25/11/2012)

Vangelo: Is 19, 18-24; Ef 3, 8-13; Mc 1, 1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,1-8

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

3Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri,

4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Lettura del profeta Isaia19, 18-24
Per il popolo d'Israele l'Egitto è sempre stato il regno nemico da abbattere: immagine di una nazione schiavista che porta alla morte, paese di idolatria. Così Isaia, nei capitoli 19 e 20, pronuncia un giudizio sull'Egitto che però, in modo sorprendente, si capovolge; nel tempo della sventura Dio soccorre e usa benevolenza per un popolo sconfitto e in preda al terrore.
Negli anni del secolo VIII (prima del 701 a.C). i Faraoni avevano tentato di porre resistenza contro l'Assiria, cercando di coalizzare piccoli stati orientali per difendersi e per fermare l'invasione. Isaia era sempre stato in disaccordo con tale politica.
Nei primi versetti del cap. 19 vengono predetti il giudizio di Dio contro l'Egitto: si sarebbero scatenate lotte civili e sarebbe giunta l'invasione straniera ( come avvenne attorno al 670 a.C.). Le predizioni sono catastrofiche: dalla siccità del Nilo alle piante che, perciò, si sono seccate al territorio tutto che diventa deserto. Perdono il loro lavoro i tessitori, i pescatori, gli agricoltori.
Poi improvvisamente lo scenario cambia (il testo di oggi), tra i più stupefacente del VT riguardo la conversione dei popoli al Dio d'Israele.
Si parla di 5 città abitate da Ebrei che fondano comunità e colonie ebraiche, che convertono il paese alla fede del Jhwh.
Di fatto c'è stata una dispersione della popolazione ebraica che si è istallata anche in Egitto e si parla, nei documenti di Elefantina, di un tempio costruito in onore di Jhwh alla prima cataratta del Nilo. Non si sono trovate le 5 città, archeologicamente, ma forse si tratta di un numero simbolico per ricordare che qui si stabilisce una popolazione che si appoggia alla Legge (5 libri). Probabilmente c'è anche il richiamo a Eliopoli, "città del sole", come si traduce il nome della città, dove viene adorato il Signore e si giura sul suo nome. Infatti ci si fida di Lui e su di Lui si imposta la propria verità.
Il richiamo a un altare e ad un obelisco (stele) documenta la fede in Jhwh che fa superare l'esclusività di Gerusalemme e del suo unico tempio. Anzi si ripensa ad una salvezza di popol, in Egitto, a somiglianza della salvezza operata da Dio attraverso Mosè.
Si immagina che, finalmente, si costruirà una strada che andrà dall'Assiria all'Egitto e vice versa e vi cammineranno i popoli, passando attraverso Israele che "sarà Benedizione" allo stesso modo di quella benedizione che portò Abramo al suo popolo. C'è una splendida visione che fa riconoscere una predilezione particolare e un riconoscimento per i popoli pagani che, finora, erano nemici e che finalmente sono riconosciuti ed amati come un popolo unico di grazia.
In tutta la Scrittura non esiste una equiparazione simile. Anche dove si parla di riconciliazione dei popoli stranieri, Gerusalemme ed il suo tempio hanno sempre una loro preminenza e le genti straniere o sono sottomesse o almeno spontaneamente portano doni all'unico tempio di Jhwh nella città santa.
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 3, 8-13
Tutto il capitolo 3 ripropone la consapevolezza che il messaggio di Dio passa attraverso lui, Paolo, per arrivare ai pagani. In fondo Paolo, ebreo convinto, e perciò fedelissimo custode della fede d'Israele e, quindi, della predilezione di Dio nell'Alleanza offerta solo agli Ebrei, si stupisce di essere stato scelto da Dio per il ruolo di apostolo "per le genti". In pratica, ogni volta che vi ritorna a pensare, si stupisce di questa vocazione e di questa scelta. Non si rammarica poiché, nella sua esperienza, ha scoperto splendore di fedeltà e di amore anche tra i pagani ed ha assistito ad una rivoluzione del cuore dei lontani, via via che accoglievano il messaggio di Gesù. Non si pente, anzi si sente gioioso, addirittura orgoglioso nella sua piccolezza e umiltà, poiché, per mezzo suo, "annuncia alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo". Si sente tutta la sorpresa di essere tramite tra la profondità di Cristo e l'immensità del creato. Esiste un mistero gelosamente custodito da Dio e assolutamente impensabile. Ora Paolo sa che quel mistero passa per le sue mani e nelle sue parole.
