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TESTO Commento su Atti 16, 22-34; Colossesi 1, 24-29; Giovanni 14, 1-11a

don Raffaello Ciccone  

III domenica T. Pasqua (Anno B) (22/04/2012)

Vangelo: At 16, 22-34; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,1-11a

1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via».

5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».

8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.

Lettura degli Atti degli Apostoli 16, 22-34
Il racconto degli Atti degli Apostoli, che leggiamo oggi, è interessantissimo per uno stile di novità e di libertà che dimostra; nella linea della Pasqua, si respira il senso della speranza e della gioia della salvezza.
Paolo, a Filippi, colonia romana della Macedonia, si trova presto in difficoltà. Una commerciante di porpora, Lidia, si è convertita con la sua famiglia ed ha accolto Paolo a casa sua per ospitalità, "costringendolo". Paolo, che è restio a dipendere dagli altri, in questa occasione accetta e inizia una vita quotidiana di buoni credenti in terra pagana (At16,16-21), suscitando però malumore. Ma ne suscita ancor più un fatto che era già capitato, spesso, a Gesù (Lc4,34-41): delle persone, accusate come indemoniate, gridavano a Gesù il fatto che fosse un Giusto e Figlio di Dio.. Qui una schiava di una famiglia ricca, che aveva uno spirito di divinazione e faceva l'indovina, procurando molto guadagno ai suoi padroni, insegue frequentemente per la strada Paolo, continuando a gridare: «Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunciano la via della salvezza», Paolo non sopporta la cosa e la fa tacere. "rivolgendosi allo spirito di uscire da lei. Lo spirito uscì". Ma i padroni di lei si sentono defraudati e quindi lo accusano per la sua religione giudaica, dai romani per sé solamente "tollerata", ma che suscita frequentemente tensione, obbligando le autorità a dimostrarsi intransigenti.
In carcere Paolo e Sila, nonostante la flagellazione e le percosse, mantengono un atteggiamento sereno: pregano e cantano inni fino a mezzanotte. I carcerati ne sono meravigliati, anzi affascinati poiché questi due ultimi incarcerati dimostrano, qui, una libertà di cuore ed una disponibilità inconcepibili.
Un improvviso terremoto, che fa cadere le catene e scardina le porte, può portare alla fuga. Se un carceriere non ferma i fuggitivi, potrebbe ricevere un castigo drammatico. E infatti, quando il carceriere si rende conto delle porte spalancate, nella sua disperazione vorrebbe suicidarsi. Ma Paolo si preoccupa di lui e lo salva dalla angoscia. La conseguenza è la conversione di questa famiglia riconoscente (non si dice nulla degli altri prigionieri).
Luca, l'autore degli "Atti degli Apostoli", e quindi di questo racconto, vuole suggerire un comportamento inusuale. Egli vuole ricordare che un contegno cristiano va inventato di volta in volta. Esso si struttura sulla profonda speranza del Signore Gesù che ci fa comunque liberi; ma si struttura anche sulla preoccupazione della situazione di chi ti sta accanto, poiché può aver bisogno della tua libertà come del tuo aiuto per riprendere la sua vita e le sue responsabilità. Paolo si preoccupa di questo e, probabilmente, cerca di aiutare anche gli altri prigionieri a restare in carcere, nonostante la possibilità di fuga.
La Pasqua è alla radice di questo stile di vita. La libertà, capace di accogliere un cammino anche se faticoso, ci fa fiduciosi e ricchi di speranza anche per altri. La fatica di chi può essere in difficoltà diventa un parametro per soccorrere gratuitamente, senza nessuna contropartita.
Gesù ha sempre pensato così l'Evangelo: esperienza di qualcuno che lo abbia conosciuto profondamente, e che cammina nel mondo con la sua libertà, che si mette a disposizione di chi ha bisogno, senza timori o perplessità, per quel che riesce a fare.
