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TESTO Amore, conversione, vocazione

padre Gian Franco Scarpitta  

III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (22/01/2012)

Vangelo: Mc 1,14-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,14-20

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Sulla scena della liturgia di oggi, appare innanzitutto il fantomatico profeta Giona, uomo famoso nella Scrittura per la sua riluttanza ad eseguire l'incarico missionario affidatogli da Dio di predicare a Ninive e per la conseguente punizione di finire gettato in mare e ingoiato da un pesce, che lo terrà nel ventre per tre giorni (Gn 1, 9-15). Adesso lo vediamo in giro per la grande città di Ninive, perché, una volta ravvedutosi, ha riacquistato la fiducia del Signore e ha eseguito il suo compito: sta predicando ed esortando i Niniviti alla conversione.

Il motivo per cui Giona aveva inizialmente opposto un rifiuto alla sua missione è molto semplice: la città in cui veniva inviato non è certo fra le più esemplari in fatto di fede o di sensibilità religiosa, ma è conosciutissima per la sua ostilità nei riguardi del sacro e del trascendente e per la sua affermata paganità. Giona si trova a percorrere quindi tre giornate di cammino esortando alla conversione cittadini abbastanza refrattari e preclusi e la sua missione non è certo facile.

Il suo linguaggio è poi duro e categorico: "Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta" (Gion 3, 4). Eppure proprio lì, in quella città grande quanto a geografia e quanto a miscredenza e paganità, si verifica un repentino cambiamento, un ravvedimento che si esprime nel segno dell'umiliazione fisica del digiuno e della veste di sacco. Il popolo si ravvede, crede nelle parole del Signore, si sottomette, insomma si converte e la Parola di Dio ha ragione dell'ostinazione umana.

Il motivo della conversione è effettivamente la minaccia del castigo, ma in realtà chi mette in condizioni il popolo di convertirsi e di mutare vita è in primo luogo Dio stesso e lo fa con la sola motivazione della sua misericordia. In altre parole, i Niniviti si convertono in forza dell'amore del Signore, come del resto Egli stesso illustrerà a Giona, con opportuni ricorsi pedagogici (Gn 4, 11), nei quali riafferma che la sua compassione, la pietà e la misericordia prescindono dalle valutazioni e dai calcolo solitamente umani.

Dio è innamorato dell'uomo e per quanto questi rifiuti la sua benevolenza e respinga ostinatamente le garanzie della salvezza e della gioia, tende continuamente a chiamarlo a sé e ad attuare quella dimensione di dialogo, di intimità e di reciproca fiducia che scaturisce dal confronto con il passato e che si chiama conversione.

Con questo procedimento agisce Egli stesso per primo, semplicemente amando l'uomo, mettendolo in condizioni di sperimentare di essere davvero amato singolarmente e senza riserve, di trovarsi oggetto della sua benevolenza e della sua fiducia e infondendo nel suo animo la consapevolezza che nell'amore di Dio è possibile rinnovare la propria vita e orientarsi verso sentieri molto più proficui quanto dannosi sono il peccato e l'ostinazione al male. Nel sentirci amati da Dio, ci sentiamo incoraggiati a corrispondere a lui, ad orientare mente e cuore in sua direzione nella matura consapevolezza che quanto da lui ci disorienta conduce solo al baratro della dispersione e dell'errore. La conversione non è imposizione coatta, ma convinzione. Essa chiama in causa non la paura o la soggezione, quanto piuttosto l'entusiasmo della gioia e della libertà.

Dio converte, l'uomo si persuade e corrisponde al dono di conversione. Il risultato di questo processo è la vita nuova in Dio, la felicità e la salvezza; il suo destinatario è l'uomo peccatore, non importa quale sia l'entità e la consistenza del suo peccato: Qualora il vostro peccato fosse rosso come lo scarlatto diverrà bianco come la neve" (Is 1,18).

Amore di Dio e conversione costituiscono il perno dell'annuncio evangelico, che a sua volta si apre con un monito perentorio parimenti a quello di Giona: "Convertitevi e credete al Vangelo."

Anche a questo proposito, non possiamo omettere che a motivare la conversione e il cambiamento radicale di vita non può essere che la conversione (Rm 2,4); ma quale consapevolezza dell'amore divino potrebbe mai convincerci al di sopra del fatto che lo stesso Signore ha voluto incarnarsi, vivere il nostro tempo e consegnarsi alla morte di croce per il nostro prezzo? Proprio dopo aver condiviso con noi l'esperienza umana e dopo aver esperito la precarietà dell'essere peccatori, il Figlio di Dio ci esorta con le parole suddette, perché ci rivela che in lui, Verbo Incarnato, l'amore di Dio ha assunto tutta la sua concretezza, che siamo davvero oggetto di predilezione del Padre; occorre pertanto abbandonare i sentieri falsi perversi del peccato e deciderci per il Signore, corrispondendo al dono dell'amore gratuito e spontaneo con lo spontaneo ravvedimento e mutamento di vita.

La conversione dischiude alla fede e all'adesione libera del cuore e per ciò stesso procura garantiti ambiti di vita e di scelta vocazionale, poiché appunto il vivere in Cristo suscita l'entusiasmo della risposta al suo continuo appello. Scegliere Cristo equivale a vivere la radicalità in lui, che ci induce a cioncludere che le sue vie non sono le nostre vie, che i suoi sentieri differiscono dai nostri e che qualsiasi progetto Egli abbia impostato su di noi corrisponde soltanto esso al vero bene e alla vera realizzazione.

.Scegliere e deliberare la propria vita affidandosi all'illusione, alla velleità e alla temerarietà; contare sulle mete di arrivismo puntando sulla presunzione o sulle vanità del consorzio mondano; illuderci di procacciare obiettivi di agiatezza che in realtà non sono i nostri obiettivi; tutto questo corrisponde a decidere della nostra vita al di fuori di qualsiasi riferimento vocazionale e affidando noi stessi a svarieti criteri alla fine illusori e fallaci e comporta nient'altro che il nostro danno e la dispersione di quanti ci stanno attorno. Scegliere e lanciarsi dopo aver individiuato nella nostra vita o nelle scelte quotidiane il vero progetto di Dio in Cristo, equivale invece a procurare la nostra realizzazione e la nostra gioia, poiché ci si affida in tal caso a Colui che sappiamo ci conosce sin dall'eternità e non ci abbandona al fato, collocandoci ciascuno al proprio posto.

Ma come poter attuare la vocazione se non dopo una relazione di intimità con Dio fondata sull'amore e sulla conversione?

. E' in ragione della previa conversione che questi discepoli, intenti a gettarele reti in mare, vengono coinvolti nel progetto del tutto particolare di appartenenza al Signore e di missionarietà: la conversione, cioè la convinzione di essere stati resi oggetto di fiducia e di amore da parte del Signore e la conseguente sua sequela, tramuteranno radicalmente il destino di questi semplici e parchi uomini, che da pescatori diventeranno annunciatori. La risposta alla chiamata di Gesù, il repentino abbandono delle reti e la corsa verso nuovi orizzonti di vita, suggerisce anche a noi che i progetti di Dio sono molto più convenienti delle alternative che il mondo ci propone.

 

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