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TESTO Commento su Isaia 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a; Prima Corinzi. 3, 9-17; Giovanni 10, 22-30

don Raffaello Ciccone  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno B) (21/10/2012)

Vangelo: Is 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a; 1Cor 3, 9-17; Gv 10, 22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,22-30

22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Lettura del profeta Isaia 26, 1-2. 4. 7-8; 54, 12-14a
La nostalgia di poter cantare per Gerusalemme liberata e splendente è sempre stato il sogno di ogni ebreo e il testo suggerisce il canto dei liberati dalla schiavitù. La speranza infatti si sta profilando per quelli che ancora sono deportati in Babilonia. Il testo fa riferimento al sec. VI a.C. e quindi non è del primo Isaia che vive nel secolo VIII, al tempo della potenza Assira che conquista il regno di Samaria, ma è del secondo Isaia.
L'elemento di garanzia della propria salvezza è rappresentata dalla "città forte" con "mura e bastioni" potenti, che difendono la potenza e la libertà del popolo di Dio.
Il riferimento alle mura è indispensabile per la sicurezza della città, poiché assicura la pace e tiene lontane le bande dei briganti e le scorrerie dei nemici.
Il ritorno da Babilonia pone subito il problema del ricostruire le mura e il tempio: due realtà fondamentali per la pace e la sicurezza. E nonostante la povertà e la debolezza di un popolo che torna povero e senza risorse, avvengono episodi di generosità e di costanza inimmaginabile per cui coloro che sono tornati riescono, in poco tempo, a circondarsi di mura.
Non a caso, poi, le stesse mura, nel breve testo successivo, tratto dal capitolo 54,12-14, rappresentano la saldezza, la stabilità e la profusione di bellezza che riempiono di orgoglio il popolo costruttore. Così, impreziosite di pietre preziose, perdono la loro fisionomia di materia opaca, e si trasfigurano nella bellezza di Gerusalemme e quindi nello splendore della Sposa di Dio, santa, madre, accolta nell'Alleanza, glorificata poiché preziosa nelle mani dell'Altissimo.
Proprio questa garanzia di protezione rimanda alla convinzione profonda di essere nella fiducia in Dio che è saldo: "Dio è la roccia eterna" ed esprime la preziosità del proprio lavoro, segno di sicurezza e di alleanza con Dio. Ma tutto questo si compie solo se "i figli sono discepoli del Signore". Allora Gerusalemme sarà fondata sulla giustizia e lontana dall'oppressione
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. 3, 9-17
Paolo ha sperimentato, nella sua predicazione e nella sua missione, la fragilità di speranze legate al sogno di piegare alla fede la sapienza greca con il suo intervento all'areopago di Atene; nella sconfitta capisce anche di dover ripensare ai valori di proposta e al fondamento della sua stessa predicazione. Vera sapienza non sono le parole che conquistano consenso, ma il mistero di Cristo che esprime il progetto di Dio per noi.
Paolo ha sperimentato le divisioni nella piccola comunità e le selezioni avvenute tra credenti, dietro vari personaggi che avevano operato nella Comunità, manifestando caratteri e qualità particolari. Essi, dice Paolo, hanno lavorato nella comunità cristiana ma non sono padroni: sono solo servi: "Apollo, Paolo, Cefa (Pietro)". Se pure hanno collaborato con il Signore, solo il Signore fa veramente crescere. Gli altri, i ministri, piantano, irrigano (v.7). Paolo, con molta chiarezza, si sottrae a forme di prevaricazione o di partigianeria e insiste: "Siamo solo collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio"(v.9).
Paolo si preoccupa di richiamare i collaboratori e i predicatori nella Comunità a non cadere in due possibili errori. Edificare la comunità su fondamenti diversi da quello che è Gesù (v 11) e costruire con materiale scadente. "Legno, fieno e paglia" sono materiali che si impiegano per le case dei poveri e facilmente si deteriorano e si consumano, a differenza delle costruzioni solide dei ricchi, dove si utilizza materiale pregevole ("oro, argento, pietre preziose"). La Chiesa è fatta da operatori visibili: il missionario che serve e i credenti che ascoltano e accolgono. Ma la coscienza della Chiesa è chiaramente convinta che è Dio che fa crescere, che rende fecondo il mondo e le persone ed è Lui che porta frutto e novità.
Gli esempi sono tratti dai lavori usuali dell'agricoltura e dell'edilizia.
Paolo dice che i momenti di crisi e di giudizio e i tempi oscuri della storia trasformano col fuoco tutta la realtà. Essa viene saggiata e quindi brucia e si consuma, manifestando quello che mantiene una propria consistenza. Il linguaggio è il linguaggio apocalittico dei profeti ed esprime i tempi del cambiamento e della verifica come i tempi della tragedia e del fuoco dove resiste solo ciò che ha consistenza.
Coloro che hanno operato si salveranno, ma vedranno la propria opera dissolversi come mediante il fuoco, se non avranno avuto fondamento solido e materiale valido.
Paolo (v 16), dopo aver accennato alla responsabilità dei ministri, passa a parlare della responsabilità dei cristiani nella loro comunità I cristiani sono tempio di Dio e dello Spirito Santo (6,19). La parabola sulla costruzione dell'edificio, utilizzata con i predicatori, continua nell'immagine di una costruzione che, per forza di cose, riporta all'immagine del Tempio, la casa di Dio in Gerusalemme.
Come Dio è stato geloso della santità del suo tempio, così ora lo è del nuovo tempio, edificato su Gesù.
