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TESTO Io sono il Buon Pastore

mons. Antonio Riboldi

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2012)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

C'era un tempo - e dovrebbe essere sempre - in cui si accentuava la figura del pastore, ossia di quanti Gesù chiama a continuare la Sua presenza tra gli uomini, conferendo loro la Grazia di continuare la Sua opera della salvezza, come Lui.

Ricordo che, da parroco, in Sicilia, si viveva questa giornata come la festa del parroco, buon pastore, ossia Gesù tra di noi. Era il giorno che sollecitava noi sacerdoti e pastori di anime, a chiederci se eravamo in linea con il nostro 'essere', con la nostra 'chiamatà.

Ma chi sono i pastori? Uomini che Gesù sceglie, sradica quasi da questo mondo, li afferra tutti per Sé, affidando loro i Suoi poteri.

Proviamo a volte tanta confusione, conoscendo di quali poteri siamo investiti e di quanta stima e fiducia siamo circondati.

Nessuno può scegliere di essere sacerdote: è Dio stesso che sceglie e chiama.

Ricordo come una volta, incontrando una persona che dimostrava tutta la sua stima verso di noi sacerdoti, chiesi: 'Perché ha così tanta stima e fiducia?'. La risposta mi lasciò stupito: 'Ma voi sacerdoti siete Cristo tra di noi. Normalmente le altre persone, nei loro diversi ruoli, quando va bene, sfiorano la bellezza della santità. Voi ci mostrate Gesù, anzi, siete Gesù tra di noi!'.
Questa è fede profonda!

Sono tanti gli anni che sono prima sacerdote e parroco, poi vescovo, che è davvero la più grande responsabilità verso i fedeli che ci sono affidati.

Non si può essere Cristo tra la gente 'in qualche modo' o, peggio ancora, 'a mezzo servizio'. Per noi, ogni attimo della vita e ogni azione dovrebbe mostrare il Cuore di Dio.

Si prova tanta gioia, ma anche confusione, quando celebrando la S. Messa, affermiamo, diventando Gesù stesso: 'Questo è il mio corpo'. Se da una parte si avverte tutta la propria povertà di uomini, dall'altra non possiamo che rallegrarci, per il dono ricevuto.

Sono gli stessi sentimenti profondi che si provano quando, con la stessa autorità di Dio, nel Sacramento della Penitenza, assolviamo i fratelli: 'lo ti assolvo dai tuoi peccati!'.

Incredibile agli occhi umani, ma realtà divina che si realizza.

E come è grande la responsabilità della proclamazione della Parola di Dio.

Tutto in noi, sacerdoti e vescovi, è Presenza di Gesù che opera. Ma occorre anche meritare, con la testimonianza umile e seria, la fiducia dei fedeli e soprattutto sforzarsi di esprimere una illimitata bontà, che dovrebbe essere la caratteristica dominante di un 'buon pastore'.

Essere 'pastori' non è un mestiere, ma un'azione di Dio in noi e con noi.

Così, oggi, Gesù parla: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde: egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre e offro la vita per le pecore.

E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.

Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre". (Gv. 10, 11-18)

I fedeli, giustamente, esigono che il sacerdote, che li ha in cura, sia davvero l'incarnazione di Gesù, per lo stile di vita e la fede e serietà espresse dalla sua condotta. Chiedono a noi preti e vescovi di essere coerenti per comportamento e testimonianza. La gente ci vuole vedere diversi: siamo Gesù.

E del resto non possiamo prenderci gioco della fiducia che Dio ha avuto in noi, chiamandoci: una fiducia che la Chiesa ha confermato con l'ordinazione.

L'obbedienza mi ha chiesto di essere parroco in Sicilia. Una prova difficile, per tante ragioni.

Il sacerdote che aveva in cura quella parrocchia si era sposato. Eravamo due sacerdoti e dovevamo ricostruire la fiducia della gente. Ci vollero due anni di paziente attesa, poi, lentamente, la gente cominciò un nuovo cammino e divenne comunità, una stupenda famiglia.

Venne il momento della prova, con il terremoto del gennaio 1968.

Quella notte richiese tutto il nostro amore. La comunità era spaventata e dispersa.

La gente si affidò a noi e così, con la Grazia e la Forza di Dio, si potette vedere il volto meraviglioso del sacerdozio, che ha cura dei fedeli.

