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TESTO Commento su Genesi. 17, 1b-16; Romani 4, 3-12;Giovanni. 12, 35-50

don Raffaello Ciccone  

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V domenica dopo Pentecoste (Anno B) (01/07/2012)

Vangelo: Gn 17, 1b-16; Rm 4, 3-12;Gv 12, 35-50 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 12,35-50

35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

37Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

Signore, chi ha creduto alla nostra parola?

E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?

39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

40Ha reso ciechi i loro occhi

e duro il loro cuore,

perché non vedano con gli occhi

e non comprendano con il cuore

e non si convertano, e io li guarisca!

41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Lettura del libro della Genesi. 17, 1b-16
Il Signore appare ad Abramo perché desidera fare con lui e la sua discendenza un patto di Alleanza. I Patriarchi, prima di Mosè, chiamano Dio "El Shaddai, il Dio della montagna", immagine diffusa nel mondo antico. Anche i greci pensavano gli Dei sull'Olimpo e i Babilonesi, in mancanza di montagne, costruivano dei giardini o torri pensili con il tempio del Dio in cima. Lo stesso tempio di Gerusalemme è sul monte Sion, poiché la montagna è la realtà più alta che può raggiungere il cielo.
Dio è oltre il nostro orizzonte, altissimo e trascendente. Ma Dio è anche "la roccia" che sostiene e garantisce chi si fida di Lui (Deut32,4).
Nel brano letterario, non tutto letto oggi, ricorrono 7 temi:
v 1°. Dio appare come protettore.

vv 1b-8. Dio offre un patto: è un dono ma richiede alcuni impegni morali. E se qui sono sfumati, restano nella linea de: "le 10 parole di vita o comandamenti"" che Mosè consegnerà al popolo di Dio liberato. Di fronte alla responsabilità del "cammina alla mia presenza e sii integro" Dio si dona ad Abramo e alla sua discendenza come "il tuo Eloim familiare, il Dio tuo e della tua discendenza", e non più solo il "Dio della montagna". Da non dimenticare che Eloim è un plurale, ma per gli ebrei, che credono in un Dio solo, corrisponde alla "pienezza della divinità". Per identificare un'appartenenza e, nello stesso tempo, un destino ed una speranza luminosa, Dio cambia i nome ad Abram e a Sarai.

vv 9-11. La circoncisione è un uso antico per richiamare l'appartenenza del popolo al Dio dell'Alleanza. Questo legame dev'essere presente anche nella carne.

vv12-13. Patto di servitù. Anche i servi, nati in casa o comprati, entrano a far parte del popolo che Dio si è scelto. E' un atto di onore e di rispetto.

V 14. Il peccato contro il patto. Anche tra i popoli vicini che esercitano la circoncisione, il peccato contro il patto, per es. rifiutando la circoncisione, recide dal popolo consacrato.

Vv15-19. Il patto di figliolanza. Dio garantisce la nascita di un figlio ad Abramo che ha 99 anni (v1a) e a Sara che ha 90 anni.

