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don Alberto Brignoli  

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (06/11/2011)

Vangelo: Mt 25,1-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. 2Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; 4le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. 5Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. 6A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. 7Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. 9Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. 10Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. 12Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. 13Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora.

Il tempo che fugge (l'abbiamo meditato molto in questi giorni) veniva rappresentato da molti artisti del Rinascimento come una clessidra con le ali: è qualcosa a cui non solo è stato posto un inizio e una fine, ma è pure inconsistente e fragile come la sabbia contenuta nella clessidra, e soprattutto vola via rapidamente, passa in fretta, proprio come la nostra vita, la realtà maggiormente segnata dall'incedere inesorabile del tempo.

La vita si è fatta talmente veloce e frenetica che - lo diciamo spesso - non abbiamo tempo di fare tutto. Ci vorrebbero giorni da cinquanta ore, o settimane di dieci giorni, o mesi di quaranta. Poi però, e forse anche a causa di questa frenesia del tempo che non ci dà la possibilità di fermarci a pensare a ciò che facciamo e che vorremmo fare meglio, ci accorgiamo anche di perdere parecchio tempo, soprattutto parecchie occasioni per costruire qualcosa di significativo per la nostra vita; qualcosa che, appunto, ci permetta di sfruttare al massimo il tempo che ci è dato.

Un tempo, il nostro, che sappiamo bene - dal nostro documento d'identità - quando è iniziato, ma del cui termine non sappiamo assolutamente nulla. Lo dice pure il Signore Gesù, concludendo il brano di Vangelo di quest'oggi: "Vegliate dunque perché non sapete né il giorno né l'ora".

La famosa parabola delle vergini sagge e delle vergini stolte è stata spesso interpretata secondo due filoni. Un primo filone, per certi aspetti anche coerente con la sua struttura e la sua collocazione alla fine dei discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo, di stampo "apocalittico" o "escatologico", ovvero relativo alle realtà finali dell'esistenza dell'uomo e dell'umanità in generale. Gesù richiama la necessità di stare pronti all'incontro con il Signore, perché in qualsiasi momento può giungere l'istante finale dell'esistenza e non sia mai che il Signore ci colga impreparati all'incontro con lui, come fu per le cinque vergini stolte. È una lettura possibile, corretta, e che si sposa bene anche con il particolare periodo dell'anno liturgico che stiamo celebrando in questi giorni. A volte - e qui mi pare sia poco corretto - si leggono certe parabole di Gesù anche alla luce di eventi catastrofici e improvvisi che succedono nelle diverse parti del mondo e colgono impreparata l'umanità: ma mi sembra davvero poco corretto e anche poco rispettoso nei confronti di chi vive sulla propria pelle queste tragedie e che non ha certo bisogno di interpretazioni bibliche sull'accaduto, bensì di solidarietà e di carità.

Un altro filone legge invece in chiave "vocazionale" la vicenda. Sfido qualsiasi istituto religioso femminile ad affermare che non ha mai utilizzato questo testo in occasione di una professione religiosa o di un momento di riflessione sulla consacrazione verginale a Dio e ai fratelli: anche perché il testo si presta veramente bene, presentando Cristo come lo sposo a cui andare incontro con l'atteggiamento pronto, deciso e innamorato della sposa. Ma mi è lecito pensare che né Gesù né Matteo redigendo questa parabola abbiano pensato alla consacrazione di un membro di un istituto religioso, per cui non si può nemmeno usare e abusare questo testo a fondamento biblico dell'istituzione della vita consacrata, come a volte si è fatto.

Né una visione escatologica o apocalittica, né una chiave di lettura vocazionale particolare. Mi piace invece pensare al testo come uno stimolo vivo ed efficace a viver con pienezza la vita di ogni giorno, a non perdere il nostro tempo dietro a cose inutili, a prevenire ciò che facciamo con intelligenza, a ricercare la sapienza come fondamento del nostro esistere invece di andare alla ricerca di cose che creano solo affanno e ci fanno perdere tempo ed occasioni importanti.

Leggere la parabola alla luce della prima lettura di oggi ci dà un'ulteriore conferma di questo. L'elogio della Sapienza fatto dall'autore del libro che porta il suo stesso nome, ce la descrive come una realtà che "previene, per farsi conoscere, quanti la desiderano. Chi si leva per essa di buon mattino non faticherà, la troverà seduta alla sua porta. Riflettere su di essa è perfezione di saggezza, chi vegli per lei sarà presto senza affanni". Questa descrizione è l'esatto contrario dell'atteggiamento delle vergini stolte del vangelo, e l'implicito elogio di quelle sagge, che non troveranno la porta chiusa, ma una porta seduta alla quale le attende, di buon mattino, la sapienza di cui dimostrano di essere già colme.

La parabola è quindi un invito a vegliare non in chiave apocalittica ("Arriva la fine del mondo!"), ma in chiave di vissuto quotidiano, un vissuto fatto di tante piccole e grandi opportunità per costruire il nostro futuro, per dare un senso alla nostra esistenza, per sentirci vivi e profondamente uomini e donne in tutto ciò che facciamo: in definitiva, per incontrare Gesù Cristo, senso del nostro esistere.

E per fare questo occorre un atteggiamento, quello simboleggiato dall'olio delle lampade: non è solamente l'olio della preghiera, della meditazione, della riflessione, dell'attesa dell'incontro con Cristo, ma l'olio della Sapienza in tutte le sue dimensioni, quel carburante che ci fa infiammare di fronte alle occasioni di carità e di solidarietà, quella scintilla che accende in noi il fuoco della pienezza della vita, quell'unguento che ci dà la forza per essere pronti a cogliere al volo l'attimo dell'incontro con Cristo in tutte le cose che facciamo.

La vita con le sue occasioni e le sue opportunità è come un treno, che certamente passa dalla nostra stazione di riferimento almeno una volta: di più, non lo sappiamo, non ne siamo certi. Ovunque ci troviamo, quindi, è bene saltarci sopra, prenderlo al volo, non lasciarlo sfuggire dicendo: "Aspetterò il prossimo", perché un prossimo potrebbe non esserci più.

Mi piange il cuore quando vedo gente (soprattutto giovani) che per paura, per insicurezza, per indecisione o per ignoranza non sfruttano il passaggio di questo treno e lasciano che la loro vita scorra via così, trasportata da una massa informe e innominata che forse sì, ogni tanto, salterà anche su un treno diretto da qualche parte.

Ritengo, e - permettetemi con un pizzico di orgoglio - non a torto, che sia meglio saltare giù dal treno dopo poche fermate perché si è visto che si sta andando nella direzione sbagliata che stare fermi ad aspettare il treno che si crede sia quello giusto.

Vale per la vita, ma vale anche per la fede: Dio si fa riconoscere in molti modi, con una voce che dice "Ecco lo sposo, andategli incontro", o con un'altra che dice "andate dai venditori e comprate olio". Sono tutte voci che ci invitano a non perdere tempo e a sfruttare ogni momento (anche a costo di sbagliare) per costruire vita e incontrare Dio.

Che Dio ci faccia la Grazia di non giungere mai a udire la voce dello sposo che in questa parabola dice solo una parola: "Non vi conosco".

Di parole ne ha già dette tante, e spesso hanno il suono delle nostre occasioni perdute.

 

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