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TESTO Vuoi conoscere il mare? Vieni e vedrai

Marco Pedron  

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/01/2012)

Vangelo: Gv 1,35-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 1,35-42

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro –, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Il vangelo di oggi ci presenta la chiamata dei primi due discepoli. Chi sono? Uno lo dice il vangelo, è Andrea (Gv 1,40) e l'altro, forse, è Giovanni (l'evangelista), il discepolo "che Gesù amava" (Gv 13,23).

Andrea (Andreas=virile, coraggioso) è il fratello di Simone (Pietro) e come incontra Gesù è subito entusiasta (en-tu-siasmo in greco vuol dire "avere un Dio dentro"). Infatti, subito dopo l'incontro va da suo fratello, il famoso Simon Pietro e gli dice: "Abbiamo trovato il Messia!" (Gv 1,41).

Andrea cerca di contagiare il fratello ma non accade nulla. Tant'è vero che lo deve portare, tirare, lui da Gesù (Gv 1,42). Pietro, infatti, non mostra né contentezza, né felicità, né interesse, né curiosità. Dopo che Gesù gli ha detto: "Tu ti chiamerai Pietro", che non era molto bella come cosa visto che gli ha detto: "Tu sei testardo e duro" (al che Pietro poteva dirgli: "Ma se nemmeno mi conosci!"), Pietro non fa neppure una parola, non dice nulla, totalmente indifferente. E Gesù lo inquadra subito: "Ti chiamerai Pietro": ma quanto corazzato, duro, impenetrabile sei?

Cosa ci fa capire tutto questo? Per seguire Gesù bisogna lasciarsi entusiasmare, bisogna lasciarsi prendere, bisogna appassionarsi. La sua chiamata riguarda il cuore non la mente.

Guardate le nostre liturgie: "Ma secondo voi siamo gente appassionata? Gente entusiasta? Siamo felici di essere qui? Si vede tutta la nostra energia? Dov'è l'emozione? La vitalità?". Le persone dicono: "Ma perché non c'è più gente in chiesa?". E' una buona domanda. Ma dovremo, forse, chiederci: "E perché uno dovrebbe andarci?", se questo è il clima?

In questo vangelo emerge il ruolo degli intermediari. Il Battista fa da intermediario per Andrea e l'altro discepolo (1,37). Andrea poi diventa intermediario per suo fratello Simon Pietro (1,41-42). Il giorno dopo Gesù incontrerà Filippo e Filippo sarà intermediario per Natanaele (1,43-46).

Uno incontra qualcosa di bello, di grande, di intenso, di vero e ti invita: "Vieni anche tu a vedere!".

E' così: hai incontrato qualcosa che ti fa felice e vuoi che anche gli altri lo siano. Hai incontrato qualcosa che ti fa vivere e vuoi che anche gli altri sentano quanto sia vitale. Hai incontrato qualcosa di vero e vuoi che anche altri respirino questa verità e questa luce.

La vera evangelizzazione, la vera missione, avviene per contagio: "Oh, sapessi cos'ho incontrato!? Vieni anche tu!". E gli altri ci vengono non per chissà quali motivazioni ma perché sentono tutto il tuo entusiasmo, la tua gioia, la tua energia e quanto a te abbia fatto bene tutto ciò. Si chiama testimonianza!

E io? Io devo fidarmi. Perché non provare? Perché non sperimentare? A volte le persone dicono: "No, no, grazie, non è per me!". Ma se non ci hai neanche provato? Non è che non è per te, è che tu hai paura, è che tu temi di metterti in gioco, che tu sei già morto dentro.

I due discepoli, allora, Andrea e Giovanni, hanno appena sentito dal Battista: "Ecco l'agnello di Dio" (Gv 1,35). Cosa s'intende per agnello di Dio? S'intende l'agnello pasquale, quello che Mosè aveva chiesto al popolo di mangiare la notte della liberazione, perché la carne avrebbe dato loro la forza di iniziare questo cammino verso la libertà e il sangue li avrebbe liberati dalla morte.

Allora Gesù viene indicato da Giovanni Battista: "Ecco l'Agnello che toglie, estirpa, il peccato (amartia è al singolare, quindi non i peccati) del mondo" (Gv 1,29). Sentendo questo i due discepoli decidono di seguire Gesù.

Allora Gesù, voltandosi, avendo osservato che lo seguivano, gli dice: "Che cercate?". "Ti (neutro) zeteite"= "Che cosa cercate" e non "Chi cercate?".

E questa è la grande domanda che Gesù rivolge a ciascuno di noi: "Che cosa cerchi?".

Ognuno avrà non più di ciò che desidera. Se il tuo desiderio è di diplomarti, diplomato non andrai oltre. Se il tuo desiderio è fare 5 chilometri di corsa, fatti non andrai oltre. Se il tuo desiderio è mangiare panettone e bere vino, non ti metterai a leggere un buon libro. Il desiderio ci dice il limite massimo di ciò che faremo.