vv 20-22. Abramo, interpretando la promessa di una discendenza, che Dio ha garantito, ma senza offrire modalità e previsioni particolari, immaginando che Dio volesse una sua iniziativa, ha generato Ismaele dalla schiava Agar che Sara stessa gli aveva offerto per avere un erede. La legge glielo permetteva e Abramo si rendeva conto di invecchiare senza soluzioni e senza eredi. Dio dice che benedirà anche Ismaele. "Genererà anch'egli 12 capi" (il 12 è il richiamo di un popolo). "Ma la mia Alleanza sarà mantenuta con Isacco" (v 21).
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Romani. 4, 3-12
Ricordato da Paolo il principio che noi siamo giustificati dalla fede e non dalle opere (cap 3,28: "Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge"), il capitolo 3 ritorna continuamente sulla consapevolezza che le opere, prima di tutto, non giustificano. E' la fede che ci fa entrare nel mondo di Dio. E la fede è quell'atto con cui ognuno di noi confessa la sua radicale insufficienza. La salvezza viene interamente da Dio che ci sceglie, ci accoglie e ci giustifica.
Con il cap. 4 Paolo vuole dimostrare ciò che ha affermato: non sono le opere che ci salvano in Dio ma, prima di tutto, la fiducia in Lui. E questo è avvenuto anche nel Primo Testamento, dice Paolo che, così, rilegge la Scrittura e la vicenda di Abramo, ritrovandovi la stessa consapevolezza.
Poiché per gli ebrei Abramo non è solo il capostipite, ma anche il modello e il giusto per eccellenza, proprio la vicenda di Abramo ci aiuta a cogliere il significato della fede, che vien prima delle opere. E poiché proprio la tradizione dei rabbini dice che Abramo sia stato giustificato mediante le opere, ubbidendo alla legge di Dio, Paolo vuole sfatare questa consapevolezza come leggenda. Se Abramo avesse avuto riconoscimento per le opere, poteva appoggiarsi su qualcosa per glorificarsi davanti a Dio. Ma egli non ebbe valore salvo che per la sua fede. E la sua fede fu quella di credere alle promesse di Dio (Gen12,2ss; 13,14-17; 15,1ss).
Il gesto eroico che Abramo era disposto a fare nel sacrificare il figlio Isacco (Gen 22,1 ss) e l'accettazione dell'alleanza (17,2) vennero dopo la scelta e l'Alleanza di Dio stesso. Certamente Abramo visse fidandosi di Dio e quindi seguendo la sua legge. Ma Abramo ha vissuto ed è stato accolto da Dio, non perché egli abbia acquisito dei diritti, come chi fa un lavoro ed ha diritto ad un salario, ma perché si è fidato di Dio e "questa fede gli è contata come giustizia" Paolo vuole insistere sulla fede perché, nella sua ricerca e meditazione, lo ha intuito da Dio, riflettendo sull'avventura di Gesù. Dio gratuitamente offre, Dio è generoso (mentre chi paga un salario rispetta solo regole di ingaggio). Il Salmo di Davide ( 32,1-2) sottolinea questa disponibilità gioiosa e generosa di Dio.
Poiché nelle discussioni che Paolo fa con i rabbini sorge una obiezione: "Abramo, almeno di una opera, ha merito: l'ubbidienza della circoncisione", l'apostolo risponde: Abramo è stato giustificato prima della circoncisione. Questa arrivò più tardi e non è che un sigillo per una santità e una giustificazione già in atto.
Abramo, allora, per strade diverse, è padre dei credenti, di quelli che, accolti da Dio, hanno formato il popolo dei circoncisi e Padre di quelli che non si fondano sulla circoncisione ma, seguendo le orme di Abramo stesso, hanno ricevuto la fede e l'accoglienza di Dio e l'hanno accettata.
In altri termini Paolo è preoccupato di dimostrare la gratuità dell'amore di Dio sia per gli ebrei, suoi fratelli nella carne che per i pagani che si sono convertiti a Cristo, fratelli nello Spirito.
Tutti, nell'accoglienza del dono di Gesù, sono salvati e amati gratuitamente. Ovviamente, nella scia di questo amore di Gesù, c'è l'invito a conoscere e a vivere con amore le scelte del Figlio di Dio maestro, via, verità e vita.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 12, 35-50
Il capitolo 12, che leggiamo oggi, fa da cerniera tra la grande presenza di Gesù che ha proposto la Parola e sviluppato i sette segni della potenza di Dio per la speranza dell'umanità e il capitolo 13 dove Giovanni comincia il racconto delle parole e dei gesti conclusivi di Gesù nell'ultima cena, prima della sua morte. Anzi l'ultimo segno, alla tomba di Lazzaro (Gv 11), esprime la vittoria sulla morte stessa. Gesù apre l'ingresso nel mondo di Dio a Lazzaro, anticipo di ciò che sarebbe avvenuto tra alcuni giorni a Lui stesso, e garantisce che la fede, in questa lotta contro la morte dell'amico Lazzaro, svela la novità più luminosa dei segni di Gesù.
