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TESTO Antidoti al deserto.

don Cristiano Mauri  

III domenica dopo l'Epifania (Anno B) (22/01/2012)

Vangelo: Mt 14,13b-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 14,13b-21

13Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. 14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.

15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Un luogo solitario: lì Gesù va a custodire la notizia della fine del Battista.

Non ci va per fuggire. Oggi diremmo che deve rielaborare, prendere coscienza del fatto.

D'altronde, dove ricomporre e ricomporsi se non in quello spazio?

Per Lui è il silenzio della solitudine è anzitutto il luogo dell'intimità col Padre, ciò di cui ha bisogno ora.

Prossimità, vicinanza, calore sono i rimedi al gelo del lutto, quando gli artigli dell'angoscia si accaniscono.

Tanto più che si insinua la consapevolezza che la fine di Giovanni è profezia della Sua.

E poco prima le controversie coi farisei e quel discorso parabolico che nemmeno i suoi comprendono non possono che aver accentuato in Gesù il senso di isolamento.

Smarrimento, desolazione, affanno, timore. La "città" di Gesù ha questi colori, quelli di un deserto d'umanità.

Mi chiedo se quel cercare un luogo disabitato non abbia anche il valore di un gesto esplicativo e profetico che renda visibile ai discepoli la situazione interiore del Maestro: circondato dalle folle eppure in una solitudine radicale. Li porta lì nel nulla, perché appaia l'aridità in cui già sente di abitare.

Ma allo stesso tempo li conduce in un vuoto che Lui sa essere spazio dell'incontro con la Presenza del Padre.

Eccola infatti, una Presenza provvidente che accoglie Gesù ricollocandolo nello spazio che Gli appartiene: le folle con il loro appello si salvezza. Gesù è restituito alla gente e l'identità del Figlio riviene a galla: la Compassione del Padre è il Suo stesso nome. Un nome che quei miseri gli stanno ricordando. Non c'è più spazio per la desolazione e lo smarrimento, dal cuore del Maestro sgorga un'onda risanatrice: Padre, Madre, Fratello, Sorella li chiama uno a uno. Quei volti sono storia di Lui in una reciproca dipendenza e appartenenza.

Una familiarità salvifica: questa è la Giustizia del Regno, per chi la comprende.

Ma nel Regno si entra facendo violenza al proprio sé autosufficiente.

Una fatica che gli apostoli avvertono. «Congedali», letteralmente «scioglili, liberali». Già, il legame che il Maestro stava tessendo era realmente tale: un laccio, una corda, una... cordata. Gli uni con gli altri, gli uni per gli altri aiuto e salvezza. Ma per i discepoli quella fune è ancora solo un misterioso impaccio da cui chiedono di essere sciolti fingendo un'attenta carità. Non hanno ancora pienamente compreso che quell'impaccio è Salvezza, nel vero senso della parola.

Non hanno tutti i torti: come è possibile un tale legame? Come bastare a una tale ampiezza? Come sopravvivere a un tale coinvolgimento?

Toglie vita, libertà, respiro. L'altro può pesare, rallentarti persino trascinarti giù con sé.

«Sì, proprio così», risponde Gesù. «Date loro da mangiare»: cioè fidatevi della potenza salvifica di questo mio modo di vivere la fraternità che sente l'altro come parte di sè, date senza limite né giudizio credendo alla capacità di un simile bene di restituire una vita senza limiti. Fino al rischio di esser trascinati giù con gli altri. E che altro sarà la Croce se non un tale inabissarsi per restituire una vita senza confini?

«Ma non abbiamo che pochi pani e pesci»: la nostra umanità non ha le misure che Tu pretendi - protestano - la familiarità che Tu ti attendi è fuori dalla nostra portata.

Sì è vero, i discepoli han ragione. La familiarità dei Figli del Regno non è raggiungibile dai loro sforzi. E' dono della Grazia a quella libertà che riconoscendo la propria povertà si consegna ad essa.

«Portatemeli qui». E poi è l'Epifania del Regno di Dio: il Figlio chiede al Padre il dono di una familiarità miracolosa, salvifica e sovrabbondante. Lo fa con un gesto - anche questo, la benedizione - di restituzione al Padre della pochezza umana.

Tanto i discepoli, che distribuiscono il dono di una fraternità «nuova ed eterna», quanto le folle che ne sono oggetto vengono ricondotti all'identità che spetta a ciascuno. La Giustizia del Regno avviene: a ciascuno viene restituito ciò che gli spetta a colmare l'iniqua indigenza. E non si tratta di solo pane.

Ognuno viene restituito all'altro, come parte propria integrante, alimento, sostegno.

Tutti vengono restituiti al loro luogo d'origine: questa fraternità miracolosa è dimora, Regno che viene, Vita promessa.

La fraternità cristiana è una dinamica di restituzione.

Lasciare che Gesù mi restituisca a me stesso generandomi in una familiarità sovrabbondante e sanante.

Nel nome di Gesù restituire senza limite né giudizio l'intero me all'altro al quale appartengo.

E il deserto, così, fiorisce.

 

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