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TESTO Se vuoi, puoi guarirmi!

Ileana Mortari - rito romano  

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (12/02/2012)

Vangelo: Mc 1,40-45 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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40Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». 41Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». 42E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. 43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». 45Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

La prima e la terza lettura di oggi ci pongono dinanzi a quello che è stato per secoli un vero e proprio incubo, un terribile spettro che suscita repulsione ed orrore: la lebbra.

Il primo testo è tratto dal libro del Levitico, in particolare da quella sezione (capp.13-14) che tratta minuziosamente della lebbra: il cap.13 ne descrive la tipologia includendo in maniera piuttosto larga forme diverse (72 ne avrebbe elencato la Mishnah!) di malattie della pelle, di cui molte guaribili; il cap.14 presenta il rituale della purificazione dei lebbrosi e delle case infette.

E' evidente il motivo igienico che ispira un comportamento comunitario attento alle malattie infettive. I sacerdoti erano i competenti ad esaminare l'ammalato e a diagnosticarne il contagio dichiarandolo "immondo" (cap.13, a.3); lo stesso sacerdote avrebbe poi, eventualmente, certificato la guarigione (cap.14, vv.1-4). Nelle società antiche le norme precauzionali erano effettivamente l'unica difesa possibile verso malattie contagiose, soprattutto se inguaribili; di qui le dure norme esposte nei vv.

45-46: "Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: - Immondo! Immondo! - Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento."

Ma nell'ambiente ebraico non si trattava solo di precauzioni igieniche; la forma di marginalizzazione del lebbroso era molto più radicale: egli era uno "scomunicato", un escluso dalla comunità religiosa, dal Tempio e da qualsiasi rapporto con Dio.

Questo perché nella mentalità del tempo la persona umana era vista come un tutt'uno, con una stretta correlazione tra fisicità e spiritualità: un corpo corrotto era ritenuto sempre il segno di un'anima viziosa; quindi, secondo la nota "teoria della retribuzione" (a ogni delitto doveva corrispondere un castigo e ad ogni azione giusta un premio), ogni malattia o disfunzione fisica era considerata punizione divina per un peccato commesso, cioè per una violazione della Legge, che magari era stata fatta involontariamente o senza nemmeno averne coscienza.

Se poi il malato non aveva proprio peccato in nulla, la malattia poteva essere una punizione di peccati commessi dai suoi genitori o perfino dai suoi antenati, come nel caso in cui un avo avesse mescolato sangue ebreo con sangue pagano contraendo un matrimonio "misto" e violando così la purezza razziale: l'ebreo illegittimo era reputato in stato di peccato permanente! Così pure i figli di un'unione sessuale illegittima e i loro figli per dieci generazioni!

Insomma, la malattia era sempre indice di peccato e, poiché nella Scrittura si leggeva: "Con quelle stesse cose per cui uno pecca, con esse è poi castigato" (Sap.11,16), si era giunti addirittura a collegare ogni malattia a un determinato peccato: ad esempio l'idropisia era indice di una colpa di lussuria.

In un quadro del genere la lebbra era considerata il segno massimo del male, la conseguenza dei peccati più gravi e infamanti, specie quella che allora era inguaribile e che, visto che distruggeva il corpo a poco a poco, era assimilata alla condizione del defunto; non a caso le prescrizioni riportate

sopra (Levit.14, 45) assomigliavano a quelle previste da Ezechiele in caso di lutto (cfr.

Ezech.24,17.22).

Giobbe definisce la lebbra "il primogenito della morte" (Giobbe 18,13); il lebbroso era una sorta di "cadavere ambulante" che la tradizione giudaica equiparava al bambino nato morto ed era destinato solo a piangere su se stesso come su un morto; correlativamente, anche la rara eventuale guarigione era ritenuta opera esclusiva di Dio e assimilata alla resurrezione (cfr. 2°Re 5,7)

Ora, se si tiene presente il contesto descritto, si vede subito quale portata sconvolgente riveste il gesto compiuto da Gesù verso il lebbroso che, violando la Legge, gli si avvicina e, sicuro che il Nazareno ha poteri che solo Dio può avergli conferito, gli si inginocchia davanti e lo supplica di guarirlo; probabilmente egli ricorda la guarigione dalla lebbra di Naaman il Siro, operata da Dio tramite il profeta Eliseo (cfr. 2°Re 5,1-19) e, rivolgendosi in quel modo a Gesù, mostra di vedere in Lui il Profeta-Messia per eccellenza.

Il Maestro, mosso a compassione, a sua volta vìola scientemente la Legge, non solo accogliendo la richiesta del lebbroso, ma addirittura toccandolo. Ed ecco che accade il contrario di quanto diceva la Legge! Secondo questa, Gesù sarebbe diventato impuro per aver toccato un lebbroso; accade invece che il lebbroso viene purificato per il contatto e le parole di Gesù.

Che cosa significa tutto questo? Anzitutto che incontriamo ancora una volta la grande "misericordia-compassione" del Figlio di Dio, che non può restare indifferente di fronte alla sofferenza fisica e morale dell'uomo; ma in secondo luogo è altrettanto evidente una chiara presa di posizione di Gesù nei confronti della Legge, o meglio di quelle prescrizioni che non erano state ispirate da Dio, ma introdotte da Mosè per la "durezza di cuore" degli Israeliti (cfr. Mc.10,4-9).

Se poi, come fa notare G.Ravasi, "alcuni codici antichi qui leggono, invece del verbo della compassione, quello dell'ira (orghistheìs, v.41a), Gesù in questo caso si sdegnerebbe contro il male e contro l'emarginazione ingaggiando nei loro confronti una vera e propria sfida (si vedano anche Mc.3,5; 7,34; Gv.11,33.38)".

Gesù è venuto infatti a rivelare l'autentica volontà del Padre, facendo piazza pulita di credenze e addirittura di "dogmi" contrari alla volontà di Dio, come quella "teoria della retribuzione" (prima ricordata), che criminalizzava la sofferenza identificandola con la punizione divina, e portava ad assurde e inaccettabili conseguenze.

Tuttavia, se da un lato il Nazareno non osserva certe prescrizioni, dall'altro ordina al lebbroso da lui guarito di presentarsi ai sacerdoti e di fare quanto dice la Legge di Mosè, "a testimonianza per loro" (v.44). Tale ingiunzione ha vari significati: all'ex-lebbroso occorreva un attestato ufficiale dei sacerdoti per essere riammesso nel consorzio civile; questi ultimi a loro volta avrebbero constatato il rispetto di Gesù per la Legge (in tal caso si trattava di prescrizioni utili per le relazioni sociali) e nello stesso tempo dovevano riconoscere, come il popolo, che l'immondo era stato perfettamente guarito mediante l'opera di Gesù.

 

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