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TESTO Commento su Giudici. 2, 6-17; Tessalonicesi 2, 1-2. 4-12; Marco 10, 35-45

don Raffaello Ciccone  

VIII domenica dopo Pentecoste (Anno B) (22/07/2012)

Vangelo: Gdc 2, 6-17; Ts 2, 1-2. 4-12; Mc 10, 35-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,35-45

35Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

41Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Lettura del libro dei Giudici. 2, 6-17
Israele vive un periodo difficilissimo mentre cerca di insediarsi sul territorio che il Signore ha loro assegnato.
Non c'è ancora una nazione d'Israele poiché vale molto di più il rapporto tribale. Ognuno si colloca con le proprie possibilità e cerca i mezzi di sopravvivenza. L'unità di popolo avverrà con la monarchia di Davide, attorno all'anno 1000 a C. Così il libro dei "Giudici" fa riferimento ad un periodo precedente, che va dalla morte di Giosuè (circa il 1220-1200 a.C.) all'inizio dell'epoca monarchica. Vengono raccontate le avventure di alcuni particolari capi del popolo, chiamati "giudici" che diventano capi tribù e cercano di affrontare i nemici che attentano alla libertà e alle risorse delle tribù.
Il periodo del racconto raccoglie, complessivamente, fatti e battaglie di circa 160-180 anni.
Scelto per le situazioni difficili che turbano la vita di una o più tribù della comunità, ma non mai molte, il "Giudice" viene considerato un "liberatore", inviato da Dio che finalmente ha accettato di ascoltare il grido di sofferenza. Così, diversi per esperienza e per educazione, i "Giudici" sanno riportare il popolo alla sua riconquistata libertà e quindi ricostruiscono un rapporto di pace con il Signore stesso.
Nei vv 2,6-10 il testo si ricollega al libro di Giosuè per indicare una continuità, sul filo dell'accordo compiuto con Dio nell'assemblea di Sichem (Giosuè 24,1ss) quando tutto il popolo d'Israele, nelle sue 12 tribù, sancì il patto con Dio dopo aver ascoltato le parole di Giosuè. Questi, ricordati i fatti della liberazione, aveva chiesto alle tribù la disponibilità a servire Dio. Il popolo aveva risposto: "Noi serviremo il Signore" (v 21).
L'autore di questo libro garantisce che la generazione di Giosuè, con tutti quei personaggi che avevano sperimentato la protezione di Dio nel deserto, avevano tenuto fede all'impegno assunto (v 7).
Ma, col passar del tempo (vv 11-17), la storia di Israele si intorbida. Che cosa, infatti, è diventato, agli occhi di Dio, questo popolo, liberato attraverso Mosè?
Lo scrittore deve dare una risposta coerente alla fede ed ai costumi del suo tempo. Così egli compie una interpretazione teologica: Dio ha abbandonato il suo popolo e non ascolta più il loro grido poiché Israele compie il male ed ha abbandonato il Dio dell'Esodo per seguire altre divinità.
E' venuto meno al patto, tradendo il Signore e accogliendo le stesse usanze, costumi, mentalità dei popoli entro cui si ritrova ad abitare. Essi facilmente si lasciano ingannare e illudere dalle civiltà più evolute; essendo stati schiavi prima, ed ora contadini e ignoranti pastori, sono affascinati dal benessere dei popoli della costa, molto più ricchi perché dediti al commercio.
Il benessere viene scambiato come un regalo ottenuto dagli dei per il dono di offerte o loro carpito con pratiche magiche e usi pagani. Non è lontano il paradigma del primo peccato dell'umanità, quello di Adamo ed Eva. La prima umanità segue le stesse dinamiche, volendo raggiungere una propria potenza, immaginando poteri sovrumani. Nell'idolatria si può ricattare Dio, lo si costringe, lo si obbliga alla fecondità della terra, degli animali e delle donne.
Si ritorna a parlare di schiavitù: "Furono depredati, furono venduti ai nemici che stavano loro intorno ai quali non potevano più tener testa" (v 14). Il Signore, tuttavia, finalmente si occupa della liberazione di questo suo popolo come ha sempre fatto e perciò "fece sorgere dei Giudici" (v 16).
Ma l'idolatria non scompare facilmente dall'orizzonte umano, anche nell'ambito della vita quotidiana dei credenti di oggi. Idolatria significa mettere al primo posto delle proprie scelte e della propria vita, ciò che non è Dio stesso, ciò che io o la società riteniamo fondamentale:. Ci creiamo degli Assoluti. Ma la conclusione conduce alla guerra, alla violenza, alla mancanza del necessario mentre cresce la ricchezza di classi privilegiate.
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi2, 1-2. 4-12
Paolo si dimostra subito particolarmente affezionato a questa comunità che lo ha accolto dopo le fatiche morali e fisiche subite a Filippi (At 16,19-40). Egli, in questo testo, vuole sottolineare la chiarezza e l'onestà della proposta che fa del Vangelo e vuole richiamare la gratuità della sua opera.
Egli sa che il Vangelo è Gesù, dono del Padre, e la sua vocazione deve prendere atto di testimoniare l'amore di Gesù, totalmente gratuito come dono del Padre.
Paolo ha capito che la gratuità è la discriminante per scoprire l'opera di Dio.. In tal modo aiuta anche noi un'analisi puntuale delle cose che Paolo enumera.
- "Non ho cercato di piacere agli uomini e quindi non mi sono permesso di adulare per aprirmi un varco nella comprensione e nella simpatia delle persone;

