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TESTO Dio preferisce l'Amore

don Alberto Brignoli  

VI Domenica di Pasqua (Anno B) (13/05/2012)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

"Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga": se Dio non fa preferenze di persone, perché mai noi dovremmo farle? O - peggio ancora - perché mai le persone fanno preferenze su Dio, arrivando a dire che un Dio è meglio che un altro, che una fede (di solito la loro) è più vera delle altre?

Quello che Dio potrebbe permettersi di fare, ovvero giudicare e distinguere gli uomini tra buoni e cattivi (in quanto conosce le intenzioni di ogni cuore), lui tralascia di farlo: ma ciò che è più paradossale è che l'uomo, arrogandosi un diritto che non ha, si sente talmente superiore a Dio da permettersi di sostituirsi a lui, e di ergersi a giudice e discriminatore tra gli uomini, facendo indebite preferenze e distinzioni tra le persone sulla scorta di una presunta conoscenza delle intenzioni del cuore dei suoi simili. Ma fa ancor peggio: "preferisce" il suo Dio a quello degli altri, e in nome di questo Dio giudica, sentenzia, condanna, discrimina...

Quando il metro di giudizio dell'uomo nei confronti di un suo simile è dato da una legge, le sentenze che egli emette, condivisibili o no che esse siano, rispondono comunque ad una logica umana; ma quando il giudizio diventa discriminatorio perché basato esclusivamente su una serie di "pre-giudizi" in base ai quali "bolliamo" gli altri solo per ciò che a noi appaiano, o per "cliché" preconfezionati che la società applica su di loro senza sforzarsi di conoscere le reali intenzioni del cuore, allora la logica non è più umana: diventa una logica contraria alla logica di Dio, "avversa" a Dio. E ciò che più guasta, è che molte volte è fatta "in nome di Dio".

Quante volte sento cristiani (e noi clericali, molto più di altri...) dire: "Questo comportamento è errato; questa situazione è immorale; quella persona si trova in uno stato di peccato. È Dio in persona che lo dice!". Beh, personalmente ritengo che queste affermazioni, per quanto in alcune situazioni possano anche sembrare giuste, sono sempre e comunque errate anche solo per il fatto di essere intrise di presunzione. E purtroppo, rispondono a una logica più frequente di quanto pensiamo, anche nei nostri atteggiamenti quotidiani.

Se quindi accettiamo per vere ed ispirate le parole di Pietro, ovvero che "Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga", ne consegue che discriminare le persone per il colore della loro pelle è una logica avversa a quella di Dio; discriminare le persone per il loro credo religioso o per la loro cultura è contrario alla logica di Dio; discriminare le persone per il loro modo di parlare, di agire, di pensare, di comportarsi, addirittura di vestirsi e di mangiare, è contrario alla logica di Dio. Addirittura, nella logica del perdono, discriminare le persone che notoriamente e pubblicamente sbagliano, è contrario alla logica di Dio, perché Dio non condanna...

Chi può impedire a Dio - parafrasando ancora il pensiero di Pietro al termine della prima lettura - di attuare il suo piano di salvezza, anche attraverso persone che noi giudichiamo "fuori dalla salvezza" solo perché diverse da noi? E chi siamo noi per dire "questa persona è amata da Dio e quest'altra no"?

Sono questioni annose che la comunità dei credenti in Cristo porta con sé sin dai suoi albori. Se l'autore degli Atti degli Apostoli deve spendere quasi un intero capitolo per risolvere la questione della discriminazione che i cristiani di origine giudaica attuavano nei confronti dei loro fratelli provenienti dal paganesimo (ritenuti "inferiori", di "serie B"), ciò significa che la questione era particolarmente scottante e di non facile soluzione: prova ne è il fatto che nemmeno di fronte ad una manifestazione solenne ed evidente dello Spirito Santo che discende sui pagani e permette loro di parlare in altre lingue, i giudeo-cristiani riescono ad accettare con serenità la cosa, e manifestano ancora il loro "stupore" di fronte all'accaduto. Lo stesso Pietro giunge all'accettazione dei pagani dopo un lento processo di conversione personale che sfocia nella famosa "visione di Giaffa", descritta proprio in questo capitolo 10, dove Dio gli appare dicendogli di non dichiarare "indegno" ciò che Dio ha giudicato degno di sé, anche se apparentemente diverso da ciò che Pietro poteva avere in mente.

Liberarci da una mentalità pregiudiziale e discriminatoria nei confronti delle persone richiede quindi anche per noi un cammino di conversione che ha il suo punto di partenza nella presa di coscienza del nostro nulla di fronte a Dio, sapendo che è lui che prende l'iniziativa di salvarci, e non noi di andare verso di lui: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi"; ed ha come punto di arrivo la logica dell'amore di Gesù Cristo, un amore che raggiunge il suo culmine quando arriva a dare la vita per le persone che si amano.

Con i fatti concreti, però: non a parole, come Pietro che, nella notte del Getsemani, prima proclama la sua disponibilità a "dare la sua vita" per il Maestro, e poi lo rinnega senza mezzi termini...

Giovanni ci chiede, nella lettera che stiamo leggendo in queste domeniche di Pasqua, di amare "non a parole, ma con i fatti e nella verità".

Pare proprio che il Dio di Gesù Cristo non conosca altra logica che quella dell'amore. E la logica dell'amore sembra proprio essere l'unica capace ancora di dare speranza alla nostra vita.

L'amore non fa distinzione di persone, l'amore sa rialzare chi cade ai nostri piedi, a volte magari per servirci e riverirci, cosa di cui godiamo parecchio, e con freddo cinismo;

l'amore non si stupisce di nulla di ciò che è buono, l'amore non impedisce ad alcun uomo e ad alcuna donna di essere salvati;

l'amore ti permette di conoscere Dio, perché Dio è amore, e dove due persone si amano sinceramente, lì c'è Dio. Anche quando, magari, il loro rapporto d'amore non rientra "nei canoni" prestabiliti.

L'amore non allontana mai dalla fede o da Dio, ma fa rimanere Dio nel cuore delle persone, l'amore è l'unico comandamento che Gesù Cristo ci ha lasciato, l'amore è fonte di gioia piena;

l'amore è l'unica cosa che ci può spingere a spendere la nostra vita per gli altri, l'amore ci permette di sentirci "amici" e non "servi" di Dio;

l'amore porta sempre frutti, e frutti buoni, l'amore ottiene tutto, anche ciò che siamo abituati a chiedere con violenza.

Non abbiamo alcuna strategia, né alcuna arma, né alcun decreto, né alcun potere politico, né alcuno strumento finanziario, né alcuna autorità capace di convincere gli uomini a credere che un mondo più giusto sia possibile: l'amore, lui sì, ce la può fare.
Per questo, Dio preferisce l'amore.

 

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