"Che cosa cerchi tu?". Prova a rispondere adesso: "Che cosa cerchi tu? Che cosa desideri?". Un uomo è i suoi desideri. Se desideri poco avrai poco.

Alcuni uomini desiderano cose: il telefono, l'auto nuova, il conto pingue in banca, un buon lavoro. Ma le cose non soddisfano il desiderio (sembra, ma non lo fanno!). Perché quando hai avuto la cosa, che fai poi?

La parola de-siderio, vuol dire, lett., "disceso (de) dal cielo (sidus)": il vero desiderio è qualcosa di grande. Un progetto per cui appassionarsi, un sogno da realizzare, una chiamata, ecc. Non spezzare ogni tuo desiderio, perché se si chiama così significa che il tuo cuore lo vuole.

Qui Gesù dice: "Se cercate vita, pienezza, felicità, libertà, verità, umanità, allora sì che potete venirmi dietro. Io offro questo. Se cercate altro, non è questo il posto".

E i due discepoli gli dicono: "Maestro, dove abiti?" (Gv 1,38).

Gv ricorda anche l'ora precisa: perché è quell'esperienza che gli ha cambiato la vita. E quando certe esperienze ti cambiano la vita, tu ti ricordi il luogo, l'ora, i colori, tutto.

Il primo incontro con tua moglie/marito? Si ricorda l'ora, il luogo, i vestiti, le paure e tutti i particolari. Il primo bacio, il primo figlio, un'esperienza decisiva: si è così impressa in noi che non possiamo dimenticarcela, e rimarrà per sempre viva, indelebile, in noi perché è stato quell'incontro che ci ha cambiato e fatto diversi.

Ma "Dove abiti", letteralmente è: "Maestro, dove rimani (meno=rimanere)?". Non è la stessa cosa perché qui c'è un gioco profondo.

I discepoli sono ad un livello di superficie e gli chiedono: "Dove stai?", cioè: "Dove abiti?". "Abito in via Roma, in via Napoleone, ecc.". Loro pensano ad un posto fisico, ad un luogo. Ma quel verbo (meno) è il verbo di Gv 15 dove moltissime volte Gesù dice: "Chi rimane in me (meno)... chi non rimane in me... se rimanete... rimanete nel mio amore" (Gv 15,5-9).

Gesù parla di un rimanere diverso: il suo rimanere, abitare, non è un luogo ma è una dimensione. Si tratta di vivere e di essere in un certo modo.

E mentre i discepoli cercano il luogo dove Gesù "abita", non sanno che Gesù "rimane" sempre dentro di loro. Loro lo cercano fuori ma Lui è dentro e rimane lì da sempre e per sempre.

Questo è il grande passaggio della vita: smettere di cercare fuori per cercare dentro. Le persone cercano fuori e credono: "Quando avrò quello, allora sì che sarò felice". Ma non funziona. Perché la felicità non è avere una cosa ma essere qualcosa. E l'essere qualcosa dipende da me.

Ovidio (nelle Metamorfosi) racconta la storia del re di Cipro Pigmalione. Questo re era anche uno scultore e un giorno aveva modellato una statua femminile d'avorio, nuda, che egli stesso aveva chiamato Galatea, della quale si era innamorato. Questo statua era il suo ideale di donna, visto che era insoddisfatto di tutte le donne, tanto da dormirci accanto. Ma non era felice.

La felicità non è avere una cosa e neppure una persona: la felicità è qualcosa che tu crei e vivi dentro di te. Nessuno può darti sicurezza così tanto, se tu hai paura, se tu sei insicuro. Nessuno ti può far felice se tu non sei felice. Nessuno può saziare il tuo amare se tu non ti ami. Nessuno ti può far sentire valorizzato se tu non percepisci il tuo valore.

C'è un uomo che si crede un topo e per questo rimane sempre chiuso in casa perché fuori ci sono i gatti. Così fa una serie di sedute dallo psichiatra. Al termine l'uomo sembra veramente guarito: "Chi sei tu?". "Sono un uomo!". "Sei un topo, tu?". "No, io sono un uomo!". Così l'uomo ritorna a casa, ma non esce. Allora lo psichiatra lo richiama: "Ma cosa sei tu?". "Non sono più un topo, dottore, io sono un uomo!". "E perché, allora, non esci di casa?". "Perché non so se il gatto lo sa!".
Nessuno ti può dare ciò che tu trovi dentro.

Dentro di te c'è Dio. Dentro di c'è tutto ciò che ti serve. Perché continui a chiedere agli altri ciò che gli altri non ti possono dare? Perché vuoi dagli altri ciò che tu non sei in grado di darti?