Così Paolo salva la vita al carceriere. Si parla di salvezza poiché con la salvezza fisica si sviluppa anche, in brevissimo tempo, la richiesta della salvezza di Gesù. Il carceriere si sente alla presenza di un potere ed un comportamento divino. Chiama i discepoli: "Signori". La risposta dei missionari è la sintesi della fede cristiana. C'è un solo Signore e quindi: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia" (v.31). Di fronte alla fede ci ritornano in mente le parole di Gesù: "In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre" (Gv14,12). La conclusione sembrerebbe corrispondere allo sviluppo dell'educazione alla fede e quindi al battesimo delle prime comunità cristiane: istruzione (v.32); battesimo (v. 33); eucarestia (v. 34).
Paolo vive in una società violenta, ma scopre le alternative evangeliche nell'itinerario che egli sviluppa nell'evangelizzare. Risulta difficile precostituire il che fare, salvo porre alcune linee di valore e alcuni progetti. Ma la vita si incarica di proporre segni da parte di Gesù e richiami dello Spirito per cogliere novità in noi e individuarle anche negli altri. E' la festa quotidiana della novità.
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi 1, 24-29
Paolo sta vivendo, ormai anziano, un tempo di inattività poiché è in carcere. Da qui scrive quattro lettere dette "della prigionia" (ai Filippesi, agli Efesini, ai Colossesi e a Filemone). Esse rappresentano un bilancio ed una scoperta, nello stesso tempo, per sé e per gli altri. Ripensando alla sua vita che ha offerto con gioia al Signore Gesù, Paolo sa che ha continuato a condividere con Lui la sua fatica e la sofferenza di una trasformazione e di una attesa che è "tribolazione" prima che avvenga la conclusione della storia. Questa fatica, che si accompagna a quella di Gesù, porta gioia anche perché è il suo contributo al crescere della Chiesa e alla fede dei credenti a cui scrive, sentendosi affezionato a loro. Ora sta valutando i tanti passi, le peripezie e le scelte, il ministero come risposta alla missione affidatagli per un mondo che si è svelato. Paolo sa di avere particolarmente contribuito a scoprire e a vivere, con gli altri, il grande segreto di Dio che si è manifestato passo passo ("il mistero nascosto") e che ha coinvolto tutta l'umanità, ebrei e pagani.
Attraverso lui Cristo ha continuato a sviluppare la sua opera e quindi vede con gioia fiorire la Chiesa: luogo di salvezza di un unico popolo e di un unico corpo. Paolo si sente testimone e collaboratore di quel mistero, che si è svelato e che lui ha sperimentato, per cui tutto il mondo ritorna ad essere unito in Gesù. E questa è la sua gioia, pur nella fatica. Ma sa che ogni uomo deve collaborare nella salvezza, senza preclusione e illusioni a buon mercato, poiché ogni uomo è chiamato ad essere "perfetto in Cristo". La fatica e la lotta dell'apostolo per arrivare all'unità, svelata da Dio, sono possibili perché ciascuno vive la forza che Dio stesso ha dato e dà: e sarà sorretto nella sua generosità, continuando a vedere maturare i frutti.
Lo spirito da vivere nella Chiesa è, perciò, uno spirito di condivisione, di preghiera, di coraggio per un mondo che cresce, anche se spesso riscontriamo povertà e limiti in noi, prima di tutto, e poi nella Chiesa stessa.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 14, 1-11a