Il cap 12 ricorda vari avvenimenti che precedono il testo di oggi: la cena in casa di Lazzaro, l'incontro della folla che a Gerusalemme accoglie Gesù trionfalmente, agitando le palme, mentre egli sale al tempio sull'asinello, il tentativo di dialogo di alcuni greci che interpellano Gesù attraverso i discepoli: Andrea e Filippo; e infine la manifestazione della volontà del Padre che passa attraverso una fedeltà fino alla morte: una morte che dà frutto come il grano che muore nel campo.
"L'anima mia è turbata" (27-33), afferma Gesù e si delinea il turbamento dell'orto degli ulivi, raccontato dagli altri Vangeli. Ma nessuno può aver capito qualcosa nelle parole di Gesù, se non dopo la risurrezione perché Gesù parla degli sviluppi degli avvenimenti e del significato che Egli attribuisce alla sua morte: "essere innalzato, attirare tutti a me".
Le domande si rincorrono l'un l'altra. Ma quella dominante è: "Chi è il Figlio dell'uomo?".
Invece di mettersi a discutere, Gesù ammonisce: "Ora avete ancora un po' di luce. Approfittatene". E suggerisce la risposta: "Io sono la luce.... Diventate figli della luce". Incoraggiando ad essere docili alla luce di Dio, Gesù invita a cogliere gli istanti. Ma improvvisamente la discussione si smorza qui. "Gesù se ne andò e si nascose a loro ( 36).
Giovanni pone qui il problema della ostinazione e fa ricorso al profeta Isaia (53,1-2). Il profeta già aveva predetto che gli uomini non avrebbero accettato di credere: il messaggio che stava rivelando sul "servo sofferente" deve rivelare un paradosso: "Il braccio del Signore, potente (contro i nemici e contro gli Egiziani nell'Esodo) si rivela ignominiosamente nella morte del suo Messia". E questo non lo vuole credere nessuno, nemmeno i suoi discepoli. Sono tutti incapaci di capire nonostante i molti miracoli, fatti in loro presenza, racconta Giovanni. Allora la citazione di Isaia: " Dio ha accecato i loro occhi" non vuole attribuire a Dio, direttamente, la responsabilità della cecità: il linguaggio ebraico attribuisce a Dio, direttamente, quello che Egli preannuncia. Ma richiama questa cecità, causata dalla mancanza di fiducia e di amore verso Dio.
L'evangelista presenta due tipi di reazioni diverse: le reazioni di coloro che hanno rifiutato Gesù e le reazioni di coloro che hanno creduto ma che sono timorosi di manifestarsi.
Si esprime qui anche l'atteggiamento e le perplessità delle prime comunità cristiane che non sanno capacitarsi che la presenza di Gesù nella storia d'Israele non abbia sollecitato questo popolo ad una riflessione seria e ad un cambiamento radicale. Ma sperimentano anche persone che hanno condiviso e hanno accettato il messaggio di Gesù, ma ne hanno vergogna a manifestarlo in pubblico, al di là dei pericoli che può portare ad una espressione palese della fede cristiana.
Ma il problema si pone anche oggi, allo stesso modo.
Il testo conclusivo (vv 44-50) potrebbe essere la sintesi che ricapitola e conclude tutta la prima parte del Vangelo di Giovanni (Capp 1-12). E' un testo sganciato da riferimenti particolari di tempi e luoghi ed ha un'unica drammatica caratteristica significativa: "Gesù gridò" (invece di esclamò) e ci rimanda all'inizio del Vangelo di Giovanni (il Prologo). Vengono usate le stesse parole e immagini, quasi un collegamento ideale tra l'inizio della vicenda umana di Gesù e la sua conclusione: "lucetenebra, vita, Padre, parola, mondo."
I Versetti 44-45 rimandano ai vv 49-50: Gesù è l'inviato del Padre e il suo rivelatore.
Il brano 46-48 rivela il tema centrale della rivelazione che ha, come conseguenza, un giudizio di condanna per coloro che non l'accolgono, anche se chiaramente Gesù afferma: "Non sono venuto a condannare il mondo ma a salvare il mondo. Ma se qualcuno mi rifiuta, si prende da sé la condanna."
.L'adesione a Gesù è totalmente gratuita: richiede però una disponibilità libera e responsabile. E l'offerta che Gesù offre è garantita dal Padre.
La discriminazione è compiuta da noi, misurandoci sulle parole di Gesù e scoprendo la nostra incapacità a realizzarci nella nostra dignità di persone umane. Il nuovo viene da Dio e non dai nostri rifiuti, dalle nostre paure, dalla prepotenza o dai nostri schemi di potere.
La verità che ciascuno di noi cerca sta nella rivelazione di Gesù. Egli esprime il volto di Dio che ha conosciuto e porta la vita eterna nella stessa pienezza che il Padre ha offerto a Lui.
Tutti e tre i brani, nella linea di Abramo, ci offrono la gratuità di Dio, la vocazione ad essere suoi figli, l'incontro amoroso e totale di Dio che ci cerca e ci circonda.

 

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