- Non ho cercato la gloria umana né da voi né da altri, pur potendolo fare, in nome della mia autorità;

- Sono stato amorevole tra voi come una madre che ha cura dei figli;

- Nel mio attaccamento a voi vi avrei dato anche gratuitamente la vita;

- Sempre per gratuità, ho lavorato duramente giorno e notte per guadagnarmi il pane e non essere di peso a nessuno;

- Con ogni mezzo e gratuitamente ho cercato di parlarvi, di darvi esempio e di incoraggiarvi alla sapienza ed all'accogliere il Vangelo di Gesù che io mi glorio di portare come una missione ed un compito. E' la vocazione: che Dio mi ha affidato. Mi sono sforzato di non piacere agli uomini ma a Dio che conosce il cuore di ciascuno";
Il compito educativo non è solo materno ma ugualmente paterno e Paolo sente che deve svolgere insieme questo ruolo, prezioso ed importante, valorizzato particolarmente nel mondo ebraico, poiché è il padre che trasmette la Sapienza di Dio alle nuove generazioni.
Per questo Paolo chiede ai cristiani ed anche a Dio di essergli "testimoni del suo comportamento: "santo, giusto e irreprensibile"; Paolo ricorda che "abbiamo esortato ciascuno di voi, e incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio" (vv 11-12).
In questa prima lettera ai Tessalonicesi, Paolo utilizza la parola greca "parresia" che significa: "parlare con chiarezza, coraggio e verità" e constata che non è stata vuota la sua presenza né tanto meno inutile.
Paolo, in tal modo, ha chiarito un atteggiamento fondamentale dell'adulto credente: operare nella gratuità. E' la caratteristica essenziale di Dio che Gesù ha tradotto ogni giorno e che lo sforzo che la Comunità cristiana dovrebbe riproporre nei suoi criteri, stili, proposte, operosità. Nel mondo è così stupefacente che insieme meraviglia, e crea diffidenza, sospetto e dubbi di ambiguità. Eppure, anche se difficile, è un orizzonte da tenere continuamente presente.
Lettura del Vangelo secondo Marco10, 35-45
Questo testo fa parte di quel capitolo 10 che costituisce una splendida catechesi per l'adulto credente. Ritroviamo, a tratti, i brani che, per sé, andrebbero, comunque ripensati insieme, anche se poi siamo obbligati ad analizzarli passo passo. Marco sta raccontando che Gesù è in cammino con i suoi verso Gerusalemme ed ha raccolto qui cinque scelte fondamentali che il credente deve far propri, seguendo Gesù maestro: E vanno affrontate tutte, in termini di gratuità e di novità, nello stile di Cristo stesso: il matrimonio (Mc. 10,1 -12), la emarginazione e le sofferenze attorno a sé, accogliendo i piccoli e i poveri (13-16), il guadagnarsi il pane e quindi il condividere il denaro (17-34), il potere che ogni persona ha acquisito (35-45), la ricerca religiosa che riscopre Gesù uomo-Dio, Figlio di Davide (46-52).
Gli apostoli hanno percepito, ormai chiaramente, quale sarà la conclusione di questo viaggio. Non hanno il coraggio di fare altre domande, né di dissuadere Gesù poiché, quando Pietro ha solo tentato di opporvisi, si è sentito dire: "Vai dietro di me, Satana, poiché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini" (Mc 8,23). E tuttavia, tra i discepoli, serpeggiano varie domande che li aprono, in pratica, sul futuro: "Dopo che Gesù sarà morto, chi avrà il potere in questa comunità? Quando sarà risorto e nella gloria, chi avrà più potere?"
