PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Commento su Marco 13,24-32

Omelie.org - autori vari  

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (18/11/2012)

Vangelo: Mc 13,24-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,24-32

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di don Paolo Ricciardi

Se qualcuno dei presenti credesse nella profezia della fine del mondo, che dovrebbe avvenire tra poco più di un mese, il vangelo di oggi potrebbe essere un punto a favore. E chi fosse appassionato di film o di romanzi apocalittici, potrebbe trovare in queste pagine una conferma. Eppure il vangelo di Marco è stato scritto quasi duemila anni fa è, nonostante tante prove del mondo e della storia, l'apocalisse come l'intendiamo noi non è ancora arrivata e, state tranquilli, non arriverà nemmeno a dicembre. Potremo serenamente preparare e festeggiare il Natale.

Se per molti "Apocalisse" significa "fine del mondo", noi sappiamo che in realtà significa "rivelazione": non la fine di tutto, ma il fine di tutto: andare incontro a Dio.

Gli ebrei usavano spesso questo genere letterario, detto appunto apocalittico, per annunciare, attraverso il linguaggio figurato, che si era prossimi a una grande evento: l'imminente venuta di Dio con l'inaugurazione del suo Regno.

E questo è un evento che la Chiesa continua a proclamare in particolare al termine dell'anno liturgico. Ci viene ricordato che siamo chiamati ad essere sempre in attesa di Colui che è venuto secoli fa e che verrà alla fine dei tempi, ma che anche viene ogni giorno, nella mia vita, nel mio oggi.

La questione quindi si sposta non sul "quando" (perché Dio mi raggiunge in ogni istante) ma sul "come": come attendere la venuta del Regno? Con un senso di paura o con un senso di speranza?

Se ci si ferma alla drammaticità di certe immagini, sembra che debba prevalere la paura. Ma non sarà sfuggita però un'altra immagine di segno opposto: "Imparate dalla pianta di fico: quando il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, voi sapete che l'estate è vicina".

Da una parte c'è dunque uno scenario di distruzione, dall'altra la promessa di una vita tenera, fresca e nuova. Paura e speranza si alternano sempre nella vita dell'uomo, anche del credente, tanto da formare una situazione ambigua e irrisolta. Pensiamo a tanti passi della Bibbia in cui c'è l'invito a non temere, a non avere paura. Pensiamo a Pietro, che cammina sulle acque incontro a Gesù, ma poi cede alla paura del vento e delle onde e affonda. E si ritrova quella Mano tesa su di lui, che lo rialza, lo perdona, lo rafforza. Uomo di poca fede, perché hai dubitato?

Potremmo ripeterlo oggi per noi: uomini e donne credenti, che siete oggi qui a riempire le nostre chiese, che pregate e cantate, che vi accostate all'eucaristia, perché dubitate? Perché continuate a vivere nella paura?

Lo sappiamo, purtroppo, ci sono persone che sembrano destinate a conoscere solo la paura. Soffrono di attivismo, di attaccamento alle cose, di riti legati al benessere. Coloro che di questa forma di vita fanno la ragione ultima del loro essere possono anche avere il sorriso sulle labbra, ma nel cuore - lo sappiano o no - c'è la paura di perdere, la paura del fallimento. Anche in questi tempi di crisi purtroppo sappiamo di persone che arrivano a togliersi la vita quando hanno perso tutto, perché "hanno perduto la vita" sulle cose che possedevano, a scapito degli affetti, della famiglia, ... di Dio.

Se il tutto della mia vita è il mio aspetto fisico - quindi se anche ho superato i sessanta anni devo tenermi in forma come un ventenne, senza pensare di tenere giovane l'anima - che sarebbe poi affrontate una malattia, una fragilità, se non perdere tutto? Se il tutto è il mio lavoro, la mia carriera, come faccio i conti con le situazioni che cambiano? In questo caso è come se tutto crollasse: il sole, la luna, le stelle. Tutto.

Ma ci sono persone, grazie a Dio, che osano ancora sperare. Sperare, che non è essere ottimisti. L'ottimismo si basa sul temperamento, sul carattere. La speranza è una virtù teologale che ci traduce con la certezza nella fede. Ci sono persone che vivono di questa certezza. Possono trovarsi in situazioni difficili, ma sanno che il futuro avrà un altro volto. A volte hanno l'impressione che tutto crolli di fronte alle tante crisi che riserva la vita - intellettuali, morali, fisiche, del cuore - eppure, con la forza della speranza, guardano avanti. Attorno ci può essere ancora u paesaggio di desolazione, ma lo sguardo coglie la prima gemma sulla pianta, la foglia tenera sul ramo del fico. È un piccolo segno, ma basta per dire: "L'estate è vicina". Le persone che sperano sanno che nonostante tutto passi - persino il cielo e la terra - c'è qualcosa che non passa mai: la parola di Dio.

Questa è la speranza-certezza del contadino, la speranza di chi sa che, da che mondo è mondo, non è passata notte cui non sia seguita un'alba, né un inverno cui non faccia seguito la primavera.

È ragionevole questa speranza? È ragionevole come è ragionevole la fede, perché la speranza si fonda sulla fede, è un altro volto della fede. Per sperare, certo, bisogna avere conosciuto e incontrato il nostro Dio.

Proviamo, attingendo al Salmo di oggi, a ricordare almeno questa espressione: "Nelle tue mani è la mia vita". È uno stupendo atto di fede. "La mia vita", e ciascuno potrebbe così completarla: "La mia storia, quello che sono stato, sono e che sarò, la mia famiglia, i miei figli, le persone che ho amato e che mi amano, le mie sofferenze e le mie speranze, le mie qualità e i miei limiti, tutto è nelle tue mani".

Se possiamo dire: "La mia vita è nelle tue mani", abbiamo vinto la paura. Non la sofferenza, perché la vita umana attraversa sempre passaggi dolorosi, ma la paura, sì.

E allora anche, il "tempo di angoscia" di cui parla il profeta Daniele, si apre alla gioia della liberazione, quando tutti coloro il cui nome è scritto nel libro di Dio, saranno salvati e diventeranno membri della nuova Gerusalemme, e saranno come stelle nel cielo.

Il vangelo parla di stelle che cadono, qui Daniele parla di stelle che risplendono per sempre.

Viene allora voglia di dire: "Cadano pure i punti abituali di riferimento - il sole, la luna, le stelle - se non servono a guidarci sul «sentiero della vita», verso il mondo nuovo.

Ma non vengano mai a mancarci queste presenze luminose, i giusti, i santi; gli uomini che sanno sperare, i beati che custodiscono negli occhi l'immagine della foglia primaverile del fico e nel cuore il dono meraviglioso della pace.

Il cristiano sa, come ogni uomo, che un giorno il sole si spegnerà.
Ma la Luce di Dio risplenderà sempre.

 

Ricerca avanzata  (54000 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: