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TESTO Commento su Esodo 33, 7-11a; Prima Tessalonicesi 4, 1b-12;Giovanni 9, 1-38b

don Raffaello Ciccone  

IV domenica di Quaresima (Anno B) (18/03/2012)

Vangelo: Es 33, 7-11a;1Tess 4, 1b-12;Gv 9, 1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 9,1-38b

1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Lettura del libro dell'Esodo 33, 7-11a
Mentre Mosé è sul monte, il popolo d'Israele ha rinunciato ad essere fedele, preso dalla paura e dalla violenza. Ha dimenticato così i propri impegni assunti nell'Alleanza ed ha provocato la tragica lacerazione di Mosé che, scendendo dal Monte, ha eliminato il gruppo dei ribelli. Ma è da verificare il perché. Dio non ha ordinato il massacro. Proprio Mosè, che sentirà pronunciare da Dio che il nome Santissimo del Signore è misericordia, fedeltà e perdono non sa interpretare il messaggio per sé.
Mosè crede di aver fatto un'azione giusta contro i ribelli e immagina così di aver placato l'ira di Dio: questa infatti è l'immagine che filtra anche nella riflessione teologica di Mosè e del suo popolo. Però, poi, Mosé ritorna dal Signore dicendogli: "Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un Dio d'oro. Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato... se no cancellami dal tuo libro che hai scritto".(v 32,32).
Nella consapevolezza del suo compito Mosè conduce fino in fondo il suo incarico.
Il popolo, tuttavia, non è più affidabile. Il Signore vuole addirittura abbandonarlo. C'è, infatti, il pericolo che il Signore faccia partire il popolo, senza di Lui. "Ma io non verrò in mezzo a te, per non doverti sterminare lungo il cammino, perché tu sei popolo di dura cervice". Questa parola disorienta coloro che sono rimasti fedeli e "tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti" (v 33,4).
Dio prende le distanze, ma poi resta. Chiede solo a Mosè che costruisca la "tenda del convegno" dove incontrarsi, fuori dall'accampamento. Il Signore continua ad essere presente e accanto, continua il suo rapporto privilegiato con Mosé. A lui, come mediatore, garantisce una confidenza e una conoscenza che assomiglia a quella di un uomo verso il proprio amico. Ricordiamo che la parola, usata in ebraico, per indicare amicizia, si richiama a "colui con cui si condivide il pascolo" e quindi ad un rapporto sereno, confidenziale e non gerarchico, comprensivo ed accogliente.
La tenda è anche il luogo della consultazione del popolo di Dio e ci si può recare liberamente. Non si dice come avvenga questa consultazione. Ma Mosé è un tramite eccellente del dialogo con Dio.
Il popolo, nell'accampamento, ritrova un suo equilibrio, riconosce e rispetta la responsabilità di Mosé e scopre, per la propria fiducia, la presenza di Dio che si fa visibile attraverso una nube che scende sulla "tenda dell'incontro". Così ciascuno interrompe ciò che sta facendo, si ferma all'ingresso della propria tenda e compie atti di culto mentre Mosé parla con il Signore.
Non c'è nessun riferimento ad altri inservienti ma solo a Giosuè, giovane custode del luogo sacro.