E Paolo sa che, attraverso lui, sono svelate la grande misericordia e la salvezza per tutti. Questo segreto è ora affidato alla Chiesa perché, aprendo il mondo alla "multiforme sapienza di Dio", faccia scoprire anche ai "principati e potenze dei cieli" la conoscenza del progetto divino sul mondo.
Paolo sta suggerendo una vocazione che il Signore ha offerto prima di tutto ai 12, quindi a lui come annunciatore alle genti. Non si tratta di esserne degni, si tratta di accogliere e di credere che il Signore passa anche attraverso le nostre parole, le nostre scelte, la nostra fede, le tribolazioni che richiedono una fedeltà larga. Paolo conosce, perché l'ha percepito, il tesoro che va comunque custodito, salvato e offerto: e sta dicendo a tutti noi che siamo nella Chiesa che è il dono che possiamo fare al mondo.
Un dono gratuito è ricevuto, e va riproposto e scambiato senza altro guadagno nel sapere che il Signore, per mezzo nostro, ha raggiunto altri e li rende fiduciosi, portatori di speranza e di grazia.
La misericordia, che il Signore offre ad ogni popolo, senza distinzione, ci immette sulla strada della pace poiché ci impegna a rintracciare, noi stessi, la misericordia di Dio con tutti, Certamente, ci dice Paolo, non possiamo più permetterci di selezionare le persone per classi, onore, stima ed interessi. Non possiamo riprendere i miti della discriminazione, del razzismo, della intolleranza o del fanatismo né accettare le paure del diverso. Il Signore ci ha posto sulla strada nell'accoglienza, del rispetto e della fraternità.
Lettura del Vangelo secondo Marco 1, 1-8
Siamo probabilmente negli anni 60 d.C. e, a Roma, la piccola comunità cristiana sente il bisogno di avere uno scritto di riferimento su Gesù mentre molti, di quelli che lo hanno conosciuto, sono ancora vivi. Si sceglie Marco, un discepolo molto stimato che ha seguito Pietro e Paolo, documentato, serio.
Deve raccontare come la promessa che Dio aveva fatto al suo popolo con il grande Isaia: "Io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato" (65,17), si stia avverando in Gesù.
E Marco, che poteva sintetizzare in dense formule teologiche il messaggio della novità di Dio, preferisce raccontare.
E l'inizio del Vangelo di Marco, in un solo versetto, sintetizza tutto il messaggio che vuole proporci, ricordandoci che sta riferendo una notizia splendida: fa riferimento ad un personaggio: Gesù che è Messia nel mondo ebraico (Cristo) e presenza di Dio come Figlio del Padre.
Marco vuole raccontare ciò che Gesù ci svela, portatore di un segreto nascosto nelle profondità dei secoli e che finalmente ci viene offerto per la nostra gioia e speranza.
Perciò Marco racconta fatti gioiosi, attese di secoli per quel Messia aspettato, ma assolutamente nuovo, perché ha una personalità incredibile, legata a Dio in modo impensabile perché Figlio.
Una tale presentazione, per quanto scarna e assolutamente insufficiente, apre orizzonti di sorprese e di perplessità. Si gioca immediatamente con l'incredulità di chi ascolta, con l'impossibilità per chi pensa, con l'ironia di chi ritiene di essere alla presenza di racconti ingenui.
Ma l'inizio stesso obbliga a incuriosirci fino alla fine, poiché il personaggio, di cui si parla, è veramente esistito, dice Marco, ed è nell'orizzonte delle nostre azioni, raggiungibile, udibile, chiamato a rispondere e chiamato a motivare, interpellato sulla sapienza e sui drammi delle persone, disarmato di fronte a tutti, sapiente e sincero, onesto nelle sue scelte e sorprendente, capace di dare valore agli ultimi, agli intoccabili, ai disonesti, ai lebbrosi, scoprendo che il valore di ciascuno è nel cuore di Dio che li ama personalmente e Lui garantisce per risollevarli, liberarli, rinfrancare, rincuorarli.
