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TESTO Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio

Ileana Mortari - rito ambrosiano  

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (Anno B) (29/01/2012)

Vangelo: Lc 2,41-52 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. 42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. 43Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. 44Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; 45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. 46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. 48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.

51Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. 52E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

L'episodio del Vangelo, proprio di Luca, è a prima vista sconcertante. Gesù, che alla fine è descritto come perfettamente obbediente ai suoi genitori (v.51), appare, nella vicenda ricordata, poco rispettoso nei loro confronti: si ferma di sua iniziativa a Gerusalemme, senza neppure avvertirli; anziché capire la loro angoscia, risponde in maniera quasi seccata e conclude con un discorso incomprensibile circa certi suoi "affari" di cui deve assolutamente occuparsi! Questo, se si resta alla superficie del testo; ma, andando un po' in profondità, si può cogliere la natura tutta particolare di tale sconcerto.

Come spesso sottolinea il Nuovo Testamento, Gesù è ad un tempo membro del popolo ebraico e assoluta novità. Così in questo episodio, da un lato Luca ci ricorda che Gesù, all'età di 12 anni, è diventato "bar mizwah" (=figlio del precetto), cioè ha raggiunto la piena maturità e responsabilità religiosa, per cui da quel momento può proclamare e commentare la Torah; ma dall'altro sottolinea l'assoluta originalità di questo figlio di Israele.

Nel Tempio di Gerusalemme, dove riceve la tipica istruzione rabbinica (che comportava il sapersi districare, mediante opportune domande e risposte, in un'ampia casistica), Gesù è presentato "seduto" in mezzo ai dottori, cioè nella posizione tipica del maestro in cattedra, e soprattutto dotato di una straordinaria "intelligenza". Il termine originale "synesis" dice molto più di una conoscenza intellettuale: è la capacità di penetrare nel segreto delle cose e nel mistero di Dio; e se già un dono analogo aveva stupito in Salomone, a maggior ragione ora tutti quelli che udivano Gesù erano pieni di stupore per le risposte di un semplice "ragazzino"; in lui si manifestava al massimo grado la sapienza di Dio! anzi Paolo afferma senza mezzi termini: "Cristo è sapienza di Dio" (1° Cor.1,30).

Si capiscono meglio allora le parole di Gesù; la domanda retorica ai suoi genitori non implica un tono di stizza, ma una constatazione: se - come vi era stato detto - io sono il "Figlio dell'Altissimo" (cfr. Lc. 1,32), è del tutto logico che io debba anzitutto occuparmi delle cose del Padre mio; e il verbo "dovere", nel Nuovo Testamento in genere e soprattutto in Luca, dice la necessità imprescindibile che si compia il piano di Dio: è esattamente questo che avviene in ogni momento della vita di Gesù e soprattutto nella sua passione e morte.

Già nel Tempio di Gerusalemme, dunque, Gesù dodicenne rivendica un'autonomia che non è autosufficienza o disprezzo di una comune condizione umana (quella filiale), ma profonda consapevolezza del primato di Dio nella sua esistenza.

Dal seguito dell'episodio sappiamo che Gesù partì con Maria e Giuseppe per Nazareth e che "stava loro sottomesso" (v.51). Poiché in questo versetto Luca condensa i due lunghi decenni che hanno preceduto il ministero pubblico, possiamo ben arguire che Gesù sia vissuto da figlio esemplare, mettendo certamente in pratica gli insegnamenti che si trovano in Siracide 3, e tra i quali ad esempio l'onore non indica tanto una generica venerazione, ma un impegno operoso nei confronti dei genitori, fatto di delicatezza, amore e premuroso sostegno. Dunque il valore della famiglia ne esce rafforzato e quanto mai nobilitato dal ruolo di figlio assunto da Gesù.

Ma nello stesso tempo gli orizzonti si allargano e nell'esperienza del Nazareno ci viene indicata una dimensione più ampia: "Mia madre e i miei fratelli - egli dirà - sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Luca 8,21).

Molto evidente appare allora il messaggio che ci viene da questo brano del Vangelo: in tanto Gesù è figlio esemplare di Maria e Giuseppe, in quanto è anzitutto Figlio del suo Padre Celeste. Queste due dimensioni in lui collimavano perfettamente; per noi invece sono un traguardo verso cui tendere sempre, perché le vie di Dio sono misteriose e spesso suscitano sconcerto e incomprensione. E' stato così anche per i genitori terreni di Gesù (v.50). Ma da Maria, la prima credente e il modello di ogni credente, ci viene l'indicazione dell'atteggiamento da assumere: ella "custodiva tutte queste cose nel suo cuore" (v.51), "meditandole" (v.19), cioè: custodiva nella sua interiorità tutti gli avvenimenti riguardanti suo Figlio e li confrontava e collegava tra loro finché se ne schiudesse il senso. La vita cristiana è questo straordinario trovarsi ad ogni passo a tu per tu con il Mistero, e allargare il proprio cuore per fargli spazio.

 

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