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TESTO Commento su Isaia 16, 1-5; Prima Tessalonicesi 3, 11 - 4, 2; Marco 11, 1-11

don Raffaello Ciccone  

IV domenica T. Avvento (Anno B) (04/12/2011)

Vangelo: Is 16, 1-5; 1Ts 3, 11 - 4, 2; Mc 11, 1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 11,1-11

1Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». 4Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». 6Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano:

«Osanna!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

10Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide!

Osanna nel più alto dei cieli!».

11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.

Lettura del profeta Isaia16, 1-5
Nel capitolo immediatamente precedente (ca.15) del testo di Isaia, si parla di una minaccia pronunciata sul popolo di Moab, un regno, confinante ad Israele e tradizionalmente suo nemico. E tuttavia, nella memoria, i Moabiti vengono fatti risalire alla discendenza di Lot, nipote di Abramo. Isaia preannuncia tragedie di guerre e distruzioni.
Già un tempo Moab inviava al re d'Israele 100.000 agnelli e la lana di 100.000 pecore, come segno di sottomissione (2 Re 3,4). Ora si incoraggia questo popolo a cercare rifugio nel territorio di Giuda e, nello stesso tempo, si invitano i Moabiti a riconoscere la sovranità del "Tempio" di Gerusalemme. Debbono però dichiarare la propria dipendenza in tempi ridotti. Si parla infatti dell'attesa di donne in fuga, spaventate, che aspettano una risposta di accoglienza ai guadi di Arnon, alle porte del paese degli ebrei. Si chiede di essere "ospiti protetti", mentre il profeta garantisce, guardando il futuro, che scomparirà il tiranno e si concluderà la devastazione.
In futuro ilo profeta prevede un sovrano giusto, garantito dalla parola di Dio sulla discendenza di Davide, "sollecito del diritto e pronto alla giustizia". Questa lettura del giudice misericordioso apre gli orizzonti verso il Messia.
Una simile tragedia si svolge continuamente nella storia, e quindi ancor oggi: popoli poveri che vengono travolti, sottomessi e depredati, popoli che fanno valere il loro potere per mostrare la propria potenza, popoli sicuri di sconfiggere e di sottomettere. Ciò avviene a livello politico, a livello economico, a livello culturale mentre vengono depredate le materie prime, vengono obbligati i paesi poveri a pagare tributi spaventosamente alti. Soggiacciono così alla fame e alla miseria e, nello stesso tempo, debbono far emigrare la parte migliore della popolazione.
La comunità mondiale intravvede orientamenti e spazi nuovi di intervento, ma non è ancora capace di trovare delle soluzioni di difesa delle realtà di popoli oppressi. Si inventano, in alcuni casi, guerre e distruzioni, in altri casi si mantengono silenzio e neutralità, in altri casi gli interventi umanitari, che pure nell'immediato sono un soccorso indispensabile, riproducono all'infinito la debolezza di popoli senza casa, senza patria, sfrattati e abbandonati, senza progetti futuri e senza ricerche di autonomia propria e di proprie risorse.
Orizzonti di speranza dovrebbero portare a tutti i livelli la vita come valore, come esigente di diritti, di rispetto e di giustizia.
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi. 3, 11 - 4, 2
Secondo quello che raccontano gli Atti degli Apostoli, Paolo, Silvano e Timoteo hanno raggiunto Tessalonica, durante il secondo viaggio missionario di Paolo, probabilmente attorno agli anni 50, espulsi da Filippi (At 16,16-40).
Paolo è ospite presso la casa di Giasone e predica per tre settimane nella sinagoga. Ha successo, ma, per gelosia e paura, viene provocata una rivolta della popolazione ebraica per cui Paolo e Silvano fuggono e si rifugiano ad Atene (At 17,10-15). Tuttavia Paolo, preoccupato per la comunità di persone che non ha potuto conoscere e aiutare lungamente, manda Timoteo con una lettera, non potendo egli personalmente ritornarvi. Paolo abita, ora, a Corinto e aspetta con trepidazione (siamo probabilmente tra la primavera del 51 e la primavera del 52 d.C.), mentre teme le infiltrazioni di falsi fratelli (cristiani giudaizzanti che combattono Paolo) e le persecuzioni a cui sono soggetti i cristiani.
Quando finalmente Paolo riceve buone notizie, si rincuora, garantendo: "siamo stati amorevoli, con voi come una