Siamo riportati al valore di una presenza, non più nascosta nella cella del "Santo dei santi" del tempio, ma abitante nella carne e nella vita dei credenti.
Si può sbagliare e, tuttavia, Dio salva pur passando attraverso il fuoco. Non si può però pretendere di distruggere il tempio di Dio poiché "Dio distruggerà lui"(v 17)
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 10, 22-30
Gesù, a Gerusalemme, sta celebrando la festa della Dedicazione per la consacrazione del tempio, rinnovata ai tempi di Giuda Maccabeo (165 a.C.), dopo la profanazione di Antioco Epifane (vedi 1 Mac 4,36-5 a) Tale festa si celebra di dicembre e per 8 giorni si accendono i grandi candelabri della "festa delle capanne".
In un'atmosfera gioiosa si vive la "festa delle luci" e "delle Capanne d'inverno". Sembra che per l'occasione si leggessero le stesse letture bibliche e, in particolare, il testo di Ezechiele 34 con la celebre profezia del Messia, nel sabato più vicino alla Dedicazione. Il Messia è il vero pastore suscitato da Dio, è il grande atteso.
E poiché siamo in un tempo in cui spesso sorgono personaggi che si proclamano Messia, la domanda, posta a Gesù, vuole verificare la sua identificazione, avendo intravisto in Gesù atteggiamenti di pretese messianiche (v24).
Il testo di Ezechiele (cap 34) è straordinario e si dimostra un preciso antefatto, legato alla discussione di Gesù proprio in questi giorni, spiegando in tal modo la tensione fortissima suscitata. Dice Ezechiele: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori d'Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d'Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pastore.... così io, il Signore, passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò..... Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all'ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia....Susciterò per loro un pastore che le pascerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore. Io, il Signore, sarò il loro Dio, e il mio servo Davide sarà principe in mezzo a loro...Voi, mie pecore, siete il gregge del mio pascolo e io sono il vostro Dio» (Ez 34,1-31).
Con questi testi, riletti nella festa, nella promessa del nuovo pastore, le domande diventano stringenti ed anche provocatorie. Di fatto i Giudei "circondano Gesù" e non certo con rispetto e con venerazione; manifestano invece minaccia e rabbia per quello che Gesù insegna e fa: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». La domanda è riferita a Gesù, ma i Giudei sanno già che egli si rivela Messia, discendente di quel Davide di cui parla Ezechiele. Però vogliono sentire a piene lettere la risposta per poi accusarlo.
Gesù li richiama nella loro incapacità di capire. Non accettano le sue parole e quindi non sanno interpretare le opere che Lui fa. Questa mancanza di intelligenza dipende dal fatto che non sono del suo gregge. E l'accusa è grave perché proprio loro, i responsabili del popolo di Dio, non sanno cogliere i segni di Dio e interpretarne il significato.
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono»
Ascoltare la voce di Gesù significa avere attenzione coraggiosa e fedele alla volontà del Padre senza pregiudizi, senza interessi di parte, senza difese o paure. Ascoltare significa aprirsi al nuovo e il nuovo è sentirsi accolti da Gesù che conosce ciascuno ad uno ad uno.
Seguire Gesù fa aprire gli orizzonti sulla moltitudine, sul mondo dei lontani e dei disperati, sugli esclusi e disprezzati, come Gesù fa. Egli è il modello.
A chi lo segue Gesù offre la sua vita che è la vita eterna, quella del Padre, indistruttibile, piena e definitiva. E per quanto le pecore possano essere disarmate o fragili, non andranno perdute. Nessuno le strapperà dalla sua mano che poi è la mano del Padre.
Gesù, mentre parla, continua ad utilizzare l'immagine del gregge, sempre in riferimento ad Ezechiele. Egli si gioca la vita sulle pecore che il Padre gli ha consegnato, le difende e le sostiene. Egli, anzi, ricorda di non riappropriarsi delle pecore che sono proprietà del Padre e, proprio nel tempio che è il luogo del mistero della presenza di Dio, pronuncia la drammatica rivelazione: «Io e il Padre siamo una cosa sola». Questa viene immediatamente intesa correttamente e quindi scandalizza. I Giudei porteranno nel cuore la consapevolezza di aver sentito una terribile bestemmia e si sentiranno in dovere di eliminare Gesù. "Poiché tu che sei uomo ti fai Dio": è la sorpresa e la sentenza davanti al Sinedrio (Lc 22,71). Quella che è la volontà di Dio per tutta l'umanità, il più grande dono che Dio possa fare, per i capi dell'istituzione religiosa è una bestemmia che merita la morte.
Si passa dal tempio come luogo di Dio a Gesù pastore, luogo della comunione e dell'amore totale e gratuito di Dio tra noi. Così, per la fede in Gesù, ogni credente cristiano, amato e reso grande, splendente più della Gerusalemme dalle pietre preziose, è luogo di Dio.
Una grande riflessione sulla Chiesa ci è stata offerta dal Concilio, nella sua Costituzione: "Lumen Gentium" sulla Chiesa (1965) proponendo la Chiesa come "come il Popolo di Dio".
E tutta la liturgia ci riporta al dialogo con Dio: il suo popolo ascolta con fiducia per allargare nel mondo la novità e la pienezza. Non c'è nulla di esclusivo, di elite, di ghetto, ma tutti sono chiamati, solo che sappiano guardare le opere di Gesù con occhi puliti, senza pregiudizi, ideologismi, preoccupazioni di possesso e di potere

 

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