Nell'ultima cena Giovanni sintetizza tutto il messaggio di Gesù che acquista un particolare valore per il contesto, i gesti, le parole dette a metà ma gravide di tensione. E' come un "discorso di addio", quasi un testamento lucidissimo sul futuro che i discepoli ascoltano, ma non capiscono. Questi discorsi sono stati preceduti dalla lavanda dei piedi (13,2-11), la predizione sia del tradimento di Giuda (13,1-30) che della negazione di Pietro (13,36-38). Quanto basta per ritrovarsi disorientati di fronte a quella eterna e indiscutibile convinzione che Gesù è messia e Signore, potente e trionfatore. Certo i segni che offre non sono in quella linea, ma certamente, pensano, si scuoterà dal torpore e dalla incertezza.
Il turbamento nasce dalla insicurezza, ma anche dal non riuscire a capire. Probabilmente ognuno scaccia il disagio guardandosi in giro, cercando di scorgere nel volto dell'altro qualche segno di chiarezza e di illuminazione. Gesù allora richiama su di sé gli sguardi: "Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me". Ma qualche cosa hanno capito. Gesù sta parlando di una sua partenza. E questo li riempie di sconforto e di paura.
Però Gesù li rassicura per il futuro. "«Nella casa del Padre vi sono molte dimore»". Qual è la dimora di Dio? Noi ci siamo sempre abituati a ripensarla come paradiso, come cielo. Ma pochi versetti più avanti Gesù rassicura: "«Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (14,23)". La nostra immagine, legata ai posti riservati e alle manifestazioni di riguardo, rimanda alle poltroncine con"posto riservato" e il nome di ogni apostolo, e quindi di ciascuno di noi, unico, indistruttibile, scritto in grassetto.
Ma Gesù ci dice che siamo noi la dimora del Padre, di Gesù e dello Spirito che Egli manda. Dio dimorerà in noi e a noi è riservato un compito prezioso, unico come ciascuno di noi è unico, e abbiamo un ruolo di servizio e di operosità nella casa di Dio, continuatori della bellezza di Gesù per la speranza di ognuno. Non c'è più un santuario dove si manifesta Dio, ma ogni persona, che lo accoglie, è eletta come dimora di Dio, ma anche come responsabile.
In altri termini Gesù ci affida dei posti di responsabilità e di impegno, a ciascuno nel tempo, come suoi collaboratori, in compagnia della sua pienezza.
Gesù si mostra allora come il maestro che fa le consegne ai suoi perché continuino: ognuno opera e attinge a Gesù che è via, verità e vita.
"Chi ha visto me ha visto il Padre" (14,9-11).
Filippo ci riporta, in questo frangente, all'enorme desiderio di ogni uomo e che Mosè espresse a Dio: "Mostrami la tua gloria" (Esodo 33,18.20). Nel nostro linguaggio, nel linguaggio di ogni uomo e donna, corrisponde a: "Fammi vedere il senso pieno delle cose, la Bellezza, il valore di ogni realtà, il valore di tutto".
Gesù risponde: "Il volto di Dio lo puoi vedere in me". E Gesù sta suggerendo l'inammissibile:"Il volto di Dio è sulla croce". Quel volto è sfigurato poiché ama ogni uomo, lotta per ogni peccatore, cerca ogni lontano, incoraggia ogni disperato e ognuno che si sente maledetto.
Gesù ci ha orientato nel tempo della Pasqua, Egli è, aprendoci gli orizzonti di Dio e della vita. Gesù è "via" (mediazione per arrivare al Padre), è "verità" (conoscenza profonda del Padre), è"vita" (condivisione della pienezza di grazia e di amore che Egli già vive).
Ma alla luce della Pasqua
1. Gesù sviluppa il significato della sua vita per sé e per noi: guida, garante, servo.

2. Gesù è "verità": aiuta a intravedere, nell'esperienza che offre, il mistero di Dio e incoraggia noi a diventare umili servitori del volto del Padre in Gesù. Noi non portiamo la verità ma "siamo la verità", con tutta la pochezza dei nostri limiti perché conosciamo Gesù, e ci sforziamo di interpretarlo, sapendoci sempre inadeguati e quindi obbligatoriamente in ricerca.

3. Gesù è "vita": e ci chiede di mettere a disposizione le nostre energie perché anche gli altri conoscano il Signore. E' il nostro posto nel cammino verso il Regno, è il nostro ruolo che mostri Dio nell'amore pieno e non nella paura o nel giudizio.

 

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