Mosé dimostra di essere un mediatore fedele e coraggioso: si mette dalla parte dei deboli e scopre, nel suo ruolo anche lui, per la sua parte, come ogni credente, che deve essere un mediatore che intercede, non un Dio che giudica. Veramente credente, si fa amico di coloro che protegge e di colui a cui deve rendere conto, amico di chi ha bisogno perché fragile e amico di chi è il Santo misericordioso e fedele.
Nel popolo d'Israele si farà strada, nei tempi successivi, la consapevolezza della presenza di Dio in mezzo al popolo e fermamente si crederà che Dio abita nel tempio di Gerusalemme dove lo si adora. Lo dice anche Gesù (Gv 4,22). che, nel dialogo con la Samaritana, svilupperà la coscienza che "Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorare in Spirito e verità"(Gv4,24).
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 4, 1b-12
Paolo si sente rassicurato dopo la relazione di Timoteo sulla situazione della Comunità di Tessalonica, perché ha lasciato, precipitosamente, alle spalle, una comunità ancora molto immatura, in un clima di difficoltà. Ma le belle notizie ricevute da Timoteo lo rasserenano. Così apre questa seconda parte della lettera con raccomandazioni morali che però hanno sempre Cristo come riferimento. C'è bisogno di coraggio e di sapienza, insieme ad una consapevolezza che deve percorrere con decisione cammini concreti e verificabili. Paolo sa che ci vogliono degli esempi di vita per aiutare a scoprire stile e metodo di mentalità e di comportamento. E quindi, in mancanza d'altro (le comunità non si sono ancora sufficientemente sviluppate), Paolo offre il suo esempio. Si tratta di agire e di pensare "come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio"(v1b).
Poiché Paolo deve dare orientamenti chiari, ricorda che c'è un progresso continuo nel vivere da credenti: il Padre vuole che la sua volontà si manifesti nella loro santificazione. E quando dice: "imparate da me", non c'è esibizione nell'apostolo, ma la preoccupazione di comportarsi come un maestro verso i discepoli che sono inesperti ed hanno bisogno di una guida.
- La prima consegna che offre loro è il rispetto del proprio corpo mediante un comportamento etico, "senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio". Paolo rimprovera fondamentalmente ai greci e al mondo pagano la superficialità e l'istintività che acquista, nel comportamento tra adulti, forme di passionalità, propri di popolazioni che non conoscono Dio. Senza Dio, pensa Paolo, c'è il degrado totale della persona umana.
- Il secondo impegno si sviluppa nell'accoglienza dell'altro attraverso la maturazione di un affetto reciproco: "Voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo lo fate verso tutti i fratelli dell'intera Macedonia". Paolo si complimenta con questa comunità poiché il messaggio che è sempre stato nel cuore di Gesù e molto raccomandato, è stato velocemente maturato e sviluppato, superando anche i confini della propria comunità, verso i fratelli della intera Macedonia".
- La terza raccomandazione acquista e interiorizza i valori di una convivenza umana dignitosa in una vita pacifica e laboriosa. "Fare tutto il possibile per vivere in pace" e lavorare con responsabilità e con le proprie mani" (v 11). Il lavoro, per non dipendere o sfruttare gli altri e la manualità che, nel mondo greco, era disprezzata e lasciata agli schiavi, diventano parametri nuovi e controcorrente poiché i cristiani debbono sfidare la sapienza ellenica dominante. Già Paolo stesso si è preoccupato, prima di tutto, come garanzia di una autentica missione ricevuta, di lavorare e di lavorare manualmente. Per gli ebrei tutto il mondo creato è fatto da Dio ed è buono, per i greci la materia è male e bisogna starsene lontani, indegna di ogni essere libero.
L'ideale di una vita"decorosa e libera" permette di diventare esemplare e può cambiare, nel mondo, criteri di vita e mentalità lontane da Dio. Qualche versetto dopo, Paolo ricorda ai suoi fratelli: ""Voi tutti, infatti, siete figli della luce e figli del giorno" (5,5).
Anche noi abbiamo gli stessi problemi di istintività, violenze, sopraffazioni, illegalità. Come credenti non si tratta tanto di inventare leggi più severe, ma di moltiplicare stili e testimonianza di vita vissuta con libertà e naturalezza.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 9, 1-38b
Siamo al sesto "segno" sui sette, raccolti nel "libro dei segni" di Giovanni (1,19-12,50).
Essi sono indicatori di Gesù e della sua dignità. Posti per far scoprire la sua attenzione verso la libertà e l'autonomia di ogni persona, rilevano, nello stesso tempo, una presenza di liberazione e di rivelazione esaltante, capace finalmente di aprire gli occhi sul vero volto di Dio.
L'episodio del cieco nato, che acquista la vista, avviene attorno alla settimana delle capanne (fine settembre-inizio ottobre) nell'anno 29 d.C. e Gesù si ferma a Gerusalemme fino alla festa della Dedicazione (dicembre).
Il cieco è un mendicante, sconosciuto anche se tutti lo vedono ogni giorno. Può sperare in qualche elemosina, in attesa, a volte, di qualche rara sorpresa che lo rallegri. Gli manca però il meglio che è la vista poiché gli manca la luce. Per l'ebreo la cecità è una maledizione poiché il cieco non può leggere la Parola di Dio.
Il centro dell'episodio è Gesù che dà la vista ed è la vera luce che libera e svela il volto di Dio nella realtà quotidiana. Ma centro è anche il discepolo che accetta di verificare un segno strepitoso di Dio nella sua vita e lo difende con tutte le sue forze, mettendosi a rischio di una totale emarginazione.
Ci sono molti conflitti in questo testo: i giudei ed i credenti, i teologi e i discepoli,
l'autorità che comanda ed obbliga ai propri punti di vista ed i genitori, i diffidenti e il cieco, il male e la liberazione, la malattia e la guarigione, colui che è venuto: Mosè e colui che è "inviato", il mondo strutturato in schemi precostituiti e Gesù che libera. Egli, ancor più, rompe le contrapposizioni, e, alla fine di un itinerario faticoso, viene incontro e si svela aggregando colui che crede in Lui in un popolo nuovo. Chi detiene la legge e ritiene perciò di avere ereditato l'autorità di Dio, crede di saper rettamente interpretare la volontà di Dio, rifiutando tutti gli altri: i testimoni, i parenti (che rischiano di essere considerati appestati, scacciati dalla sinagoga e quindi da tenere lontani almeno due metri), il cieco, Gesù.
In questo tempo sono intrecciati i simboli dell'acqua e della luce e il dono di "avere aperto gli occhi" viene ripetuto sette volte. Il cieco rappresenta l'umanità perduta nella sua cecità e ciascuno di noi è chiamato ad incontrare l'acqua viva alla piscina dell'Inviato.
- La malattia non è castigo. Ma se la vivi con responsabilità, accettando i segni che il Signore ti manda, ricuperi speranza e libertà. Non deve, comunque, diventare ostacolo per una fedeltà al Signore.
- Alla saliva e al fango gli antichi attribuivano proprietà terapeutiche: ma per Gesù c'è il richiamo all'Adamo nuovo (Gen.2,7): Adamo fu creato con la terra ed il soffio del Signore ( qui la saliva).
- La piscina di Siloe raccoglie le acque della fontana di Gihon (Gen2,13), che ha un riferimento al Paradiso terrestre e si ricollega con il Messia ("Inviato").
- I Farisei si scandalizzano: Gesù fa del fango in giorno di sabato, giorno proibito ad ogni lavoro.
- Attorno agli anni 80 d.C. i giudeo-cristiani saranno, di fatto, espulsi dalla sinagoga.

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