Ricordo quei giorni e quegli anni con tanta commozione. Ancora oggi conservo lo stesso amore.

Poi venne il tempo della grande prova, quando Paolo VI mi chiese di essere vescovo di Acerra: una Diocesi che mancava di un pastore da 12 anni.

Dovevo rimettere in piedi una comunità che non esisteva più. Suscitando lentamente fiducia e collaborazione divenne una Diocesi ammirata, al punto che il S. Padre, Giovanni Paolo II, scelse due miei sacerdoti per essere vescovi. Un fatto incredibile.

Paolo VI, parlando ai sacerdoti, affermava: "Noi preti dobbiamo avere una maniera speciale, un'arte speciale di amare Cristo. E qual è? Vediamo se abbiamo cauterizzato il nostro cuore da ogni altro amore per mantenerlo esclusivamente, totalmente impegnato nell'amore di Cristo. Vediamo se siamo ancora in questa dolcezza, in questa totalità di amore a Cristo. Vediamo se lo amiamo veramente come persona viva, presente, se siamo veramente legati con tutto il cuore a nostro Signore Gesù Cristo. Tutta la nostra iniziazione sacerdotale si è svolta proprio su questo tema: 'Ti amerò con tutta l'anima. È il giorno dell'amore questo. Io sono tuo'. Abbiamo detto questo nel giorno in cui abbiamo ricevuto il sacerdozio. Lo diciamo ogni giorno.

Ma possiamo oggi affermarlo con la stessa dedizione di fedeltà? Forse sì, ma di intensità?

Deboli come siamo, forse no. Facilmente ci lasciamo andare e diventa un'abitudine. L'abitudine ci fa comodo! E le parole che prima commuovevano ed esaltavano il nostro spirito? Si fermano sulle labbra, senza entrare nel vivo della vita, abbiamo tante cose da fare, diciamo.

E così ci siamo concessi più alla vita esteriore che a quella interiore. Dobbiamo essere sempre consapevole e presenti alle cose sacre e divine che si realizzano a mezzo delle nostre mani, della nostra voce. Dovremmo ricordarci che i nostri fedeli vogliono che il loro prete sia santo, sia davvero Gesù tra di noi (Paolo VI, vescovo a Milano)

Possono sembrare parole esigenti, dure, ma se ci pensiamo è proprio quello che i fedeli - Dio stesso - chiedono a noi. La comunità che ci è affidata, è composta da persone che sono consce del bisogno di avere chi le guida nel sentiero della fede.

Siamo davvero buoni pastori, pronti a cercare le pecore che si smarriscono, a dare la vita per trovarle e poi fare festa?

Questa domenica ogni comunità giustamente guarda ai propri pastori, non per criticarli, ma per sostenerli nella preghiera e nella collaborazione. Siamo tutti, preti e vescovi, consapevoli delle nostre debolezze, ma sappiamo anche che i nostri fedeli ci chiedono di essere vere guide in questa vita, in cui tante volte sono circondati da mercenari che li usano per i loro interessi e non si curano del loro vero bene.

Con noi cammina e ci sostiene la potenza stessa di Cristo, che ci ha scelti e chiamati. Non può venir meno la nostra fede; Lui è la nostra Guida, il nostro Maestro, il nostro unico Signore.

E dico alle mamme e ai papà: siate felici se Dio dovesse chiamare qualche vostro figlio ad essere sacerdote. È un dono immenso che vi viene offerto.

Ricordo come mamma, il giorno in cui andai ad annunciarle che la Chiesa mi voleva vescovo, fosse tanto felice, al punto da esprimere la sua infinita gioia con uno schiaffetto, dicendomi: 'Ricordati di essere un buon vescovo!'. Alla mia perplessità sulla chiamata - 'Non so come farò' le dissi - serena mi riprese: 'Perché ti preoccupi? Se Dio ti ha chiamato, saprà come guidarti e sostenerti!'.
E così è stato.

A me non resta che dire un grande Grazie a quanti - e sono davvero moltissimi - Dio mi ha fatto dono di incontrare o di servire. Ho sempre ricevuto tanta stima e gioia ed è giusto che oggi chieda a voi di ringraziare con me Dio, continuando a pregare perché sia sempre per tutti il 'buon pastore' che ci si attende. Grazie di cuore.

 

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