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V domenica T. Pasqua (Anno B) (06/05/2012)

Vangelo: Gv 17,1b-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 17,1b-11

1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

Il pericolo nella comunità di Corinto era chiaro: la forza e la novità dell'annuncio evangelico rischiavano di essere vanificate dalla tendenza a trattare la fede cristiana alla stregua di una qualsiasi filosofia. L'ambiente culturale lo favoriva. La mentalità greca era particolarmente appagata e affascinata dall'esercizio intellettuale e contemporaneamente disposta alla pluralità di pensieri. L'abitudine alla speculazione, l'avvalersi ordinario di maestri di pensiero, il proliferare di correnti filosofiche era il contesto più adatto perché anche l'insegnamento apostolico fosse approcciato allo stesso modo.

Ridurre l'adesione al Vangelo all'elaborazione di una "sapienza", sradicata dall'esperienza reale ed effettiva dell'essere uomini nuovi in Cristo: questo il rischio più grosso. L'esperienza storica di Gesù, la "carne" del Vangelo, lo scandalo della Croce passavano in secondo piano lasciando spazio a un cristianesimo di carattere gnostico in cui la sapienza cristiana era l'esito dello sforzo dell'intelletto umano.

Era immediato in un simile contesto considerare gli apostoli come portatori in proprio di una sapienza o di una teoria esistenziale, e il dividersi della comunità dietro i vari maestri ne era la conseguenza immediata e alquanto dannosa. La comunità ecclesiale finiva per presentarsi come insieme di gruppi elitari, legati alla sapienza di diversi maestri umani, accanto ad altre scuole di vita di  cui  Corinto  e  il  mondo ellenistico  dell'epoca  era  ricco.

In questo contesto va collocato l'intervento di Paolo che riaggiusta le cose nella giusta prospettiva..

Ridurre il Vangelo a una sapienza intramondana è vizio persistente.

Una sociología, un approccio político, un filosofía esistenziale, una teoría pastorale.
Un cristianesimo senza Cristo.

Il rischio della Chiesa di Corinto è di ogni Chiesa, di ogni tempo e luogo.

Ma le parole di Paolo sono chiarissime: l'autore della vita cristiana è lo Spirito e la Sapienza che il Vangelo porta con sé è incommensurabile alle sapienze mondane.

Il Vangelo di Gesù è anzitutto la persona di Gesù vero uomo e vero Dio, nella cui carne abbiamo visto l'opera del Padre e l'efficacia dello Spirito.

La vita cristiana è incarnare quel tipo di esperienza: tutta la nostra esistenza abitata dalla Sua Presenza per opera dello Spirito.

Il "fare" cristiano è anzitutto operare perché lo Spirito trovi le fessure attraverso cui filtrare nella nostra libertà.

Non è certo la ricetta a farmi godere della bontà del piatto cucinato e tantomeno a nutrirmi. Non è la descrizione dei principi attivi di un farmaco a farmi guarire. Assaggiare e assumere invece danno effetto.

Così non è certo una filosofia costruita sul Vangelo a farmelo sperimentare.

Nemmeno la teologia più ortodossa e precisa è affatto garanzia da sé di vera esperienza cristiana.

Potrò spiegare diffusamente con teorie precise e convincenti quel che significhi avere Dio come Padre, sperimentarne la cura, gustarne la misericordia, avvertirne la forza; potrò affascinare, ingolosire, attrarre; potrò dare degli elementi per non confondere il pensiero. Ma l'esperienza vitale, spirituale e incarnata della paternità di Dio è solo opera dello Spirito.

Ad essa ci si può disporre, ci si deve disporre, orientando l'unità della nostra persona nella direzione del Vangelo.

Il mantenermi nel costante rapporto con Cristo e con la Sua Parola nella quotidiana, docile e umile tensione del realizzarla spalanca la porta allo Spirito.

E si finisce col vivere quella particolare esperienza che ogni autentico discepolo del Vangelo fa', di veder maturare nella propria coscienza, nel proprio agire, nel modo di stare nel mondo, nella qualità dell'amare, nella logica dello scegliere una vera e propria Sapienza che è molto ma molto di più del risultato della somma dei singoli sforzi compiuti.

 

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