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TESTO La croce luogo di umiltà e di servizio

padre Gian Franco Scarpitta  

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XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (23/09/2012)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Accettare la croce per Gesù equivale a portare a compimento la vera rivelazione. In essa egli manifesta la vera potenza del suo messianismo di redentore e Salvatore universale, potenza che consiste nella profondità e nell'ampiezza dell'amore. In parole povere, Gesù nella croce ama il mondo intero inequivocabilmente e la dimostrazione di tanto amore è la rivelazione di Dio. Nella liturgia di oggi l'amore e la croce vengono associate all'umiltà e al servizio che sono appunto i preamboli dell'uno e dell'altra. E' quanto Gesù sta tentando di spiegare ai suoi discepoli dopo aver illustrato loro la necessità del triste destino che lo attende nella capitale del regno di Giuda e dopo aver osservato che essi, confabulando fra di loro si preoccupano delle mondane posizioni altolocate: chi è il più grande fra di noi?

E' inevitabile che egli si rechi a Gerusalemme dopo aver attraversato la Galilea, perché solo una volta raggiunta quella meta topografica potrà portare a compimento il programma di salvezza che in lui si sta realizzando ad opera del Padre, manifestando la vera onnipotenza del Padre, quella dell'Amore supremo. Nell'amore sacrificale Gesù dimostrerà umiltà, mansuetudine e immacolatezza, spirito di donazione e di servizio, comportandosi esattamente in senso opposto alla logica mondana del potere e del successo: nella croce si mostrerà meschino e ultimo, alla pari del chicco di grano che per recare frutto deve perdersi fra le zolle della terra per essere da queste inghiottito e non avere più individualità e dignità personale (Gv 12, 24); e ciò nonostante recherà copiosi frutti in un secondo momento. Darà l'impressione dell'Agnello mansueto votato al macello e asservito al disprezzo degli uomini (Is 52 - 53) e avrà l'impressione di subire persino l'abbandono del Padre suo. La Proprio perché è la massima espressione dell'amore di rivelazione divina, la croce si configura insomma come luogo di umiltà e di servizio, che esclude ogni forma di autoritarismo e di personale affermazione.

Di conseguenza la risposta di Gesù alle congetture dei suoi discepoli non può essere che una sola: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutto e il servitore di tutti". Con una simile esortazione Gesù non rivolge ai suoi solamente il rimprovero di mancata umiltà ma afferma che la condizione indispensabile per raggiungere il traguardo tanto ambito della superiorità e della grandezza risiede nell'umiltà e nel servizio. Chi nella vita professionale o semplicemente nella dimensione associata non è stato in grado di obbedire e di restare sottomesso, difficilmente mostrerà attitudine o carisma di governo e tutte le posizioni di successo, solitamente ambite e agognate come meta facile e immediata, non si raggiungono se non dopo una lunga gavetta di sacrifici e di rinunce. Appunto perché umiltà, buona disposizione e servizio sono le caratteristiche di chi sa veramente guidare e dirigere, conscio di dover eseguire un servizio all'intera società nel gruppo o nel sistema che gli è stato affidato. Essere a capo di qualcosa vuol dire infatti averne la responsabilità diretta e rispondere di ogni sgarro eventualmente compiuto oltre che godere di possibili benemerenze e di riverenze nel prestigio; quanto più hai affidato un ruolo di alta posizione tanto più sarai chiamato al servizio e alla disponibilità verso gli altri.

Vanità, orgoglio e presunzione conducono inaspettatamente a capitolare, l'umiltà e la mansuetudine nel servizio temprano la persona e la predispongono all'ascesa verso le mete alte., e

al contempo favoriscono la concreta maturazione della persona.

E in questa prospettiva si diventa sempre più irreprensibili nella condotta e in grado di agire in modo che la coscienza non debba rimproverarci nulla e rispondere così agli sberleffi immancabili di chi invidia la nostra posizione di sevizio e di donazione. Il brano tratto dal Libro della Sapienza di cui alla Prima Lettura di oggi descrive peraltro la situazione del giusto che è costretto vivere nella solitudine e nelle continue persecuzioni a causa della sua condotta, ma quali insidie avranno successo sul giusto quando la condotta di questi è conforme alla croce del Cristo?

 

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