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TESTO Commento su Giovanni 10,11-18

Omelie.org (bambini)  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2012)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Siamo nel cuore del tempo di Pasqua, eppure il Vangelo di oggi non parla di Resurrezione, parla di un pastore.

Alla folla che lo ascolta, e naturalmente anche a noi tutti, il Maestro Gesù propone una lunga parabola: certo che aveva una bella fantasia, per trovare in ogni occasione il racconto giusto!

Mi piace sempre soffermarmi sui dettagli delle parabole che il nostro Rabbi inventa di volta in volta. Avete notato come sceglie gli elementi dei suoi racconti?

In genere, se noi dobbiamo fare un esempio, ci riferiamo a qualcosa che conosciamo bene e che sia familiare anche a chi ci ascolta, così da riuscire a capirci al volo.

A me, proprio per questo, capita spesso di fare esempi che si riferiscono alla scuola: perché quello è il mio ambiente di lavoro ed in più voi, frequentate tutti, ciascuno la propria scuola; quindi ci comprendiamo subito, è un'esperienza in comune.

Gesù è sempre molto attento, in questo. Quando ha invitato gli apostoli a seguirlo, poiché di professione erano pescatori, li ha invitati a diventare "pescatori di uomini". Camminando per la campagna, ha raccontato la parabola del seminatore, figura familiare ai tanti contadini che in quel momento lo ascoltavano.

Oggi, per parlare di sé, mentre si trova a Gerusalemme, sceglie di usare l'immagine di un pastore buono e premuroso.

Credo ci siano due motivi che lo portano a questa scelta: prima di tutto, intorno a Gerusalemme ci sono tanti pascoli, tante greggi, tanti pastori... sono sotto gli occhi di tutti.

In più, c'è un riferimento importante, sofisticato, persino un po' segreto, che però i farisei e i dottori della Legge possono capire subito: parlando di se stesso come del Pastore Buono, il giovane Rabbi sta in qualche modo citando le parole dei profeti, che avevano preannunciato la venuta del Pastore vero, del Pastore bello e forte, che avrebbe guidato con sicurezza tutto il popolo. Non sono dettagli da poco, perché con una semplice parabola, Gesù si presenta ai sapienti di Gerusalemme, come colui che rende vere e concrete le parole antiche dei profeti: ovvio che farisei e sommi sacerdoti comprendano immediatamente il messaggio e si scandalizzino anche! Ma in questo caso non possono protestare più di tanto: in fondo, il giovane Maestro di Nazareth, sta solo raccontando una storia!

Rileggiamo allora, ciò abbiamo ascoltato nel Vangelo di Giovanni: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. "

Gesù fa un confronto tra le caratteristiche del pastore e quelle del mercenario. Il pastore ama il gregge, ha cura delle pecore in ogni situazione, le conosce una ad una e le può chiamare per nome. Trascorre la giornata in mezzo alle sue pecore e se occorre le difende. Conosce i rischi dell'essere un vero pastore, ma non li evita: sa che possono arrivare i lupi o i briganti, ma lui è disposto a dare la vita per le sue pecore.

Il mercenario più che al gregge, è interessato alla paga: per questo si chiama "mercenario", dalla parola latina mercede che significa ricompensa. Il mercenario non ha amore per le pecore: segue il gregge, perché gli sta a cuore la paga che riceve ogni settimana. Quel che conta, per lui, è arrivare alla sera, possibilmente senza eccessive noie. Non conosce a fondo le pecore che gli sono affidate, in genere ne ignora anche il nome; per lui, in fondo, le pecore sono tutte uguali, lente, un po' stupide... Il mercenario le sorveglia, le controlla, certo, ma non sente alcuna preoccupazione per loro, e tantomeno si sente affezionato a quegli animali belanti e lamentosi...

Di fronte a una minaccia, che sia da parte dei lupi o da parte dei briganti, la scelta del mercenario è presto fatta: lui scappa! Al primo posto, ovviamente, mette se stesso. Ci manca solo che per difendere quelle stupide pecore, debba capitare a lui qualche guaio!

