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TESTO Tra il dire e il fare

mons. Roberto Brunelli

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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (30/10/2011)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Si può parlare di incoerenza in senso positivo e in senso negativo. L'uomo non è un monolite, sempre uguale a se stesso. La maturazione del pensiero, spesso sollecitata dall'esperienza, può portare a cambiare anche radicalmente idee e atteggiamenti; e se questo avviene con sincera onestà, non solo è ammissibile: è rispettabile, anzi è doveroso essere fedeli alla propria coscienza. Altro è invece il caso di chi dice una cosa, magari sbandiera proclami, e poi agisce in senso difforme quando non addirittura contrario. E' questa l'incoerenza che lamentiamo spesso nelle persone "in vista", a cominciare dai politici, così come nei nostri conoscenti. Onestà vorrebbe che nell'elenco includessimo anche noi stessi: quante volte la nostra lingua è stata in conflitto col nostro pensiero? Quante volte abbiamo promesso, senza alcuna intenzione di mantenere? Quante volte abbiamo condannato negli altri quello che, magari nascostamente, facciamo, o vorremmo poter fare, anche noi?

In ogni caso, l'incoerenza in senso negativo non è un difetto solo di oggi, come attestano anche le letture della Messa di questa domenica. Il libro che raccoglie i vaticini di un profeta vissuto oltre quattrocento anni prima di Cristo (Malachia 1,14-2,10) contiene aspri rimproveri per i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, i quali, dichiarando con il loro sacerdozio di essere fedeli a Dio, nei fatti si sono "allontanati dalla retta via", non hanno osservato le sue disposizioni, hanno agito con perfidia. E accuse simili Gesù ha rivolto spesso a quei suoi contemporanei, che si presentavano come esperti nell'interpretazione (gli scribi) o come osservanti esemplari (i farisei) della volontà di Dio. Nel brano evangelico di oggi (Matteo 23,1-12), ad esempio, si rivolge alla folla e ai suoi discepoli con queste parole: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno".

Non tutti i farisei, ovviamente, erano così; molti erano sinceri e rigorosi osservanti della Legge divina; ma dovevano essercene altri che in realtà smentivano nei fatti quanto proclamavano a parole. Di qui il significato oggi corrente della parola ‘fariseo' come sinonimo di ipocrita, simulatore di buoni sentimenti e comportamenti, esibiti solo per convenienza. (ad esempio per meglio imbrogliare il prossimo) o per vanità (al fine di essere stimati e lodati). Circa la vanità, nel suo discorso Gesù dice tra l'altro: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange" (particolari dell'abito del pio israelita), "amano i posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì", cioè maestro.

Gesù in sintesi accusa i farisei di apparire come non sono, al fine di distinguersi dalla massa, elevarsi al di sopra del volgo: e per questo ribadisce poi la via cristiana all'umiltà. "Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato". In vista del giudizio futuro, quando la verità sarà svelata e la giustizia sarà ristabilita, l'atteggiamento qui sotteso è quello proclamato la scorsa domenica: amare Dio con sincerità di cuore, dimostrata dal sincero amore del prossimo. Il servo di cui parla Gesù non è lo schiavo sottomesso a forza, né chi si pone alle dipendenze di altri per necessità: in senso evangelico, servo è chi liberamente, per intima convinzione, si avvale di quanto sa e di quanto ha per cercare il bene dei suoi simili. La vera grandezza, quella che sarà manifesta nel giorno del giudizio, quella di cui hanno dato dimostrazione i santi e prima di tutti lui, il Signore e Redentore, non deriva dall'accumulo di medaglie e titoli, non da elogi e monumenti. La vera grandezza sta nel donarsi.

 

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