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TESTO Commento su Geremia 31,7-9; Salmo 125 (126); Ebrei 5,1-6; Marco 10,46-52

CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie)  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/10/2012)

Vangelo: Ger 31,7-9; Sal 125 (126); Eb 5,1-6; Mc 10,46-52 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,46-52

46E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 49Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». 50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

Gesù: «Che cosa vuoi che io faccia per te?».
E il cieco: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».
Gesù: «Va', la tua fede ti ha salvato».
E subito vide di nuovo...
Un breve dialogo, scarno ed essenziale, ci schiude le porte per una matura riflessione sulla fede. Ci auguriamo che l'anno della fede contribuisca a creare la consapevolezza adulta di una fede che è sempre faticosa. Non credete a chi vi dice - soprattutto oggi in un tempo di accentuata secolarizzazione - di avere una fede "facile", senza problemi, consolatoria, fatta solo di infinite certezze. La vera fede è sempre scorticante. Chi crede è sempre un po' zoppicante, come Giacobbe, dopo la lotta con l'angelo. E come Giacobbe può essere colpito al nervo sciatico dal Dio sconosciuto... ma continuare a lottare.
Come fa rilevare il gesuita francese Paul Valadier, già direttore della rivista Études, l'uomo di oggi non accetta più che gli venga riproposta la fede come sistema di certezze. La fede è ricerca, cammino per viottoli sassosi e apparentemente senza vie d'uscita; transitando in essi è facile che ci sorprenda la notte.
Il Signore, Dio della vita, conosce la nostra vita. Conosce le nostre lacrime, i nostri dubbi, le nostre fragilità. La fede non stende un velo pietoso su tutte queste condizioni umane, ma si incarna in esse. La fede non può essere l'elemento sostitutivo di una sicurezza personale che possiamo e dobbiamo trovare per strade "normali". La fede non "serve", non consola, è puro dono. Ma dono che strazia. Ogni uomo e ogni donna hanno il dovere di crescere come persone: non si è cristiani se si è mezzi uomini o mezze donne, e il Regno è formato da uomini e donne veri, con i loro problemi, le loro fatiche, le loro risorse nascoste. Eppure - dice il Signore con la voce di Geremia - questi uomini e queste donne..."erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni; li ricondurrò a fiumi ricchi d'acqua, per una strada dritta in cui non inciamperanno..."(Ger 31,9), perché - aggiunge il Salmista - "chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia" (Sal 125 [126]. Mieterà "cantando". Se crediamo a questo, e viviamo nelle contraddizioni del nostro tempo, nelle varie relazioni che si fanno sempre più complicate, senza cercare facili scappatoie, siamo vicini alla vera fede.
Va detto, tuttavia, che molto spesso la fede, o almeno quella che noi riteniamo tale, è un alibi per coprire questa incapacità profonda di relazioni, un approdo sicuro in cui poter rimuovere l'accorata preghiera del Cristo: "Padre, perché mi hai abbandonato?". Vista fuori di questa prospettiva di relazione vitale e dialettica, questa stessa preghiera può sembrare un'imprecazione, un momento di rabbia e di contestazione radicale. Ma non è così. Il Dio della vita instaura con noi un dialogo, è l'Altro di un rapporto che non può mai diventare stanco, stiracchiato, annoiato, un rapporto come quello tra un uomo e una donna che si vogliono bene. Con la persona che amiamo è difficile annoiarsi, proprio perché non sappiamo mai che cosa l'amore ci può chiedere, l'amore non si pianifica, le risposte all'amore non sono mai standardizzate, sono sempre piene di sorprese. E così è con Dio.
Il Dio della vita non è il Dio degli idoli. La fede in Lui, se davvero le fossimo fedeli senza abusi di parole, ci obbligherebbe anzi a denunciare gli idoli, e a correre i rischi che tale denuncia profetica comporta. Certo, ci vorrebbe il coraggio vigoroso di Paolo per proporre sempre il passaggio, la conversione, dagli idoli al Dio vivente. A noi l'umile compito di percorrere questo viottolo sassoso, senza aspettare che altri lo facciano. Dobbiamo avere il coraggio di demistificare le false immagini di Dio che, anche come credenti, abbiamo costruito lungo la storia. Non è con l'attaccamento esclusivo alle forme di culto e ai vari rituali che noi possiamo soddisfare il nostro bisogno di Lui. Si tratta di un bisogno molto più intimo e profondo. Ci è richiesta, in definitiva, una fede più critica che ci consenta di leggere, con occhi nuovi, con una vista riacquistata come quella del cieco, senza pregiudizi, gli avvenimenti della storia: al grido che da essa si leva, Dio non è certo indifferente. E anche questa è fede.
Traccia per la revisione di vita
- Parliamo di fede nella nostra famiglia? La diamo per scontata? Abbiamo il pudore di affrontare questo tema in coppia?

- Rispettiamo in coppia la nostra fede reciproca? O abbiamo la pretesa di dominare o di giudicare la fede dell'altro?

- Ci scoraggiamo per la difficoltà che proviamo talvolta a credere? Abbiamo paura della "notte della fede"?
Luigi Ghia Direttore di "Famiglia Domani", rivista dei CPM italiani

 

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