Gesù dice di essere come il pastore, riconosce in sé tutte le caratteristiche di un vero pastore. Ma aggiunge anche un aggettivo: dice che lui è il Pastore Buono.

Ha talmente cura del suo gregge che le pecore gli sono affezionate, con lui si sentono al sicuro, sanno di essere amate: "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me."

Il Maestro e Signore si lascia andare anche ad una confidenza, che noi ascoltiamo con cuore attento: "E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore."

Questo è il grande sogno che il Pastore Buono si porta nel cuore: formare un unico grande gregge, dove tutte le pecore possano ritrovarsi insieme, sicure, amate, condotte con gioia nei pascoli più verdi e tranquilli.

Perché questo sogno si possa realizzare il Pastore Buono è disposto a dare molto... anzi, a dare tutto, la sua stessa vita: "Io do la mia vita per le pecore... Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo."

Questo è il segno che rende il Pastore Gesù diverso da ogni altro pastore: non solo è disposto a dare la vita per il bene del gregge, ma Lui stesso offre la sua vita. Non lascia che siano gli altri a portargliela vita, è Lui a farsi dono.

Proviamo a capirci meglio, con un esempio vicino alla nostra esperienza, noi che non siamo pastori né pastorelle.

Se sto mangiando le patatine e qualcuno, con prepotenza, tuffa la sua mano nel mio sacchetto e se ne porta via una manciata, quelle patatine lì me le ha rubate, giusto? Siete d'accordo? Bene.

Se invece, mentre mangio le mie patatine, vedo arrivare anche voi e vi offro il sacchetto, perché possiate assaggiarne tutti almeno una, voi non me le state mica rubando, vero?!

Eppure, a conti, fatti, la mia situazione non è poi tanto diversa nei due casi: sia che io le offra, sia che me le rubino, io resto sempre con meno patatine per me, alla fine non mangio in ogni caso il sacchetto tutta da sola!

Però, penso siamo d'accordo tutti, che ci sentiamo diversamente, nel nostro cuore, se siamo noi ad offrire le patatine e se invece ce le rubano. Siamo contenti di offrire, di rendere gli altri partecipi di qualcosa di buono, mentre soffriamo di essere derubati, ci sentiamo traditi, ci restiamo davvero male.

Gesù ha capito fino in fondo questa verità e l'ha vissuta concretamente: anche in Croce, non ha permesso che prevalesse la violenza di chi voleva rubargli la vita, di chi voleva derubarlo della fiducia, della speranza nell'amore del Padre... No, persino sulla Croce, ha ripetuto che la sua vita la donava, la trasformava in offerta.

Oh, caspita! Alla fine, guardate un po', anche partendo dalla parabola del Pastore, siamo arrivati ancora una volta a parlare del dono di vita fatto da Gesù sulla Croce!

Perché in effetti quello è stato proprio il momento in cui ha dimostrato, senza ombra di dubbio, di essere il Pastore Buono, disposto a dare la vita, a offrirla per il bene del suo gregge.

La certezza più bella, per noi, è sapere di far parte proprio di quel gregge, di essere anche noi tra le pecore amate, conosciute, difese dal Pastore Buono.

Ci sentiamo così, ogni giorno, pecorelle circondate dalla tenerezza del Pastore Gesù? Fermiamoci un istante e, nel silenzio del cuore, preghiamo:
Gesù, mio Pastore,

nei momenti difficili, io ricordi di essere sempre protetto dalla forza del tuo Spirito.
Gesù, mio Pastore,

nei giorni tristi, mi risuoni dentro la tua voce che consola e sostiene.
Gesù, mio Pastore,

quando mi sento solo e spaventato, conducimi tu, con dolcezza,

perché ogni mio passo sia dietro di te, al sicuro da ogni male,

nella certezza che tu mi vuoi infinitamente bene, fino ad offrire la tua vita per me!
Commento a cura di Daniela De Simeis

 

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