Gesù risponde: "Venite e vedrete" (Gv 1,39).

Loro si aspettavano una risposta precisa ma qui non c'è nessuna risposta precisa: "Vuoi saperlo?". "Ti devi buttare". Non c'è altro. Non te lo posso insegnare; non è questione di leggere un libro o di sapere delle cose. Devi impararlo tu di persona.
Gesù a tutti diceva: "Vieni e seguimi" (Mc 1,17; 2,14).

Venite è un verbo di movimento, dinamico: non è un invito alla contemplazione ma al movimento.

Venire vuol dire: "Esco dalle mie posizioni, dalle mie idee e mi muovo".

Quante volte si dice alle persone: "Fai quell'esperienza... prova questo corso... vai a quell'incontro... vai da quella persona... provaci... fai qualcosa di diverso..." ma poi le persone non fanno niente.

C'è chi dice: "Ma sì, tanto ai miei problemi devo pensarci io!... ma non ne ho bisogno... cos'avrà da dirmi?... nessuno ti cambia la vita... non ho tempo... l'ho già fatto una volta e non è servito". E' come dire: "Mi sta bene stare così!".

Oppure: "Ho paura... e se poi è troppo?... e se poi devo cambiare". Come dire: "Vorrei, ma non voglio".

Certo, "venire" vuol dire muoversi, cambiare, evolvere, spostarsi. E chi non vuol "muoversi" non può seguire il Signore. Perché Iddio ti vuole molto lontano dalle tue posizioni. Per questo Dio ci fa paura.

La manna è caduta dal cielo solo per gli ebrei ma non cadrà per noi. Devi muoverti, devi provarci, devi fare qualcosa. Magari la prima volta non va bene ma provaci, vai a vedere, muoviti, fai qualcosa.

Certo, tutto dipende da cosa cerchi. Se cerchi poco ti accontenti di quello che hai. Ma se cerchi poco avrai poco.

Vedere=faccio esperienza, tocco con mano, vedo e allora saprò non per sentito dire ma perché ho visto.

Gb 42,4: "Io ti conoscevo, o Dio, per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono". Fare esperienza, vedere, è ciò che fa la differenza.

Sapere tutto dell'amore è buono ma provare, vivere l'amore è un'altra cosa. Solo quando sei stato innamorato, tra gioie e patimenti, allora sì che sai cosa vuol dire essere innamorati. Essere laureati in medicina non ci fa medici. Ed essere laureati in psicologia non ci fa psicologi. E' l'esperienza, l'incarnarsi, lo sperimentarsi che ci fa capire cosa voglia dire. E' come aver studiato tutto il manuale della patente: ma se non guidi, se non ci provi, se non inizi, non sai cosa voglia dire guidare un'auto.

Esperienza vuol dire: "Mi lascio coinvolgere". Il grande pericolo è quello del Leopardi, che dalla sua finestra in quel famoso "Sabato del villaggio" guardava gli altri che giù sulle strade e sulle piazze si muovevano e vivevano: "Ma scendi giù! Buttati! Provaci!".

La parola ex-perienza esprime bene questa cosa.

1. Ex-perì in greco vuol dire "uscire da sé (ex) per comprendere una cosa da tutti i lati (perì)". Quello che vedi, quello che sai, è solamente un raggio di luce. Non è il sole! Un punto di vista è la vista da un punto. Esperienza vuol dire: solamente provando, entrandoci, capisco tutti i lati di questa cosa.

2. Ex-per-ire in latino vuol dire "Esco da me per viaggiare/andare/conoscere (ire) nella vita". Devo muovermi, devo andare, altrimenti non conoscerò mai la grandezza della vita. Experior vuol dire sperimentare, mettersi alla prova, conoscere a proprie spese, sulla propria pelle. La vera conoscenza è: "Sono andato, ho visto, toccato, sentito e adesso so".

Quante volte noi ci permettiamo di parlare di cose o persone che non conosciamo, che non abbiamo sperimentato. "Se non sai, taci; e se vuoi sapere vai a vedere".

Per la Bibbia conoscere è fare un'esperienza. Quando un uomo conosce una donna vuol dire che ha rapporti sessuali con lei. Non è niente di mentale o di razionale.

Delle farfalle ruotavano e danzavano intorno al fuoco. Ognuno faceva le sue supposizioni su cosa fosse il fuoco. Una diceva: "E' il sole che esce di notte!". "Ma no, è un pezzo di giorno che illumina la notte!". "Ma no", diceva un'altra, "È il nemico della legna". Erano ore e ore che discutevano su che cosa fosse il fuoco, anche se nessuna ne aveva la minima idea. Poi, ad un certo punto una ci si buttò dentro e per qualche istante divenne una stella luminosa. Allora le altre commentarono: "Adesso lei sa cos'è il fuoco!".

