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TESTO La competenza dell'Amore

don Alberto Brignoli  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2012)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Da circa mezzo secolo, nella quarta domenica del Tempo di Pasqua, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. E lo fa in questa domenica tradizionalmente dedicata alla figura di Cristo Buon Pastore, in quanto la Liturgia ci presenta la lettura di un breve brano tratto dal capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, nel quale Gesù si rivolge prima ai suoi discepoli e poi a un gruppo di Giudei suoi oppositori attraverso una parabola.

In questa parabola - atipica rispetto alle altre parabole di Gesù, così come atipico è il Vangelo di Giovanni rispetto ai Vangeli sinottici - Gesù si presenta appunto come il "Buon Pastore", richiamando così una figura cara all'Antico Testamento, e in modo particolare alla tradizione profetica, nella quale il pastore si identifica non solo con i responsabili d'Israele (per la verità non sempre così solleciti verso le necessità del popolo), ma anche e soprattutto con la figura paterna ed amorevole di Dio Padre e, a sua imitazione, del Re-Messia (come narra il capitolo 34 del libro di Ezechiele). Nel solco della tradizione veterotestamentaria, allora, Gesù presenta l'ideale della figura del pastore, ovvero del responsabile di una comunità, il quale dev'essere pronto a tutto per le sue pecore, addirittura a "dare la vita" per esse.

In questo senso, il pastore si distingue dal "mercenario": questo termine, in sé non ha un'accezione negativa, e nemmeno si deve riferire direttamente alla vita agro-pastorale. Solitamente, è una terminologia che si applica al mondo militaresco, e si riferisce al soldato che combatte una guerra non per amor patrio, ma per necessità economiche, e quindi si offre all'esercito che meglio lo paga. Applicato al mondo dell'allevamento, si tratta di un qualsiasi operaio che ha come unico scopo quello di guadagnare il più possibile, magari col minimo sforzo, per cui si guarda bene dal metterci passione in ciò che fa. Al punto che, in una situazione di pericolo o d'insicurezza, una volta assicuratosi il proprio stipendio, se la fila a gambe levate, lasciando al loro destino le pecore che gli sono state affidate, proprio perché non sue. Tant'è, un altro padrone lo troverà comunque, e anche da quello cercherà di lucrare il più possibile...

È proprio su questa contrapposizione tra "appassionato" e "mestierante" che Gesù fa perno per far comprendere ai propri uditori quanto sia determinante, nell'esercizio della responsabilità e dell'autorità, l'elemento discriminante tra i due: l'Amore. Chi fa le cose per denaro, per uno scopo di lucro, per guadagnare, non è detto che commetta una cosa illecita: non fa altro che entrare nella logica del mercato. A una prestazione corrisponde un salario, di là dalla passione che ci si mette nel farlo, la quale non ha prezzo, e quindi non essendo quantificabile non può essere retribuita. La passione non ha prezzo perché l'Amore non ha prezzo; e con esso, non ha prezzo la bellezza dell'opera e del lavoro realizzati. Una cosa fatta per dovere o secondo logiche di mercato ha un valore e va pagata, anche per un criterio di giustizia sociale; ma la stessa cosa fatta con amore ha un plusvalore cui nessun datore di lavoro riconoscerà un bonus pecuniario, eppure ciò rappresenta il valore aggiunto dell'opera realizzata. Quel valore aggiunto che, se quantificato o mercificato, farebbe perdere bellezza e splendore a quanto compiuto.

La camera riordinata da una cameriera o da un'impresa di pulizie, per quanto fatta con dedizione e scrupolo e nel rispetto dei tempi stabiliti dal contratto, non avrà mai il profumo, la bellezza e l'armonia di una stanza da letto riordinata da una madre o da una sposa innamorata. Il piatto di spaghetti della mamma ha un sapore infinitamente più intenso che qualsiasi piatto raffinato apprezzato dai migliori gourmet. Una funzione autoritaria esercitata con passione e autorevolezza è incommensurabilmente più grande che qualsiasi prestazione tecnicamente e professionalmente competente, sia pur espletata con il massimo del rigore. Un prete che, pur pieno di difetti e limiti umani come ogni persona, ha passione per i ragazzi del proprio oratorio e dona a essi fino all'ultimo minuto della propria giornata, senza risparmiarsi, vale infinitamente di più del miglior educatore professionale, del più moderno degli animatori di piazza e del più blasonato cattedratico di scienze dell'educazione che possano mettere a disposizione la loro competenza per rendere un centro giovanile un luogo di educazione con la "E" maiuscola. E anche del più competente giornalista e critico letterario pronto solo a colpire chi - per amore - commette errori di stile in momenti di grande coinvolgimento emotivo.

Certo, per avere passione dell'uomo occorre saper amare: è dall'amore che nascono le vocazioni vere. È il Papa stesso a ricordarcelo, nel messaggio scritto in occasione della Giornata di Preghiera per le Vocazioni di quest'anno: "Nell'apertura all'amore di Dio e come frutto di questo amore, nascono e crescono tutte le vocazioni". Senza amore di fondo, senza passione per l'altro, per la persona che mi è stata affidata e che ha bisogno delle mie cure, non sarò mai in grado di essere un valido responsabile o - per dirla con Gesù - un Buon Pastore.

Perché mai noi consacrati dovremmo perdere il nostro tempo a ribattere su questioni di lana caprina ai buontemponi di ogni latitudine e di ogni epoca che ci rinfacciano di essere teologicamente scorretti, liturgicamente impreparati, pedagogicamente inadeguati e mediaticamente incapaci, quando abbiamo la certezza che ci viene dalla Parola di Dio, anche di quella che oggi abbiamo ascoltato, che ciò che è fatto per amore e con amore è fatto ad immagine di Cristo Buon Pastore, per cui è assolutamente credibile?

Quanto siamo ancora lontani dall'aver compreso l'"Ama et fac quod vis" di Agostino d'Ippona... Ma quanto siamo lontani, soprattutto, dall'aver compreso che a nulla vale la competenza delle scienze, degli studi, dell'esperienza e dell'autorità, se non siamo testimoni autorevoli e credibili dell'amore che da Dio abbiamo ricevuto e per suo comando siamo tenuti a donare!

La miglior pastorale vocazionale rimane quella della testimonianza. E l'unica testimonianza credibile è quella che sa amare. Perché - come diceva il grande Von Balthasar circa mezzo secolo fa - "solo l'amore è credibile".

 

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