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TESTO Grammatica per chi nasce con le orecchie a sventola

don Marco Pozza  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/10/2011)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

L'ha chiesto a nome suo per fare un piacere pure a me, che di lui sono figlio, fratello o fors'anche padre: chi lo potrebbe attestare? L'importante è che l'abbia chiesto proprio a Lui, a distanza di un volo d'api da Gerusalemme, sulla cui sommità operai pagati un soldo a giornata stanno già provando le prime manovre di crocifissione. Su queste strade Lui - che della domanda è il destinatario e, chissà mai, pure il nostalgico - ha battuto come profeta. Butta l'occhio a destra e vedi: i crocicchi sono stati i suoi pulpiti, in quelle piazze ha sgranchito paralitici e gobbi, su quei vicoli chiusi e illuminati d'oscurità ha acceso la vista ai ciechi. Eppoi la piscina con i suoi profanatori, la strada al cui incrocio raddrizzò la donna curva, rasserenò la mano rattrappita dell'uomo infermo. Strana sorte per quest'Uomo: per un amico mandato a casa guarito, dieci o forse cento nemici s'erano aizzati contro per annunciarGli l'avvento di un giorno funesto. A breve - appena qualche domenica d'attesa - e lo faranno fuori. Oggi lo vogliono semplicemente trarre in inganno: come ieri con la storia di Cesare, l'altro ieri con l'episodio della lebbra cancellata in un giorno di festa o come domani quando, dall'alto di un Legno sgualcito, Lo inviteranno a fare il miracolo dei miracoli: rifiutarsi di lacrimare per mostrarsi Figlio di Papà. Non raccoglieranno nulla queste vecchie anticaglie del sospetto, ma intanto gli rubano frammenti di tempo sulla strada che conduce al Golgota: "Maestro, qual è il più grande di tutti i comandamenti?" Punto di domanda e punto a capo. Una semplice coniugazione verbale - fissata in quell'imperativo che non ammette fronzoli o ambiguità - come accecante risposta: "Amerai". Un verbo da lasciar com'è: nudo e crudo, tremolante e fradicio di usura, accecante e tenebroso. Scandaloso per bellezza. Perché "amerai" non è "ti affezionerai, ti lascerai sedurre, t'incanterai, accarezzerai". Quello è voce del verbo amare, modo imperativo, tempo futuro, seconda persona singolare. Un verbo diretto, pungente, preciso. Oppure - per i palati mentali più fini - amerai è voce del verbo morirai: "ti consumerai, ti sfinirai, ti spremerai".

Dalla terra al cielo, non viceversa all'inizio: "il prossimo tuo come te stesso". Mai avverbio di modo ("come") fu più pesante sotto il cielo di Galilea, più vicini al Golgota che alle onde di Genesaret. Perché amare Dio e il prossimo slegati dalla storia di noi è cosa troppo facile, assai facile che lassù sia quasi ridicola: un po' come abitare una casa ma amarne di più un'altra, o come sposare una donna ma tenere il cuore accovacciato alla porta di un'altra. No, stavolta - fortunati noi che un metro di misura pure ce l'avremmo - amerai Dio allo stesso modo che amerai te: "come te stesso". Mai potrai amare Dio e il prossimo se non amerai le tue orecchie a sventola, quell'andare moccioso e stempiato dovuto alla canizie, quell'accento irruento e acetoso che ti ricorda la tua provenienza clandestina, quel callo sulla mano a imperitura memoria di un umile lavoro. O quella mano monca, quel piede zoppo, quella cicatrice addosso che ti rendono bello e miracoloso perché vissuto. Bello perché amante e amato.

Come te stesso. Non potrai amarLo e amarli più di te. Perché mai nel cielo dei Vangeli un uomo è riuscito a disprezzare il suo albero genealogico e la sua provenienza ed è riuscito nel contempo ad amare Lui. Dalla terra al cielo "con tutta l'anima, con tutte le tue forze, con tutto il tuo cuore". Ama te stesso all'inverosimile per riuscire a tentare poi l'avventura d'amare Dio e il prossimo - che di Lui quaggiù è traccia - per lo meno quanto te.

"Io credo che la grammatica sia una via d'accesso alla bellezza. Quando parliamo, quando leggiamo o quando scriviamo, ci rendiamo conto se abbiamo scritto o stiamo leggendo una bella frase. Siamo capaci di riconoscere una bella espressione o uno stile elegante. Ma quando si fa grammatica, si accede a un'altra dimensione della bellezza della lingua. Fare grammatica serve a sezionarla, guardare come è fatta, vederla nuda, in un certo senso. Ed è una cosa meravigliosa, perché pensiamo: "Ma guarda un po' che roba, guarda un po' com'è fatta bene!", "Quanto è solida, ingegnosa, acuta!". Solo il fatto di sapere che esistono diversi tipi di parole e che bisogna conoscerli per definirne l'utilizzo e i possibili abbinamenti è una cosa esaltante. Penso che non ci sia niente di più bello, per esempio, del concetto base della lingua, e cioè che esistono i sostantivi e i verbi. Con questi avete in mano il cuore di qualunque enunciato. Stupendo, vero? I sostantivi, i verbi..." (M. Barbery, L'eleganza del riccio, Edizioni e/o, 2009)

Tutto il resto è flebile illusione d'essere uomini. Quei lentigginosi riverberi del pensiero che, forse, ci mettono a posto la coscienza al tramontare di ogni sole. Ma non fanno più battere il cuore di Dio. Che della grammatica italiana è fine intenditore, fin quasi ad usare l'avverbio più maneggiato ("come") per insegnare all'uomo a contemplare l'Amore di lassù.

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