Senza un minimo di discrezione, i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, si presentano da Gesù con una richiesta: "Vogliamo che tu faccia ciò che ti chiediamo". Il tono è esigente, quasi espressione di un diritto. Gesù ne ha parlato, qualche tempo prima. "Dopo la morte (8,38), sarebbe venuto nella gloria del Padre suo con gli angeli santi".
Ai due apostoli è rimasta in memoria "la gloria", detta una volta sola ma che non hanno dimenticato: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Vogliamo venire con te in cielo per giudicare, accanto a te, il mondo".
Quando Marco scrive, Giacomo e Giovanni hanno veramente affrontato una vita di amore e di testimonianza in spirito di profonda gratuità (Giacomo ha già dato la vita (At12,2) e Giovanni sta sostenendo con profondità e coraggio alcune comunità. Avevano maturato via via il significato dell'essere con Gesù.
Gesù chiarisce subito che non ci sono né carriere, né raccomandazioni, né progressi per meriti. Il Regno di Dio non vive le stesse logiche di questo mondo e Marco tiene a sottolineare che sono necessarie mentalità diverse che rifuggano dalla competizione per i primi posti.
Scegliere Gesù non dà onore né grandezza e sbaglia completamente prospettiva chi individua la sua dimensione religiosa per prestigio ed onore.
Per spiegarsi ,Gesù utilizza due immagini: quella del calice e quella del battesimo.
Il calice rappresenta il destino, buono o cattivo di una persona e Gesù stesso chiede al Padre: "Allontana da me questo calice" (Mc14,36) quando è nel Getsemani in attesa del suo arresto.
Il battesimo richiama l'immersione nelle acque della morte.
L'uno e l'altro identificano le sofferenze della passione di Gesù che egli affronta per portare speranza a tutti: Egli si fa servo, obbediente al Padre.
Anche loro soffriranno ma il posto della gloria è dato gratuitamente dal Padre.
La reazione degli altri è evidente, ma Gesù "li chiamò a sé" (è un momento particolare di concentrazione e di rivelazione) e dice: "Verificate lo stile e i criteri della gestione di ogni potere che esiste sulla terra. Ci sono poteri politici, economici, sociali, religiosi, culturali". Essi manifestano un dominio, hanno pretese di privilegi, bisogno di cerimoniali, gerarchie e dignità diverse. Ma tra voi non deve essere così. Il confronto è con uno schiavo: il livello più basso della società a cui tutti danno ordini. Chi ha potere, si deve sentire servitore e ultimo della sua comunità, cioè persona a disposizione.
Gesù stesso, che è maestro, come i maestri del tempo, avrebbe diritto di essere servito dai suoi discepoli; lo dovrebbero accudire, lavargli i piedi, perché, una volta promossi rabbi, anch'essi si possano sentire serviti dai propri discepoli.. E invece è proprio Gesù che laverà i piedi ai suoi discepoli, prima della cena nel Cenacolo (Gv13,4-5).
Il compito dell'autorità, da chiunque essa sia esercitata, è perciò quello di verificare, avendo responsabilità e sapienza, chi sia in maggiori difficoltà e di operare per il "bene comune"

 

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