madre che ha cura dei propri figli... come un padre abbiamo esortato ciascuno di voi" (2,7. 11). Gli resta un grande desiderio di poter incontrare questi giovani cristiani (3,11), e così scrive questa lettera per comunicare la sua gioia e iniziare a risolvere alcuni problemi di questa comunità che gli sono stati riferiti. Questo scritto è il primo, in assoluto, dei testi del Nuovo Testamento che ci sono giunti.
Abbiamo così, in questa lettera, il senso e la missione della vita di una comunità cristiana, costituita in gran parte da persone che provengono dal mondo pagano, fondamentalmente greco (Tessalonica è l'attuale Salonicco, nella Macedonia). Ci vengono così anche rivelati i sentimenti fondamentali che devono reggere una comunità credente.
Paolo esprime il senso della sua preghiera per questa comunità, augurando che possa essere "in cammino verso la carità (carità come "amore di comunione" che è la stessa carità di Dio: "agapè") "Davanti a Dio e Padre nostro.., saldi alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi... possiate crescere e sovrabbondare nell'amore fra voi e verso tutti".
- Una comunità cresce se c'è un amore reciproco che è generosità gratuita, a somiglianza dell'amore di Dio.
- Questo amore, per quanto è possibile, non può darsi prospettive del limite o di selezione: ma sia "tra voi e verso tutti", in una reciproca attenzione.
- " Per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità", in una comunità, si costituisce un vincolo saldo, mondato da interessi, ma nella responsabilità personale e gratuita.
- L'orizzonte e, nello stesso tempo, la motivazione fanno riferimento " a Dio e Padre nostro e alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi". Esiste così una relazione con il presente (Dio Padre) ed esiste una relazione col futuro come preparazione e attesa (la venuta del Signore nostro Gesù).
- Questo amore deve poter provocare esempi di vita cristiana, misurata sullo stile che Paolo stesso ha portato: "come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio". Allora diventa credibile l'amore all'altro, poiché il cuore accetta di vivere con fermezza e con responsabilità le scelte di Gesù: "per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità". Il cuore, nella cultura ebraica, è la sede dell'intera vita intellettuale, morale, spirituale. La solidità della vita nasce dalla dimensione interiore piena e totale.
- La raccomandazione di Paolo non esibisce tanto una sua superiorità ma, con lo stile e la tenerezza del padre e della madre, richiama i figli ad imitarlo perché egli, a sua volta, ha maturato la sapienza di Gesù.
- In fondo questo atteggiamento è ciò che la gente intende quando dice: "Vanno a messa e si comportano come gli altri". Non sempre a ragione, certo, ma vuole inviarci un messaggio, a volte confuso, spesso legato alle proprie attese e pregiudizi ideologici e tuttavia esigente. Paolo continua a dirci che una comunità deve essere irreprensibile davanti a Dio e a Cristo e deve sviluppare un amore pieno, reciproco al suo interno, e aperto a tutti.
Lettura del Vangelo secondo Marco11, 1-11
Il Vangelo di Marco ha ricordato, qualche versetto prima del testo di oggi, che "Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore"(10,32). Gesù, infatti, camminando verso Gerusalemme, insiste nel descrivere uno orizzonte futuro di fatti drammatici: la sua consegna ai sommi sacerdoti, la condanna a morte, la flagellazione, la sua morte e la sua risurrezione.
Avvicinandosi tuttavia a Gerusalemme, i discepoli cambiano di umore poiché Gesù stesso si preoccupa di organizzare un piccolo ingresso trionfale. In un certo senso, li rassicura anche se, nella condizione di persone continuamente sorprese e sconcertate dalle parole e dalle scelte del Maestro, non sanno sufficientemente collegare fatti e prospettive. In fondo, i discepoli vivono alla giornata, mantenendo per lo più, come gli altri, la speranza di un messianismo trionfale.
Due di loro sono inviati per trovare un asinello e, con sorpresa, avviene tutto come è stato loro detto. Il proprietario non fa alcuna obiezione, l'asinello è portato a Gesù dopo quella strana richiesta: "il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito". E' l'unica volta che Marco utilizza questa parola: "il Signore", esprimendo così una autorità universale, una regalità pacifica, una giustizia sorretta da un esercito di popolo umile ed esultante.
