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TESTO Dimmi con chi mangi…

don Alberto Brignoli  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/08/2012)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

È vero: dell'Eucaristia come Pane di Vita e di tutta la profondità e la ricchezza che questo Mistero della nostra fede porta con sé non si smetterà mai di parlare abbastanza. Ma il tema di Gesù come Pane di Vita legato al capitolo 6 del Vangelo di Giovanni e tutti i rispettivi collegamenti all'Antico Testamento (in particolare all'esperienza dell'Esodo) ci sta accompagnando ormai da quattro domeniche, e lo farà - sia pur parzialmente - anche la prossima domenica. Il rischio, perciò, di essere ripetitivi e quindi di non offrire più spunti di riflessione interessanti per la nostra vita di fede risulta essere abbastanza elevato.

Questo è il motivo per cui, in questa domenica, ho deciso di concentrare la mia attenzione più sulla prima lettura, che pur avendo dei riferimenti eucaristici ineludibili, lo fa non attraverso un discorso come quello di Giovanni (che gli stessi discepoli, la prossima domenica, non esiteranno a definire "duro e di difficile comprensione"), ma attraverso un'efficace immagine biblica - quella del banchetto - che Gesù riprenderà in modo significativo e addirittura ne farà un "luogo teologico", ovvero un momento forte per far "passare" alcuni concetti legati alla sua persona e al suo essere Figlio di Dio.

Il libro dei Proverbi gioca buona parte del capitolo 9 sulla contrapposizione di due inviti a banchetto: quello di "Donna Sapienza" e quello di "Donna Stoltezza". La prima (protagonista della lettura di oggi) è attiva e costruttrice; la seconda, irrequieta e fannullona. Entrambe invitano "gli inesperti e i privi di senno". Ma chi va dalla prima e mangia il suo pane, acquista l'intelligenza, cioè quel buon senso e quella prudenza nell'agire che rende la vita un'esperienza gioiosa. Chi invece, disprezzando la prima, va diritto alle dolcezze furtive della seconda, finisce nell'ombra della morte.

Questa bellissima immagine non è altro che la sintesi di tutto un genere letterario del banchetto che percorre la Bibbia da cima a fondo, e che trova nella prassi di Gesù il suo culmine. Attraverso il banchetto, non si vuole solo compiere una funzione vitale come quella del mangiare o un rito che ricordi momenti belli del passato come nel caso del Banchetto Pasquale. Il banchetto biblico è sempre un "memoriale" (termine poi usato pure per l'Eucaristia), ovvero un rito che senz'altro fa memoria di qualcosa che è avvenuto nel passato, ma perché i suoi benefici (primo tra tutti, una più profonda conoscenza di Dio, la Sapienza appunto) continuino ad avere efficacia nella vita presente.

Dicevamo che Gesù porta al culmine questa pratica del banchetto, e non solo con il momento conclusivo della sua esistenza terrena, nel quale, attraverso il banchetto dell'Ultima Cena, ci lascia l'Eucaristia come "memoriale" della sua Morte e Resurrezione. Possiamo infatti dire che i messaggi più importanti e i gesti più significativi della sua missione, Gesù li compie nel contesto di un banchetto.

È ad un banchetto matrimoniale svoltosi a Cana di Galilea che Gesù, trasformando l'acqua in vino, dà inizio ai segni miracolosi che contraddistingueranno la sua missione; è ad un banchetto in casa di Levi il pubblicano, da poco chiamato al suo servizio, che rivela ai benpensanti d'Israele di essere venuto nel mondo a chiamare non i giusti, ma i peccatori, motivo per cui condivide spesso con loro il banchetto, appunto; ed è sempre nel contesto di un banchetto in casa di un fariseo che Gesù, ricevuto un gesto d'affetto da una donna di pessima reputazione, fa comprendere al puritano padrone di casa che solo chi ama di più è degno di sperimentare di più l'amore e il perdono di Dio;

è all'interno di diversi banchetti, spesso con gente non certo raccomandabile, che Gesù proclama le più belle parabole della misericordia, oltre a paragonare il Regno dei Cieli a un banchetto pensato inizialmente per i buoni e i giusti, i quali però rifiutano l'invito e ne vengono definitivamente esclusi a vantaggio dei poveri, degli emarginati e dei reietti;

è ad un banchetto in casa di un uomo di Betania guarito dalla lebbra che Gesù riceve l'unzione che prelude alla sua morte e affida alla sua Chiesa il compito di occuparsi con serietà dei poveri, invece di scandalizzarsi ipocritamente per l'uso eccessivo di un unguento di grande valore; ed anche dopo il Banchetto per eccellenza dell'Ultima Cena, portato a compimento sull'altare della croce, Gesù si presenta Risorto ai suoi e condivide con loro un po' di pane sulla strada di Emmaus e un po' di pesce arrostito in riva al lago di Galilea.

Non credo di esagerare, perciò, se giungo ad affermare che il banchetto nella predicazione e nella vita di Gesù è talmente importante che è proprio a causa del suo modo di mangiare che viene messo in croce. Ciò che infatti urta maggiormente la sensibilità dei Giudei del suo tempo e che non può certo rappresentare un'immagine di Dio coerente con quella del Dio degli Eserciti dell'Antico Testamento è proprio la condivisione che Gesù fa della sua stessa vita divina con i peccatori, gli emarginati e gli esclusi della società: condivisione che raggiunge il suo culmine proprio nel banchetto, dato il valore altamente simbolico che aveva, nella cultura d'Israele, il condividere il pane con una persona. Se banchettare con una persona significava (e credo continui a significarlo) sentirsi in amicizia e in comunione con lei, è chiaro che per i farisei puritani un Dio che entra in comunione con i peccatori è un Dio ridicolo, banale, blasfemo, e come tale va eliminato.

Ma è proprio la condivisione della vita di Cristo con gli esclusi, portata fino all'estremo di essere "crocifisso in mezzo a due malfattori", che spinge noi, suoi seguaci in questo tempo, a comprendere che il vero banchetto di condivisione con Cristo è il banchetto che si fa "una sola cosa" con tutti gli esclusi e gli emarginati della società, così come lui ha fatto.

Se quel Banchetto Eucaristico a cui partecipiamo con assiduità, magari ogni domenica, o magari addirittura quotidianamente, non è capace poi di sfociare in gesti concreti di solidarietà con chi soffre, con chi è escluso, con chi è emarginato e con chi rappresenta uno scandalo per la società a motivo del suo comportamento non certo ineccepibile, risulta perfettamente inutile partecipare all'Eucaristia. La nostra partecipazione sarebbe formale, rituale, e quindi, come quella dei farisei, profondamente falsa.

La continuità fra il Banchetto Eucaristico a cui partecipiamo e l'attenzione ai nostri fratelli più emarginati e bisognosi è fondamentale ed essenziale al compimento della legge della carità che a parole diciamo di conoscere molto bene, ma che nella vita di ogni giorno rischia di rimanere un mucchio di parole gettate al vento.

Banchetto Eucaristico sì, dunque: ma se sfocia poi, come quello di Cristo, in gesti di carità concreta, di accoglienza, di condivisione con i più poveri ed emarginati.

 

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