3. Ex-perire contiene anche la parola perire: sperimentare è pericoloso e in ogni caso ti "farà morire" delle certezze, delle idee, delle cose, che tu pensavi.

E' per questo che per seguire il vangelo ci vuole coraggio. Il vangelo non è rassicurante da questo punto di vista e non ti dirà mai: "Andrà tutto liscio come l'olio". Non è così. Dio è rassicurante perché ti dice: "Non aver paura, ci sono io!", ma non perché garantisce: "Non avrai mai problemi o tutto filerà via bene!".

"E' la vita che guarisce la vita". Solo vivendo, solo immergendosi, solo entrando dentro sentiremo e sperimenteremo cos'è la vita. Non si può conoscere una cosa standone fuori.

Tutti noi vorremo che la vita fosse un viaggio senza bufere, pericoli o rischi. E allora per questo cerchiamo di evitare il più possibile l'esperienza e il coinvolgimento.

Ma la vita è coinvolgersi, entrare dentro, provarci: altrimenti non la si conosce. Quando gli apostoli andavano da Gesù e gli dicevano: "Ma che garanzie avremo ("Ecco, noi che abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa dunque ne otterremo" Mt 19,27)?", Gesù rispondeva: "Nessuna!".

Dio non ci promette una vita tranquilla senza pericoli, "serena e in pace" (come la maggior parte della gente chiede, il che equivale a piatta): Gesù promette intensità, vita alla grande, esporsi, vibrare, coinvolgersi, lottare, essere al centro del mondo, vittorie e sconfitte; Gesù prometta la Vita (Gv 14,6; 10,10) vera e abbondante, non un viaggio turistico alle Seychelles.

Le assicurazioni fondano i loro profitti su: "Se poi succede questo meglio che si assicuri". Le mamme dicono: "Attento di qua! Attento di là!". Sì, giusto, ma non si può prevenire tutto. Le persone dicono: "E se poi succede questo?... E se poi sbaglio?... E se poi non è come pensavo?". Possibile, tutto possibile, ma il più grande rischio è di aver vissuto senza aver vissuto.

Nel libro "Vivere, amare, capirsi", Leo Buscaglia scriveva: "A ridere c'è il rischio di apparire sciocchi; a piangere c'è il rischio di essere chiamati sentimentali; a stabilire un contatto con un altro c'è il rischio di farsi coinvolgere; a mostrare i propri sentimenti c'è il rischio di mostrare il vostro vero io; a esporre le vostre idee e i vostri sogni c'è il rischio d'essere chiamati ingenui; ad amare c'è il rischio di non essere corrisposti; a vivere c'è il rischio di morire; a sperare c'è il rischio della disperazione e a tentare c'è il rischio del fallimento. Ma bisogna correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla. La persona che non rischia nulla, non è nulla e non diviene nulla. Può evitare la sofferenza e l'angoscia, ma non può imparare a sentire e cambiare e progredire e amare e vivere. Incatenata alle sue certezze, è schiava. Ha rinunciato alla libertà". Solo la persona che rischia è veramente libera. La vita è il dono che Dio ci fa: una vita vissuta è il mio dono a Lui. E una vita sprecata è il peccato.

Se vuoi sapere cos'è il mare devi immergerti dentro: "Vieni e vedrai".

Cinque uomini in un locale videro una donna bellissima che mangiava da sola. A tutti batteva il cuore.

Il primo: "Cosa non farei per averla, per conoscerla. Ma se mi faccio avanti, chissà cosa potrebbe pensare! Manco la conosco. Penserà che sono un poco di buono e che ci provo con tutte". E lasciò stare anche se gli rimase sempre il rammarico di cosa sarebbe potuto succedere.

Il secondo: "Se solo fossi bello! Se avessi qualche carta da giocarmi! Se vado lì cosa le dico? E se magari ha già un altro? E poi, io posso ambire ad una donna così? E se poi mi dice di no?". Così per non rischiare se "la mise via" perché, si giustificò, "non erano donne per lui quelle".

Il terzo non vide l'ora di tornare a casa. Prese la sua chitarra e compose canzoni stupende piene di emozione, di amore e di desiderio che lei però non sentì mai.

Il quarto andò a casa, telefonò agli amici e raccontò a tutti di aver visto la donna più bella del mondo e che nessuno di loro mai avrebbe potuto capire quanto bella fosse.

E il quinto? Il quinto si alzò dal tavolo, le si avvicinò e chiese di sedersi vicino. La donna gli disse di sì e quella sera rimasero insieme, ma anche quella successiva e anche quella successiva ancora e per tutte le sere della vita.

Pensiero della settimana

C'è una cosa che unisce tutti gli uomini: la vita.
Chi Vive conosce tutti gli uomini.

 

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