Il primo rapporto con la gente, però, raccontato da Marco, è per interposta persona. Si chiama Giovanni e parla ad un popolo che deve riconoscersi peccatore ed infedele. Egli viene dal deserto e inizia a smascherare il male e lo fa pubblicamente. Non è un annunciatore di disperazione. Nella sua denuncia e chiarezza incoraggia al perdono, alla speranza, alla purificazione. E' un uomo che crede nella capacità di saper riconoscere, di saper finalmente denunciare il proprio male. Incoraggia un popolo che scopre di poter essere libero poiché qualcuno, coraggioso e fedele a Dio, osa richiamare ciò che conta davvero e osa riprendere a far sperare una giustizia più profonda. E il popolo, che accorre, sente di aver bisogno di essere perdonato mentre scopre un mare di malignità e di iniquità.
Giovanni si presenta così come il profeta: il vestito, la cintura, il nutrimento fanno ripensare ad Elia, all'uomo fedele che ha consacrato tutta la sua vita a Dio e non fa più nulla per sé.
Così Marco, presentando Giovanni, sa collegare Gesù con la storia d'Israele, la rivelazione di Dio e l'annuncio dei profeti. Riprende l'Esodo (23,20: "Ecco io mando il mio messaggero davanti a te" (è l'angelo che precede Mosè nel cammino); Isaia (40,3: "Voce di uno che grida nel deserto"); Malachia (3,1: "Ecco, io mando il mio messaggero davanti a me", da leggere con Malachia 3,23-24: "Invierò il profeta Elia... perché converta il cuore dei padri verso i figli").
Gesù non è ancora apparso all'orizzonte, ma è già presente come atteso. Marco sta suggerendo le tappe del riconoscimento e della sequela di Gesù. Prima di tutto bisogna entrare nella propria vita, scoprire e chiarirsi, cercare ciò che vale e rifiutare il male che si annida dentro. Il male è subdolo, maligno, sinuoso. Giovanni è l'immagine vivente che contrasta il male, fa da contro-specchio e suggerisce a ciascuno una radicale revisione.
Poi verrà l'Altro, colui che ci fa rinascere alla vita nuova, allo Spirito, che ci riconsegna nella pienezza del dono di Dio. Lo Spirito richiama la creazione, la parola nuova di Dio che rigenera, la voce di Dio che orienta, la forza di Dio che sostiene le scelte nuove di vita e la pienezza di un popolo finalmente libero, accolto dalla gioia del Padre.
"Preparate la via al Signore": significa non tanto aprire le strade dell'uomo verso Dio ma quelle di Dio verso l'uomo (es. Es 33,14). Togliere gl'inciampi e livellare il terreno permettono possibile la venuta del Signore.
Allora ci prenderà per mano per orientarci sulle sue strade, e quindi sapremo "amarlo, servire il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima?" (Deut 10,12).
Giovanni vive nella zona desertica a nord del Mar Morto, vicino alla comunità degli Esseni (scoperta alcuni decenni fa', a Qumran). In obbedienza al profeta Isaia (40,3), essi si erano ritirati nel deserto a preparare la via del Signore con le veglie, la preghiera e lo studio della Sacra Scrittura.
Marco dice che i primi destinatari sono gli abitanti della Giudea e di Gerusalemme perché sono il nucleo che è rimasto convinto dell'attesa
"Il Messia, che viene dopo di me", umilmente, si è fatto discepolo di Giovanni: Il "viene dopo di me" si potrebbe anche tradurre come: "viene dietro di me" (un primo tempo, discepolo) ma è "il più forte" anche contro Satana, e porta lo Spirito, profetizzato dai profeti su ogni credente (Gioele 3,1 ss). Giovanni si sente meno di uno schiavo, indegno di sciogliere i suoi sandali. Ma, come ciascuno di noi, sa di essere chiamato a testimoniarlo poiché dall'annuncio che fa', chi lo conosce, è possibile trasmettere la speranza nel mondo.

 

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