Marco non richiama il profeta Zaccaria (9,9-10) nel suo racconto e, però, è la descrizione concreta della profezia che si realizza: "Gerusalemme, ecco, a te viene il tuo re. Egli è umile, cavalca un asino, un puledro figlio di d'asina. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume sino ai confini della terra".
Bisogna dire che Gesù provoca volontariamente, tra la gente, questo segno che molti in fondo coltivavano come speranza nel proprio cuore. Così Marco racconta l'entrata di Gesù in Gerusalemme in un clima di festa, somigliante a quella che si fa per la festa delle Capanne, (settembre-ottobre).
Qui siamo in prossimità della Pasqua, ma si ricostituisce lo stesso contesto, spontaneamente, tra la gente accampata fuori di Gerusalemme, forse soprattutto fra i suoi amici della Galilea che sono venuti in pellegrinaggio. Nasce una specie di processione e di trionfo con canti e grida, in un clima di festa e un grande agitare di palme.
E se Marco non cita direttamente il profeta, ricorda il Salmo 118,25-27, nel canto di gioia: "Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore. Il Signore è Dio, egli ci illumina. Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare" Così "Osanna" ("dona la salvezza")è un grido a Dio che manda il suo Messia, discendente di Davide, per costituire un regno. Ma quale regno?- Ci si aspetta un avvenimento rivoluzionario.
La cavalcatura è richiamo ad un ingresso solenne. Non militare, non politico, l'entrata a Gerusalemme sarà di pace, seguita da gente semplice, con una cavalcatura, presa a prestito in un villaggio. Poi sarebbe stata restituita. Il trionfo della pace è gratuito ed è offerto dalla iniziativa di Dio e degli uomini. Il fatto, poi, che questo asinello non sia mai stato cavalcato prima, richiama alla novità della venuta del Messia e della Pasqua, in cui si utilizza come per il pane azzimo, il lievito nuovo. Il culto di Israele offriva a Dio la prima parte di primizie dei raccolti e delle greggi. Tutto quello che è presentato a Dio deve essere perfettamente integro, mai usato prima, mai manipolato, mai di seconda mano. Persino l'altare (Esodo 20,24-25) per le offerte e i sacrifici dovrà essere fatto di pietre rozze e non lavorate, perché lavorare con la lama la pietra rende l'altare profano.
La gente stende i mantelli sull'asinello (non ha finimenti e non ha una sella) e sulla strada si crea come un corridoio in cui la gente mette a disposizione ciò che ha di più prezioso e di più personale: i propri mantelli.
Tutta la gioia di questo popolo salvato si riassume in un dialogo-trionfo tra gente semplice che canta la propria liberazione. E' segno del nuovo popolo d'Israele, è richiamo alla Chiesa che accoglie il Signore come nel proprio grembo lo ha accolto Maria che lo ha generato al mondo.
Ma poi, delle persone che hanno seguito Gesù non c'è più traccia. Gesù le ha abbandonate all'ingresso della città o forse del tempio. La cosa, infatti, non ha suscitato scalpore tra i romani, né ha creato agitazione, tanto è vero che non si richiamerà questo episodio neppure durante il processo. E' stato il segno della profezia, il richiamo ai suoi della pace.
Tuttavia l'ultimo versetto introduce il giudizio: "Dopo aver guardato ogni cosa... uscì". Lo sguardo su ogni cosa prepara il rifiuto e la ribellione, il giorno dopo, contro il commercio che si svolge nel tempio perché Gesù vuole riportare alla purezza, alla contemplazione e alla preghiera il luogo di Dio e del suo popolo.
L'Avvento è perciò speranza di pace che viene donata e che viene maturata.
Il Signore ci faccia capaci di vivere costruendo la pace, responsabili del tempo che viviamo.
Ma il cammino della pace suppone, prima di tutto, l'eliminare il male, il fare pulizia, il rivedere i criteri e le scelte, il mettere a disposizione la propria vita.
La pace nasce dalla giustizia come preoccupazione perché il mio prossimo riceva giustizia. Perciò la pace è solidarietà nonostante la fatica, è disinteresse e coraggio.
La pace si allarga "tra voi e verso tutti". E' ascolto e ricerca comune. E' riflessione in cui si mettono insieme tutte le energie e le intelligenze.
La pace è il desiderio di ogni creatura, al di là delle provocazioni e delle lacerazioni.
E' superamento della propria paura e sostegno perché le persone siano liberate dalla paura.
E' pulizia nel linguaggio e pulizia nelle ideologie che rivede i nostri concetti del "vincere, prevalere, sconfiggere".

 

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